La dimensione dell’ascolto è un’esperienza strutturante il proprio sé e, allo
stesso tempo, una condizione essenziale per lo sviluppo di una buona
relazionalità. Paradossalmente, nella società dominata dall’idolatria
dell’audience, stiamo rendendo aleatori sia l’ascoltare se stessi che
l’ascoltare l’altro e l’essere dall’altro ascoltati. Eppure, ognuno si porta
dentro il bisogno di vivere tutte e tre queste esperienze: se viene meno anche
solo una di esse, corriamo il rischio di diventare stranieri a noi stessi e
all’altro.
L’A., psicologo, psicoterapeuta e docente presso l’Univ. Salesiana di Roma, ci
guida in un percorso sull’ascolto svolto in senso psicanalitico, il quale esige
il superamento di ogni visione volontaristica: non è detto infatti che, quando
ci si impegna ad ascoltare noi stessi e l’altro, questo avvenga. Poiché nella
persona umana in principio è l’ascolto e la parola viene dopo – le ricerche a
riguardo ci dicono che i tipi di ascolto che sperimentiamo nella fase fetale
hanno una funzione fondamentale nel nostro sviluppo psicofisico – il volume ci
aiuta a riflettere sulle potenzialità dell’ascolto. Se avremo imparato ad
ascoltare, sapremo anche parlare.
L’ascolto dell’ospite interno
L’ascolto, perché sia fonte di benessere, deve essere un buon ascolto. Occorre
partire dunque da una sapiente autoanalisi, quell’apertura ad ascoltare il
proprio ospite interno che farà dire a Freud: “l’Io non è padrone in casa
propria”. Secondo Castellazzi, questo percorso di introspezione è disseminato di
trabocchetti dovuti al nostro narcisismo primario, ma anche al conformismo che
ci viene da una società omologata e alla conseguente paura di accettarsi senza
riserve (vincendo spavento o vergogna di ciò che affiora alla nostra coscienza).
Di certo solo una sufficiente maturità psichica facilita la giusta presa di
distanza da noi stessi e prepara il terreno all’ascolto degli altri. In questo
senso, il processo di crescita è riconducibile all’oscillazione tra ricerca di
un proprio modo di essere originale e unico (vero Sé) e necessità di adeguarsi e
uniformarsi agli altri ricevendone in cambio approvazione, accoglienza e affetto
(falso Sé). Per questo non si deve mai cessare di ascoltare se stessi,
soprattutto oggi nella cultura del consumo, dove l’imperativo rassicurante è
esattamente quello dell’imitazione e dell’adattamento. Dobbiamo essere in grado
di valutare se abbiamo a che fare con il nostro vero Sé oppure con i suoi
colonizzatori (demagoghi politici, presentatori televisivi, divi del cinema o di
spot pubblicitari) che pensano e desiderano al posto nostro!
Dare ascolto all’altro
«Purtroppo, dice il nostro A., oggi sono sempre più numerose le persone che,
spaventate dai tumulti dell’anima, sono pronte a sopirli, a tacitarli con ogni
mezzo, non esclusi gli psicofarmaci. E così, dopo l’Homo erectus, l’Homo
sapiens, l’Homo faber, l’Homo psycologicus, si sta passando all’Homo chimicus»
(p. 41). Perciò siamo bombardati da offerte di pillole per ricordare o
dimenticare, per superare la timidezza o non sentirsi in colpa, per non essere
depressi. Il tutto al fine di eludere l’autentico ascolto di sé, che è tale però
se non si traduce in un’attenzione tossica alla propria soggettività; perché ciò
non si verifichi, occorre che sia accompagnato dall’ascolto dell’altro.
Dal riconoscimento dell’altro infatti scaturisce una maggiore conoscenza di sé e
si sprigionano le potenzialità terapeutiche dell’ascolto. Ascoltare l’altro è
lasciarlo entrare in casa nostra, nella nostra intimità. Il buon ascolto è per
sua natura circolare: chi ascolta è anche ascoltato e chi è ascoltato ascolta.
L’unica regola fondamentale è riconoscere l’altro nella sua irriducibile
diversità, per favorire la capacità di ascoltare se stessi senza cadere nel
narcisismo e di ascoltare l’altro senza cadere nel conformismo.