Le riflessioni che seguono costituiscono una sintesi di interventi e scambi
svolti in occasione del IIº Incontro dei delegati per le relazioni con i
musulmani delle Conferenze episcopali d’Europa (Torino, 31 maggio-2 giugno
2011).
L’incontro – organizzato dal Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa (CCEE),
organismo ecclesiale che raggruppa le 33 Conferenze episcopali presenti nel
continente (oltre alle arcidiocesi di Lussemburgo, del Principato di Monaco, di
Cipro dei maroniti e la diocesi di Chişinău in Moldavia) – ha permesso di
prendere in esame e di ricevere la testimonianza di circa 30 partecipanti,
rappresentanti una ventina di Conferenze episcopali e paesi ben diversi gli uni
degli altri, dove anche i rapporti con l’islam assumono delle loro specificità.
Nei tre giorni di lavoro, presso la casa delle Sorelle di Nostra Signora del
Cenacolo, i delegati hanno analizzato soprattutto due temi ritenuti
particolarmente importanti nell’attuale contesto: le problematiche emergenti in
ambito giuridico legate al processo di inserimento delle comunità musulmane e la
“paura” dell’islam in Europa. Per la stesura di questo testo mi sono avvalso,
soprattutto per gli aspetti giuridici, del contributo del prof. Alessandro
Ferrari (Università degli Studi dell’Insubria).
Il diritto alla libertà religiosa
Negli ultimi anni, specie nei paesi dell’Europa occidentale, la crescente
presenza di musulmani pone diversi interrogativi circa l’inserimento delle
comunità musulmane nelle nostre società, la presenza dei loro rappresentanti
nelle strutture sociali, educative, universitarie, sanitarie, carcerarie e
militari, e la loro partecipazione nelle istanze di rappresentanza di queste
comunità messe in opera in un certo numero di paesi europei. Siamo in presenza
di una grande diversità legata alla storia di ogni paese e al tipo di comunità
musulmana che vi si trova. Siamo in un contesto in continua evoluzione dove
nulla è fisso per sempre. Sarà importante, anche per la Chiesa cattolica,
seguire questa evoluzione: vedere quanto sarà istituzionalizzato e quali nuovi
problemi potranno emergere. Tra i fenomeni registrati che possono anche apparire
problematici, vi è innanzitutto quello legato all’operatività e
all’interpretazione stessa del diritto alla libertà religiosa, così come è
intesa nel vecchio continente, e che è alla base stessa di una pacifica e giusta
convivenza tra persone appartenenti a diverse comunità religiose.
In Europa il diritto alla libertà religiosa presenta due caratteristiche
fondamentali che si pongono in modo problematico per le comunità musulmane:
innanzitutto la centralità attribuita all’individuo e alle sue opzioni di
coscienza e in secondo luogo il ruolo centrale riconosciuto alle organizzazioni
religiose. Il primo aspetto, imperniato su un concetto di cittadinanza comune,
ostacola l’approccio musulmano classico basato sul binomio “a un’appartenenza
religiosa differenziata equivale uno statuto personale differenziato”; il
secondo appare difficilmente applicabile di fronte a un islam ancora non ben
organizzato istituzionalmente, il che comporta per le diverse comunità di non
poter godere pienamente delle “facoltà” promesse dal diritto alla libertà
religiosa. Inoltre, le trasformazioni in atto permettono di evidenziare, da una
parte, come in materia di diritto alla libertà religiosa, il ruolo degli stati
nazionali appare centrale mentre quello delle istituzioni europee appare ancora
circoscritto a un’attività di moral suasion (persuasione morale); dall’altra
come questo diritto si fa più esigente e più attento alle problematiche di
natura religiosa: per godere pienamente di questo diritto non è più sufficiente
per le comunità religiose il formale rispetto della legge, ma è richiesta la
condivisione di un progetto comune. L’islam è ritenuto particolarmente
deficitario in questo settore. In questo senso vanno interpretate le numerose
esperienze di “carte dei valori” predisposte dalle autorità civili quali
presupposti per poter accedere al pieno godimento di tutte le “facoltà” offerte
dal diritto alla libertà religiosa.
Luoghi di culto, insegnamento e assistenza spirituale
Tra le questioni, forse maggiormente presenti nei media, vi sono quelle legate
alla costruzione di luoghi di culto, all’insegnamento della religione e
all’assistenza spirituale nelle strutture pubbliche. Per quanto riguardano le
moschee, in molti paesi europei, la loro erezione costituisce un motivo di
scontro e di preoccupazione molto enfatizzato (vedi il caso svizzero). Certo
esistono preoccupazioni di ordine pratico, specialmente legate al fatto che la
moschea non è solo un luogo di culto (e riveste spesso una connotazione
politica), ma anche per la sicurezza pubblica, la trasparenza dei finanziamenti,
il rispetto delle norme urbanistico-architettoniche (anche se esistono in Europa
modelli architettonici che hanno ben saputo armonizzare l’esigenza cultuale con
l’urbanistica circostante). In realtà si tratta per lo più di questioni
risolvibili nel rispetto dei diritti vigenti e in un quadro di concertazione e
di dialogo tra tutte le parti interessate.
Più problematico appare, a differenza dei luoghi di culto, l’insegnamento della
religione dell’islam e, in un certo senso, l’assistenza spirituale nelle
strutture quali ospedali, scuole e caserme ecc., che sono delle attività per le
quali è necessario quel livello di stabilità organizzativa non ancora raggiunta
nella maggior parte dall’islam in Europa. Quindi in teoria l’insegnamento della
religione musulmana nella scuola pubblica è possibile, e diremo doverosa, nella
misura in cui corrisponderebbe, se fosse realmente il caso, alle esigenze di una
specifica popolazione scolastica religiosamente differenziata e al pluralismo
sociale europeo. Quello che semmai ci interpella maggiormente riguarda
soprattutto la formazione di questi insegnanti così come quella degli imam (capi
spirituali). I musulmani in Europa saranno in grado di formare al loro interno
degli insegnanti e degli imam per le loro esigenze cultuali e formative? O
dovranno continuare a interpellare personale dall’estero, portatori di una
cultura diversa da quella europea, che non permetterà altro se non di acutizzare
un malessere dovuto principalmente a un approccio culturale assai diverso da
quello predominante?
Tuttavia, nell’attuale Europa, esistono vari segnali che permettono di notare
come sociologicamente l’islam in Europa si sta sempre più trasformando in una
religione nel senso europeo del termine, vale a dire in un’opzione della libera
coscienza. Bisogna inoltre riconoscere come anche l’islam conosce l’esperienza
delle appartenenze plurime, che contraddicono le costruzioni stereotipate che
spesso i media ci trasmettono. Questi due elementi sono particolarmente
importanti allorché si sta definendo un islam europeo. Infatti se prendiamo, per
esempio, nell’ambito giuridico il tema della shari’a, a differenza di quanto ci
propugnano i media poco accorti, proprio in Europa assistiamo a un lavoro
interpretativo particolarmente avanzato. Ciò accade perché il diritto islamico,
qui, si trova quotidianamente confrontato con altri diritti religiosi e con
diritti statali che si sono conformati alla dottrina dei diritti umani
universali. Anzi, in Europa, questo è una sfida per l’islam: l’adattamento del
diritto islamico alla tradizione giuridica europea sarà di capitale importanza
perché l’islam in Europa possa costituire una fonte di diritto possibile per i
suoi fedeli.
La prospettiva della Chiesa
E in tutto questo come si pone la Chiesa cattolica? La Chiesa guarda con
interesse le dinamiche dell’inserimento dei residenti e cittadini di religione
musulmana nel contesto europeo, sia a livello individuale sia comunitario. Si
tratta di un processo complesso e non privo di contraddittorietà, in cui emerge
la sfida della progressiva inculturazione dell’islam in Europa, con la
conseguente manifestazione della sua dimensione più prettamente religiosa e
morale, piuttosto che politica. Tutte le iniziative culturali e teologiche che
sono espressione di quella che viene denominata “teologia dell’inculturazione”,
sono seguite con forte interesse in quanto aprono e consolidano processi di
partecipazione positiva alla vita sociale e culturale europea, in un contesto
pluralista, aperto al dialogo interreligioso e interculturale.
In tale quadro la Chiesa segue con attenzione le aspettative e le iniziative che
stanno sorgendo in seno alle comunità musulmane finalizzate a fornire ai propri
responsabili religiosi – imam, insegnanti – una formazione teologica e culturale
adeguata a svolgere con efficacia il loro ruolo religioso in contesto europeo;
auspica che tali iniziative (inclusa l’istituzione di cattedre di teologia
islamica nelle università statali nei paesi in cui la teologia è disciplina
presente nel sistema universitario) possano essere organizzate, con i dovuti
adattamenti, secondo lo schema giuridico dei rapporti esistenti tra stato e
Chiesa.
In questa prospettiva la Chiesa vede in modo positivo che l’insegnamento
confessionale della religione nella scuola pubblica possa includere anche altre
tradizioni religiose, tra cui l’islam, tenendo fermi i requisiti previsti nei
diversi stati per lo svolgimento di tale funzione. Dal punto di vista del
diritto alla libertà religiosa bisogna ricordare che la cultura del
cattolicesimo è quella dei diritti umani e della libertà religiosa ed è proprio
questa cultura predominante che ha plasmato un ordine pubblico europeo che
riconosce la libertà religiosa come un diritto umano fondato sulla dignità della
persona, consentendo a tutte le confessioni di mantenere la propria fede e di
manifestarla sia privatamente sia pubblicamente senza essere condizionata da
limiti di natura sostanziale. La Chiesa cattolica è chiamata a farsi custode
della tradizione costituzionale europea. Per la Chiesa difendere i diritti delle
minoranze rappresenta una sfida importante, che tocca da vicino la capacità di
educare in primis i propri fedeli. Si tratta di ricordare cos’è la libertà
religiosa e orientare per la tutela di un ordine pubblico “funzionale” e non
ideologico.
Libertà religiosa e paura dell’islam
La questione centrale non è tanto quella dell’assoluta uguaglianza di
trattamento tra i culti, quanto quella dell’uguale libertà, della possibilità
per tutti i fedeli di godere del nucleo essenziale e irrinunciabile del diritto
alla libertà religiosa, parte integrante dell’identità europea e della
tradizione costituzionale comune dei paesi membri dell’Unione e dello spazio
giuridico del Consiglio d’Europa. Si tratta, in altre parole, di fornire anche
all’islam una cornice unitaria comune, garantita per l’esercizio di un diritto
fondamentale. Non serve forzare i tempi dell’istituzionalizzazione musulmana.
Tra i principi fondamentali sottesi al sistema europeo di rapporti tra stati e
religioni, occorre distinguere bene quelli che sono garantiti indipendentemente
dall’organizzazione confessionale da quelli che possono essere invece
subordinati al rispetto di taluni requisiti, quali l’accettazione delle regole
democratiche e della laicità dello stato, e che dipendono dalla cooperazione tra
lo stato e i gruppi religiosi.
Dall’altra parte, sottolineare l’esigenza di una rottura con il passato per
rispondere alle esigenze del culto musulmano, enfatizzare la novità, può avere
un risvolto nefasto, può significare in realtà bloccare tutto. Affermare che
occorre cambiare tutto in nome della presenza musulmana può costituire una forma
di raffinata islamofobia. È importante rigettare la paura e rimanere lucidi. Per
superare questa paura dell’islam nelle nostre società europee e nelle comunità
cristiane, è necessario accogliere le persone, ascoltare le loro paure,
analizzare le situazioni di grande difficoltà sociale che rendono difficile la
convivenza tra comunità. Ma bisogna altresì mettere in chiaro i meccanismi
politici e mediatici che sfruttano queste paure, che le strumentalizzano e
provocano il passaggio dalla paura all’odio. Bisogna essere altresì vigilanti
ugualmente nei confronti di alcune espressioni di laicismo che, con la scusa di
voler combattere l’islam, vogliono piuttosto limitare l’espressione sociale di
tutte le religioni (in particolare del cristianesimo).
Il dialogo interreligioso non è un’opzione, non è facoltativo, è diventato in
Europa un obbligo, una via senza scampo. Laddove il dialogo non esiste,
l’ignoranza reciproca e i pregiudizi s’installano. La violenza non sarà mai
lontana e ci vediamo condannati allo shock di civiltà. Il multiculturalismo in
Europa non è finito, bisogna forse solo comprendere che è un cammino lungo,
faticoso e a volte conflittuale, in cui tutti gli attori sono destinati al
cambiamento.