«Guida con coraggio la barca di Pietro, mostrandoti a tutti e in ogni
circostanza maestro di speranza. I grandi santi che hanno abitato questa terra
benedetta da Dio – dall'Anatolia alla Cappadocia – sono con te e fanno festa con
te e per te». Con queste parole, il Nunzio Apostolico mons. Farhat esortava nel
2004 mons. Luigi Padovese, nominandolo vicario apostolico dell’Anatolia.
Anche il piccolo gregge a lui affidato gli fece un’accoglienza calorosa e
festante, sottolineando, in ripetuti e lunghi applausi, l'affetto e la stima nei
confronti del nuovo pastore dell'Anatolia. E lui, Luigi Padovese, rispondeva
generosamente: «Amo tanto la Turchia, e vengo volentieri». Per sei anni ha
donato la sua vita a quella terra, che conta 70 milioni di abitanti, al 99%
musulmani. I cristiani sono lo 0,6% della popolazione; i cattolici circa 30mila.
Il vicariato dell'Anatolia ha 4.550 cattolici, 7 parrocchie, 3 sacerdoti
diocesani, 14 religiosi e 12 religiose. Il Vicariato si estende dal Mediterraneo
al mar Nero, e ad ovest dai confini della provincia di Ankara fino ai confini
orientali della Turchia con la Siria, l’Iraq e l’Iran.
Nella città di Tarso (220 mila abitanti) non c’è alcuna parrocchia cristiana, ma
solo una piccola comunità di tre religiose italiane, Figlie della Chiesa. Nelle
città invece di Iskenderun (antica Alessandretta), Antakya (Antiochia), Mersin,
come pure a Trabzon (Trebisonda) e a Samsun sul mar Nero vi sono altrettante
parrocchie. Mons.Luigi Padovese risiedeva a Iskenderun, città portuale poco più
a nord di Antiochia.
Ispirandosi a Giovanni Crisostomo, vescovo antiocheno di Costantinopoli, mons.
Padovese aveva scelto come motto episcopale In Caritate Veritas (la Verità
nell'Amore) e così lo aveva spiegato: «Sono parole che esprimono il mio
programma di ricercare la verità nella stima e nel reciproco volersi bene. Se è
vero che chi più ama, più si avvicina a Dio, è anche vero che per questa strada
ci avviciniamo al senso vero della nostra esistenza che è un vivere per gli
altri. Su questa convinzione si fonda anche la mia volontà di dialogo con i
fratelli ortodossi e con i fratelli di altre confessioni». E il 5 febbraio 2010,
ricordando la morte di don Andrea Santoro, mons. Padovese aveva detto che «la
sequela di Cristo può arrivare anche all’offerta del proprio sangue».
Come chicco di grano caduto in terra
Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore,
produce molto frutto (Gv 12,24). E così, come chicco di grano, Luigi è caduto in
terra di Turchia per portare molto frutto. Il suo martirio ha fatto seguito ad
altri attentati contro sacerdoti cattolici e cristiani: don Andrea Santoro,
ucciso nel 2006 a Trabzon; tre cristiani protestanti sgozzati a Malatya nel
2007; il giornalista Hrant Dink, di origine armena, ucciso nel 2007 a Istanbul.
A un anno dall’assassinio di mons. Luigi Padovese, la piccola Chiesa turca è
ancora “segnata dal dolore”, ma coglie anche segni di interesse al cristianesimo
ed è “piena di speranza”. Il punto fondamentale rimane la garanzia della libertà
religiosa. È quanto dichiara ad AsiaNews mons. Antonio Lucibello, nunzio
apostolico nel Paese, presente il 5 giugno scorso a Iskenderun, alla messa in
ricordo del sacrificio del vescovo, ucciso dal suo autista, il giovane Murat
Altun, il 3 giugno del 2010. Mons. Padovese è stato assassinato nella solennità
del Corpus Domini, a conclusione dell’Anno sacerdotale e alla vigilia del
viaggio di papa Benedetto XVI a Cipro per promulgare l’Istrumentum laboris
dell’Assemblea speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei Vescovi, svoltasi in
Vaticano nell'ottobre scorso e alla cui preparazione lo stesso Padovese aveva
contribuito come Presidente della Conferenza Episcopale Turca.
Alla messa del 1° anniversario della morte, presieduta da mons. Ruggero
Franceschini, arcivescovo di Izmir (Smirne), hanno partecipato anche i
rappresentanti delle altre Chiese cattoliche, ortodosse e armena.
«La nostra presenza qui in Turchia – aggiunge mons. Lucibello nell’intervista ad
AsiaNews – è inconsistente dal punto di vista numerico: in tutto siamo come una
piccola parrocchia di un paesino in occidente. In questo anno, segnato dal
martirio di mons. Padovese e da altri segnali di violenza, la Chiesa ha potuto
approfondire la sua missione, passando "dalla presenza alla testimonianza": una
testimonianza di vita, una testimonianza discreta».
La missione come "presenza"
Mons. Padovese, frate cappuccino, formato alla scuola di san Francesco d’Assisi,
aveva interiorizzato lo spirito di semplicità, povertà, umiltà e minorità del
Poverello di Assisi. Di san Francesco egli ha messo in pratica anche l’ideale
missionario. «I frati che vanno fra gli infedeli – insegnava san Francesco nella
Regola non bollata – non facciano liti o dispute, ma siano soggetti ad ogni
creatura umana per amore di Dio e confessino di essere cristiani… » (Rnb XVI: FF
43).
Mons.Padovese era particolarmente consapevole del valore e dell’efficacia della
modalità missionaria voluta da san Francesco, e verso la fine della sua vita
aveva espressamente ricordato che l’essenza della missione in Turchia è la
presenza, è “l’esserci”. Aveva anche interiorizzato l’insegnamento di Paolo VI,
che individuava nella testimonianza una proclamazione silenziosa ma efficace
della buona notizia (cf. Evangelii nuntiandi 21); nel silenzio e nella preghiera
mons. Padovese si è sempre posto in ascolto del Signore che ai suoi discepoli
chiede di essere luce del mondo e sale della terra, per essere fermento di vita
evangelica.
Servizio alla Chiesa d’occidente e d’oriente
Padre Luigi, prima di essere vescovo, è stato Prefetto degli studi e vice
rettore nella Fraternità del Collegio Internazionale San Lorenzo da Brindisi, a
Roma, dal 1983 al 1988. Docente alla Gregoriana e all’Antonianum, si è dedicato
anche alla ricerca scientifica; ha offerto un generoso servizio alla vita
consacrata in diversi istituti religiosi con la predicazione e l’animazione
degli esercizi spirituali e di corsi di aggiornamento. Per diversi anni è stato
preside dell’Istituto Francescano di spiritualità (IFS) e si è molto adoperato
per l’incremento e lo sviluppo di questa istituzione di formazione
universitaria. Arrivò lì nei primi anni ‛70 per gli studi universitari che lo
portarono alla laurea in teologia patristica. Da allora cominciò una generosa e
intensa attività che gli offrì l’occasione, tra l’altro, di attualizzare il suo
grande amore per l’Oriente, in particolare per la Turchia, terra delle origini
cristiane, la Terra Santa della Chiesa. Promosse quindi instancabilmente e
intensamente tante iniziative scientifiche e culturali, che gli offrirono la
possibilità di sviluppare anche sensibilità e interesse a favore dell’ecumenismo
e del dialogo interreligioso. I Simposi di Efeso su san Giovanni Apostolo e I
Simposi di Tarso su san Paolo Apostolo, a partire dal 1990 fino ad oggi, portano
l’impronta della sua fervorosa e competente attività.
Mons. Padovese si impegnò anche per i primi otto Simposi intercristiani,
iniziati nel 1992, organizzati dall’Istituto Francescano di Spiritualità e dal
Dipartimento di Teologia della facoltà teologica dell’università Aristotiles di
Salonicco.
Altrettanto grande fu la sua collaborazione con la Congregazione per le Chiese
Orientali.
Ecumenismo e dialogo interreligioso
Lo spirito ecumenico di mons. Padovese fu evidente fin dai primi incontri da lui
promossi e organizzati a questo scopo. «La ragione di questi incontri – disse
già vicario apostolico di Anatolia – risiede nella determinazione dei frati
minori cappuccini, presenti in Turchia da 350 anni, di dare al passato cristiano
di questa terra un riconoscimento. Mentre, infatti, per la Terra Santa
l'interesse cristiano non è mai venuto meno, assai ridotta è stata l'attenzione
per questo territorio che si può ritenere il "luogo privilegiato" di
incarnazione della Chiesa». È quanto è stato approfondito facendo riferimento a
varie fonti, e mettendo in rilievo che il cristianesimo è entrato in contatto
con la realtà pluriforme del mondo antico in un processo critico di accoglienza,
di adattamento, di assimilazione e di rigetto.
Nell'Anatolia – aggiunse mons. Padovese – si è svolta e si è giocata una parte
importante della storia cristiana. È sufficiente pensare a quanto avvenne ad
Antiochia sull'Oronte, la città in cui fu ufficialmente sanzionato il pluralismo
di pensiero e di prassi all'interno della comunità cristiana, o all'importanza
assunta da Efeso, divenuta nel primo secolo la capitale spirituale della
religione cristiana, possibile luogo d'origine del cosiddetto corpus ephesinum
novi testamenti, ossia un cospicuo numero di scritti neotestamentari.
Basterebbe questo per giustificare i simposi organizzati in Turchia per
approfondire gli scritti dei due apostoli nei luoghi della loro attività con
l'intervento di studiosi cattolici, ortodossi e musulmani, offrendo un
bell'esempio d i«ecumenismo culturale, di ricerca e di dialogo interreligioso".
Grazie a questi incontri culturali, l'antica Turchia è tornata a essere, dopo
secoli di silenzio, luogo di riflessione sul fenomeno cristiano».
Uomo mite e coraggioso
Mons.Padovese è stato un uomo semplice, umile, sorridente. La semplicità è stata
una qualità costante del suo comportamento e ha caratterizzato tutta la sua vita
sacerdotale e il suo ministero episcopale. Uomo sereno e profondo nelle
relazioni, sapeva parlare ai semplici e agli uomini di cultura, alle autorità
civili e religiose. Aveva una parola buona per tutti. Uomo del dialogo, aveva
ottimi rapporti con il Mufti, la massima autorità religiosa islamica della
città, e una profonda amicizia con il Patriarca ortodosso Bartolomeo I.
«Porta e non muro la Chiesa che egli ha voluto, piccolo gregge aperto
all’amicizia delle genti. Pastore buono, non è fuggito davanti alle difficoltà;
pur consapevole dei rischi, è rimasto fedele alla sua Chiesa, rinvigorendola e
portandola a una maggiore consapevolezza sia della propria fede che
dell‘importanza per la tradizione cristiana di quei luoghi legati alle origini
della Chiesa» .
E nell’antica e venerabile Chiesa di Turchia mons. Padovese ha consumato la sua
esistenza fino al sangue, adempiendo la Parola del Signore: "Nessuno ha un amore
più grande di questo: dare la vita per i propri amici" (Gv 15,13).