«Vi sono regioni del mondo che ancora attendono una prima evangelizzazione; altre che l’hanno ricevuta, ma necessitano di un lavoro più approfondito; altre ancora in cui il Vangelo ha messo da lungo tempo radici, dando luogo a una vera tradizione cristiana, ma dove negli ultimi secoli il processo di secolarizzazione ha prodotto una grave crisi del senso della fede cristiana e dell’appartenenza alla Chiesa. In questa prospettiva, ho deciso di creare un nuovo organismo, nella forma di “pontificio Consiglio”, con il compito precipuo di promuovere una rinnovata evangelizzazione nei paesi dove è già risuonato il primo annuncio della fede e sono presenti chiese di antica fondazione, ma che stanno vivendo una progressiva secolarizzazione della società e una sorta di “eclissi del senso di Dio”, che costituiscono una sfida a trovare mezzi adeguati per riproporre la perenne verità del vangelo di Cristo».
Queste parole di papa Benedetto XVI, pronunciate circa un anno fa (28/6/2010), hanno trovato sbocco operativo con il pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione (motu proprio del 21/9/2010), sorto per offrire una risposta specifica all’attuale momento di crisi della vita cristiana e anche in vista della prossima XIII Assemblea del Sinodo dei vescovi che nel 2012 metterà a fuoco proprio il tema “Nuova evangelizzazione e trasmissione della fede cristiana” (cf. la presentazione dei Lineamenti in Testimoni 6/2011).

La sfida della crisi di fede

L’urgenza e la rilevanza del tema è emersa durante il discorso del papa stesso alla prima Assemblea plenaria (30-31 maggio 2011) del neonato dicastero vaticano, guidato dal presidente mons. Rino Fisichella e composto di venti membri, cardinali e vescovi, provenienti dalle varie aree dell’occidente oltre che dalla Curia romana. Tra i partecipanti c’era il teologo e arcivescovo di Chieti-Vasto, mons. Bruno Forte, il quale ha tratto dall’importante riflessione del pontefice una ragionata rilettura (subito proposta al presbiterio della sua diocesi), che ci sembra un’utile mappa per muoversi nel complesso territorio della nuova stagione di missione che chiama tutta la Chiesa.
L’analisi di mons. Forte parte dal nucleo centrale della riflessione del papa: «la constatazione di una diffusa situazione di crisi, percepibile soprattutto nei paesi di antica cristianità. In che consiste questa crisi? Quali ne sono le cause? Rispondere a queste domande è punto di partenza necessario per proporre un efficace progetto per la nuova evangelizzazione».
Rileggendo il pensiero di Benedetto XVI, egli identifica le radici lontane della crisi – il processo di autonomia del mondano, che ha inizio col secolo dei Lumi e si sviluppa nelle varie forme e stagioni dell’ideologia moderna della piena autonomia dell’uomo – e ne indica gli esiti: un’etica della solitudine per cui l’altro diventa uno “straniero morale”; il trascendente è negato; l’io è solo e domina la frammentazione interiore ed esteriore.
Per uscire dalla crisi c’è solo una via: «aprire gli occhi di fronte alla verità, uscire nell’ipertrofia del soggetto. Bisogna guardare fuori di sé alla verità delle cose, misurarsi con la realtà dell’altro, sia prossimo e immediato, che trascendente e sovrano. Occorre riscoprire il primato del logos sull’ethos, dove con logos s’intende l’ultimo fondamento della realtà, che non richiede né fondazione, né riconoscimento per essere vero. Papa Benedetto testimonia di continuo la fiducia nella forza unificante e liberante del logos, precisamente perché ne coglie le conseguenze decisive per il mondo uscito dalla crisi della modernità, alla ricerca di orizzonti affidabili in questa inquieta post-modernità… Se le volgarizzazioni del positivismo scientifico e le realizzazioni storiche dei modelli ideologici davano per scontata la morte di Dio, e questa pretesa si affaccia nelle recenti proposte divulgative di un certo ateismo postulatorio (cf. autori come Dawkins, Hitchens, Onfray, Odifreddi), il ritorno alla realtà risveglia il bisogno dell’incontro liberante col Dio vivo».
Occorre però a questo punto aver chiaro che il Dio cristiano non ha nulla della totalità violenta della ragione ideologica: al contrario, è un Dio che ha scelto la debolezza e l’abbandono della Croce per manifestare al mondo la forza del suo amore infinito. Se il rifiuto degli orizzonti totali spinge molti oggi a chiudersi in se stessi (il riflusso nel privato che produce una folla di solitudini), la proposta cristiana dell’amore va avanzata come Buona Notizia contro la solitudine e via percorribile per creare ponti d’incontro e di solidarietà.

Un primo annuncio credibile

Di fronte al mutato contesto culturale dell’occidente e all’impatto che tutto questo ha sulla vita degli uomini, nasce la domanda su come annunciare oggi credibilmente l’evangelo di Gesù. Mons. Forte afferma che ciò che cambia non è il Vangelo, ma il destinatario cui va annunciato. «Occorre aprirsi alle nuove sfide, apprendere nuovi linguaggi, tentare nuove forme di approccio. «La nuova evangelizzazione, afferma il papa, dovrà farsi carico di trovare le vie per rendere maggiormente efficace l’annuncio della salvezza, senza del quale l’esistenza personale permane nella sua contraddittorietà e priva dell’essenziale. Anche in chi resta legato alle radici cristiane, ma vive il difficile rapporto con la modernità, è importante far comprendere che l’essere cristiano non è una specie di abito da vestire in privato o in particolari occasioni, ma è qualcosa di vivo e totalizzante, capace di assumere tutto ciò che di buono vi è nella modernità». Alla radice di questa novità di linguaggi e di approcci sta sempre la novità dell’incontro col Cristo vissuto da chi crede: «All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva (Deus caritas est, 1)».
Il “nuovo” nello sforzo dell’evangelizzazione oggi richiesto si pone dunque sul piano qualitativo. «L’evangelizzazione sarà nuova se nascerà da un impegno di profondo rinnovamento e riforma di tutta la Chiesa e di ciascuno dei protagonisti che la vivranno: il papa afferma che «non si deve pensare che la grazia dell’evangelizzazione si sia estesa fino agli Apostoli e con loro quella sorgente di grazia si sia esaurita». Pertanto, nella logica della trasmissione della fede nella storia della Chiesa, è giustificato ricorrere a modelli del passato e pensare, ad esempio, che la nuova evangelizzazione possa stare al concilio Vaticano II come la “riforma cattolica” stette al concilio di Trento: quello che lo Spirito ha detto alla Chiesa attraverso questi grandi eventi, va tradotto nello slancio a trasmettere credibilmente ciò che ha segnato e trasformato la nostra vita di discepoli di Gesù. Ovviamente, parlare di nuova evangelizzazione non significa elaborare un’unica formula uguale per tutte le circostanze; e tuttavia, ciò di cui hanno bisogno tutte le chiese dei territori tradizionalmente cristiani è una nuova apertura al dono della grazia.

La riforma della Chiesa

Anche in questa chiamata alla “nuova evangelizzazione” si manifesta, secondo l’arcivescovo di Chieti-Vasto, una caratteristica fondamentale dell’attuale pontificato: l’impegno per la riforma della Chiesa a partire dalla conversione dei cuori. «Già da cardinale Joseph Ratzinger non aveva nascosto la sua sofferenza davanti a ciò che aveva definito la “sporcizia” nella Chiesa. I suoi interventi da papa hanno affrontato con fermezza e veracità la sfida della purificazione della comunità ecclesiale. Nessuno come Benedetto XVI ha parlato con tanto coraggio della pedofilia, una piaga atroce che tocca l’intera società e purtroppo anche alcuni uomini di Chiesa. Gli attacchi che ne sono conseguiti contro di lui sono facilmente spiegabili: questo papa che ama la verità, la dice senza giri di parole. E questo, in una “società liquida” come la nostra, senza appigli né certezze, appare a molti come una sfida che dà fastidio…
Certo, dalla ferita del male non ci si libera con un banale colpo di spugna o peggio ancora chiudendo gli occhi: il rinnovamento della vita ecclesiale (scriveva il giovane professore, oggi papa) «non consiste in una quantità di esercizi e istituzioni esteriori, ma nell’appartenere unicamente e interamente alla fraternità di Gesù Cristo… Rinnovamento è semplificazione, non nel senso di un decurtare o di uno sminuire, ma nel senso del divenire semplici, del rivolgersi a quella vera semplicità… che in fondo è un’eco della semplicità del Dio uno. Diventare semplici in questo senso: questo sarebbe il vero rinnovamento per noi cristiani, per ciascuno di noi e per la Chiesa intera (Il nuovo popolo di Dio, 1971, 301-303)».
L’autentica riforma passa insomma attraverso l’amore, e questo vuol dire farsi carico delle colpe, fare penitenza e camminare sulla via della conversione, volere la giustizia, anche umana, e la giusta riparazione, stando accanto alle vittime senza alcuna ipocrisia: è la via cui Benedetto XVI sta chiamando la Chiesa intera, a tutti i livelli.
Tutto ciò comporta, comunque, una viva coscienza del fatto che oggi dobbiamo rendere ragione della nostra fede in situazioni molto differenti da quelle del passato cosiddetto “di cristianità”. La crisi che si sperimenta porta infatti con sé i tratti dell’esclusione di Dio dalla vita delle persone, di una generalizzata indifferenza nei confronti della stessa fede cristiana, fino al tentativo di marginalizzarla dalla vita pubblica: «occorre perciò procedere su due direttrici, entrambe necessarie e urgenti. La prima è il rinnovamento della pastorale ordinaria, teso a cogliere tutte le occasioni per far risuonare la freschezza della Buona Novella; la seconda è costituita da nuove proposte e iniziative di evangelizzazione da mettere in atto con creatività e audacia». Su entrambi i fronti, conclude mons. Forte, quello che sarà necessario è mostrare credibilmente agli uomini la bellezza di Cristo: di fronte alla frammentazione post-moderna sarà più che mai urgente proporre ai contemporanei il “Tutto nel frammento”, cioè quella Bellezza che salva rappresentata dall’evangelo del Pastore buono e bello, Gesù.
«Ciò di cui abbiamo soprattutto bisogno in questo momento della storia – ha detto Joseph Ratzinger qualche settimana prima di diventare papa – sono uomini che, attraverso una fede illuminata e vissuta rendano Dio credibile in questo mondo. La testimonianza negativa di cristiani che parlavano di Dio e vivevano contro di lui, ha oscurato l’immagine di Dio e ha aperto la porta dell’incredulità. Abbiamo bisogno di uomini che tengano lo sguardo dritto verso Dio, imparando da lì la vera umanità. Abbiamo bisogno di uomini il cui intelletto sia illuminato dalla luce di Dio e a cui Dio apra il cuore, in modo che il loro intelletto possa parlare all’intelletto degli altri e il loro cuore possa aprire il cuore degli altri. Soltanto attraverso uomini che sono toccati da Dio, Dio può far ritorno presso gli uomini” (Subiaco, 1 aprile 2005)».