A fine gennaio 2011 il Rettor Maggiore dei Salesiani ha indetto per tutta la congregazione un triennio di preparazione e un anno celebrativo per il bicentenario della nascita di don Bosco. Un’occasione per approfondire il carisma e per ravvivare l’impegno della fedeltà alla vocazione. In questi anni la congregazione salesiana ha registrato una perdita media annua di circa 110 novizi e 220 professi temporanei, su una media di 530 novizi: la fragilità vocazionale è una causa di tali uscite, anche se non è l’unica. È utile ricordare che, favorendo processi di fedeltà, si potranno superare in certa misura le infedeltà e il fenomeno degli abbandoni.
Rilettura della propria storia
vocazionale
La fedeltà vocazionale è prima di tutto un dono di Dio, come lo è la vocazione.
Siamo consapevoli che fin dall’inizio della nostra storia vocazionale c’è
l’iniziativa di Dio. Egli per amore ci ha chiamati all’esistenza, ci ha fatti
crescere in una famiglia, ci ha posti a vivere in una cultura particolare. Nel
battesimo ci ha resi suoi figli. Lungo il percorso della vita, attraverso
incontri e situazioni, ci ha accompagnati a maturare nella fede, ad amare Gesù,
ad accogliere la sua Parola e i sacramenti, ad affidarci a Maria, a sentirci
parte della Chiesa, a fare dono di noi stessi agli altri. È venuto poi il giorno
in cui ci siamo sentiti attirati a seguire Gesù più da vicino. La chiamata non è
arrivata improvvisamente; è stata l’esito di un progetto d’amore che Dio ha
pensato prima della nostra nascita e ha messo in atto attraverso i suoi
interventi e le nostre risposte… Dio ha dilatato il nostro cuore, dandoci la
grazia di sentirci amati da Gesù e di amarlo di tutto cuore; ci ha aiutati a
identificarci con i suoi sentimenti e il suo stile di vita; ci ha resi
disponibili per il servizio ai giovani, come ha fatto Don Bosco. Così con la
professione religiosa nella congregazione abbiamo offerto a Dio e ai giovani non
solo il cuore, i beni e l’autonomia, ma tutto noi stessi. Eravamo consapevoli
che ogni scelta richiede la rinuncia ad altre opportunità; d’altra parte,
abbiamo trovato la scelta di Gesù e della sua missione così affascinante che ci
siamo sentiti lieti di lasciare altre cose. Così ha fatto Don Bosco che per le
anime ha lasciato perdere tutto il resto; così il mercante del Vangelo che, dopo
aver trovato la perla preziosa, con gioia ha venduto tutto, per poterla
acquistare (cf. Mt 13,44-46). L’accoglienza della vocazione alla VC è stata
motivata dalla bellezza del dono; eravamo convinti di trovare felicità in questa
vocazione; abbiamo preferito dire di no ad alcune realtà buone, per dire di sì
ad altre per noi migliori. E così abbiamo iniziato un cammino di fedeltà alla
vocazione che Dio ci ha dato; è sulla vocazione infatti che si fonda la fedeltà.
La vocazione non si sceglie, ma ci è data; noi possiamo solo riconoscerla e
accoglierla; se fossimo noi a sceglierla, non si tratterebbe più di vocazione,
ma di un progetto che potremmo sempre cambiare. Con la professione religiosa Dio
conferma l’alleanza stabilita con noi nel battesimo… Essere fedeli vuol dire
rinnovare la nostra risposta a questa speciale alleanza che Dio ha sancito con
noi. Sull’esempio di don Bosco ogni giorno ripetiamo: «Ho promesso a Dio che fin
l’ultimo mio respiro sarebbe stato per i miei poveri giovani». Talvolta la
nostra risposta può essere incerta, debole, infedele, ma non per questo
l’alleanza di Dio con noi viene meno; Egli non ritira la sua alleanza. La
fedeltà di Dio fonda e richiama la nostra fedeltà.
Possibilità di una scelta
definitiva
La fedeltà vocazionale è impegno di
amore; è una scelta libera che abbraccia tutta la vita fino alla fine. L’impegno
“per sempre” è un’esigenza dell’amore; infatti la misura dell’amore è di non
avere misura; così è stato l’amore di Gesù che “avendo amato i suoi che erano
nel mondo, li amò fino alla fine” (cf. Gv 13,1). Nei rapporti interpersonali
l’amore è impegno totale e incondizionato; un amore parziale e provvisorio non è
autentico; il mettere condizioni all’amore, per esempio un limite di tempo,
svuota l’amore del suo significato. L’amore richiede totalità e definitività…
Talvolta potrebbe sorgere in noi un interrogativo: è possibile vivere la fedeltà
fino alla fine? Se facessimo affidamento solo sulle nostre forze, sarebbe
difficile rispondere; ma la fedeltà trova il suo sostegno nella fedeltà di Dio.
Con la sua alleanza Dio si unisce a noi come un partner affidabile; non si
tratta quindi di quanto duri la nostra forza, ma di quanto dura la sua; essa
dura per sempre. Testimonianza della fedeltà di Dio è la storia della salvezza.
Dio è sempre fedele. Ciò ci dà fiducia perché sappiamo che, nonostante la nostra
debolezza, Dio che ha iniziato in noi la sua opera, la porterà a compimento (Fil
1,6); non permetterà che siamo provati al di sopra delle nostre forze (1Cor
10.13); la sua grazia ci basterà (2Cor 12,9). Nonostante le nostre infedeltà,
egli rimane fedele perché non può contraddire se stesso (2Tm 2,13). I suoi doni
sono irrevocabili (Rm 11,29). La fedeltà di Dio rende possibile la nostra
fedeltà.
Un’altra domanda ci potrebbe inquietare: come possiamo vivere fedeli fino alla
fine? Noi non possiamo sapere se il nostro impegno sarà definitivo; solo la
fedeltà quotidiana è ciò che, con la grazia di Dio, possiamo assicurare. Quando
nella professione religiosa diciamo “per sempre”, non stiamo annunciando che
cosa succederà, ma che cosa vogliamo che accada. Il Rettor Maggiore scrive al
riguardo: «La fedeltà ha una caratteristica tipica che la distingue da altre
virtù. Possiamo paragonarla, nel campo delle belle arti, con la musica in
confronto alla pittura e la scultura: posso contemplare, in un solo momento, una
bella statua o un quadro famoso, ma non posso ascoltare, istantaneamente, la
Nona Sinfonia di Beethoven o Il Flauto Magico di Mozart: qui è indispensabile il
suo “spiegamento” nel tempo, la sua “storicità”... In maniera analoga, la
fedeltà non può realizzarsi se non come esperienza storica». Perciò è necessario
assicurare una risposta a Dio tutti i giorni. Poiché viviamo in un mondo in
continua trasformazione e anche noi cambiamo, non ci può essere che una fedeltà
dinamica e creativa. Non si tratta di restare fedeli, ma di diventare fedeli.
Fare la professione religiosa è «come disegnare una cornice: delimita dei
confini e distingue lo spazio interno da ciò che rimane fuori; questo spazio
dovrà essere riempito dalle decisioni future, le quali saranno qualificate come
riuscite e vere, solo se saranno nella stessa linea di questo primo inizio
liberamente scelto». …
Fedeltà minacciata
Nell’epoca odierna la fedeltà non è
percepita immediatamente come valore; pertanto risulta arduo creare una
mentalità di fedeltà. La cultura, soprattutto postmoderna, mentre apprezza
valori, come per esempio la sincerità della persona e l’autenticità delle sue
relazioni, non favorisce legami forti. D’altra parte, la fedeltà risulta debole
anche nei modi di pensare e vivere la vocazione cristiana e in particolare la
vocazione alla vita consacrata. Anche se le situazioni presentano difficoltà e
minacce, occorrerà sempre cercare le modalità per trasformarle in opportunità e
risorse.
Rapidità del cambiamento culturale
In tempi recenti lo sviluppo
accelerato della tecnologia, il ruolo centrale dell’attività economica e
l’enorme impatto dei media hanno contribuito a un notevole cambio culturale
nella società, non solo in quella occidentale ma, a motivo della
globalizzazione, anche nel resto del mondo. Alcuni aspetti della cultura o delle
proprie culture pongono sfide alla fedeltà vocazionale o la minacciano. Occorre
esserne consapevoli, per trasformare tali sfide in punti di partenza
dell’azione. Nella società consumista la persona sperimenta la difficoltà di
scegliere; spesso è indotta a soddisfare ciò che è immediato e a portata di
mano; si abitua a una mentalità di “usa e getta”. Anche le convinzioni, i valori
e i rapporti sono considerati merce da procurare, usare e gettare. Si fa sempre
più strada la cultura del gradimento, di ciò che mi piace e mi reca
soddisfazione. I modelli consumisti di vita si diffondono anche nei paesi
poveri. Con questa mentalità, se una scelta non piace o risulta difficile, può
essere cambiata. Si privilegia la realizzazione esclusiva dei propri bisogni e
desideri; si perde stima per la fedeltà, la verità, gli affetti stabili; si
trascurano impegni di lungo termine. Così la persona rischia di essere
psicologicamente fragile e immatura. Inoltre si respira una diffusa mentalità
relativista. Si ha un’enorme quantità di immagini e opinioni. Mancando il tempo
o la capacità di fermarsi a riflettere, si rischia di essere informati di tutte
le novità, ma di vivere superficialmente. La ricerca della verità non affascina,
perché tale impegno è faticoso e l’esito è incerto. Non si sa distinguere ciò
che è essenziale da ciò che è effimero. Così tutto diventa fluido; la storia
perde significato e il nichilismo è sempre all’orizzonte.
Siamo nella società “liquida”. Vivendo in continuo cambiamento, si ha paura a
prendere impegni. Si preferisce vivere “puntualmente” e impegnarsi nel presente.
Non si capisce perché legarsi a scelte definitive all’inizio della giovinezza,
quando non si ha nessuna esperienza del futuro. Se per caso, precedentemente
sono stati presi degli impegni, si giustifica l’abbandono delle scelte fatte,
dicendo: “oggi io vedo le cose diversamente e domani potrei pensare ancora in
modo differente”. In questo clima, dunque, le decisioni dipendono spesso più
dalle proprie opinioni immediate, emozioni e desideri che dalle motivazioni e
convinzioni; ci si lascia trascinare dal facile entusiasmo e dallo spontaneismo.
Una forte impressione può talvolta provocare cambi radicali e improvvisi nelle
scelte di vita, senza valutarne le conseguenze; ciò che è importante è superare
la situazione di malessere in cui ci si trova o raggiungere un benessere
sperato, anche se non garantito. Diminuisce in questo modo la capacità di
attesa, rinuncia e sacrificio in vista di beni più duraturi nel futuro. Diventa
pesante accettare la croce della quotidianità, la disciplina, l’ascetica,
l’autocontrollo, e quindi ci si arrende facilmente di fronte alle difficoltà.
Sorge allora la domanda: come poter vivere fedeli alla vocazione consacrata in
un tempo di cambi radicali e di trasformazioni rapide?
Debolezza della identità della
vita consacrata
Ci sono, oltre ad aspetti culturali,
anche motivi interni alla VC che la rendono debole. Ciò avviene specialmente
quando si affievolisce o si perde il senso della propria identità di persona
consacrata, che è chiamata a vivere come “memoria vivente del modo di esistere e
di agire di Gesù” tra i giovani. Se la VC non vive in modo profetico la mistica
del primato di Dio, il servizio ai più poveri, la fraternità della comunione,
non solo perde la propria identità, ma pone anche a rischio la fedeltà del
consacrato. Il rischio aumenta quando poi si assume il “modello liberale” di VC,
che può farsi strada soprattutto nelle culture secolarizzate.
Alla VC si richiede un’esperienza intensa di fede e vita spirituale, che
coinvolga l’esistenza, dia il primato a Dio, faccia sperimentare l’amore del
Signore Gesù, riempia il cuore di passione apostolica. Quando però si vive con
superficialità nella vita spirituale o l’esperienza spirituale risulta marginale
o perde la sua forza mistica, i valori della VC non vengono interiorizzati così
da penetrare nel cuore a livello di affetti, sentimenti, convinzioni e
motivazioni. Allora si possono vivere in modo esteriore la preghiera,
l’obbedienza, povertà e castità, o la vita comunitaria; non c’è più una vita
autentica, ma solo un’osservanza formale; non si vive la radicalità evangelica.
Progressivamente la vocazione di VC perde senso. Di conseguenza, con il tempo,
si ha anche la perdita della passione apostolica, diluisce la capacità di
gratuità e generosità, si sente stanchezza psicologica e spirituale… Alcuni
confratelli, a causa di un mancato ridimensionamento delle opere,
dell’invecchiamento e della scarsità di vocazioni, si trovano caricati di lavoro
eccessivo e non sempre soddisfacente; altri si scoraggiano per il proprio senso
di inadeguatezza o per gli scarsi risultati; allora non è difficile capire i
motivi di una certa frustrazione apostolica. Non c’è più dinamismo, inventiva,
creatività. E quando l’impegno apostolico perde di significato, ci si interroga
sul senso della propria vocazione. Se poi si sperimenta la mancanza della vita
fraterna, allora prende piede l’individualismo; ciò porta il confratello ad
allontanarsi dalla comunità e a vivere nel proprio mondo. Così si danneggia lo
spirito di famiglia e il senso di appartenenza. Gli incontri comunitari
risultano formali. Tutti vorrebbero un contatto umano profondo, ma si sentono a
volte più impiegati di un’impresa che consacrati per una missione. Gradualmente,
se non si è attenti, si slitta verso la mediocrità e l’imborghesimento; si evita
l’ascesi; si cerca la vita facile. Si perde la fiducia nel carisma. Mancando un
ambiente vitale in comunità, alcuni cominciano a trovarlo fuori. La VC viene
ormai sentita come un peso e la fedeltà incomincia a fare problema.
Ci sono anche altri fattori che accentuano le difficoltà. In tempi passati la
persona consacrata godeva prestigio; ciò facilitava la fedeltà, anche nei casi
in cui l’individuo si sentiva fragile o meno sicuro nella vocazione. Oggi la
Chiesa appare talvolta poco credibile e l’immagine della persona consacrata gode
di minor stima; allora c’è poco spazio e scarso riconoscimento per il suo ruolo;
spesso si incontrano indifferenza, disinteresse, apatia…
Fedeltà custodita
La vocazione è un dono inestimabile,
ma è anche “un tesoro in vasi di creta” (2Cor 4,7); occorre perciò porre tutto
l’impegno per “ravvivarla (2Tm 1,6)” continuamente con la fedeltà. Proprio
perché è esposta ai rischi e alle minacce della mentalità e degli stili di vita
deboli, specialmente alla nostra radicale fragilità, la fedeltà è una realtà da
vivere quotidianamente. Essa si nutre di vigilanza, prudenza e attenzione, ma ha
anche bisogno di essere coltivata e sorretta.
Nel tempo della formazione
iniziale
L’esperienza odierna ci insegna a
dare importanza al mondo interiore della persona con i suoi affetti, emozioni e
sentimenti, ma anche con i suoi atteggiamenti, motivazioni e convinzioni.
Occorre per questo un lavoro di personalizzazione in tutto il processo
formativo, cominciando dalla formazione iniziale, che si prefigga di
«raggiungere la persona in profondità».
Ecco ora alcuni aspetti dell’esperienza di formazione iniziale, che favoriscono
una vita di fedeltà. Anzitutto, fin dai primi passi della formazione, il
processo di maturazione umana merita una grande attenzione. La scarsa stima di
sé, per esempio, fa sentire la persona poco compresa, poco apprezzata e amata
dagli altri; quando non riceve sufficiente affetto e considerazione, essa vive
in difficoltà e si chiude; ciò spiega alcuni problemi connessi con la pratica
della castità, che poi intaccano la fedeltà. È necessario quindi che il
formando, mentre va scoprendo la presenza di Dio nella propria storia, ponga
attenzione a ciò che vive nel profondo di se stesso, non tacendo problemi
personali, interrogativi, incertezze, e quindi ricorrendo all’aiuto psicologico
e all’accompagnamento spirituale.
La formazione in queste tappe iniziali deve mirare a preparare persone con una
maturità psicologica e affettiva e una capacità di vivere serenamente la
castità; ciò dà forza alla fedeltà. Poiché l’amore occupa un posto centrale
nella vita, la formazione all’affettività e alla castità necessita una profonda
vita spirituale, mirata essenzialmente a far innamorare di Gesù, e insieme a
lui, di Dio, di Maria, di don Bosco. Sentendo Gesù Risorto come suo “amico”,
questo “grande amore, vivo e personale” per lui diventa il centro unificatore
della vita del formando…
È l’amore che fa vivere la fedeltà alla vocazione. Per questo occorre favorire
un grande cambio nella prassi formativa e aiutare il formando ad assumere la
capacità di preghiera personale, iniziando dalla meditazione quotidiana, fatta
per almeno mezz’ora e preferibilmente nella forma della “lectio divina”, la
visita e adorazione eucaristica, la confessione, fino all’unione con Dio. Anche
l’affidamento personale a Maria va coltivato; esso ha una forte connotazione
affettiva che sostiene castità e fedeltà.
La formazione iniziale, che è il processo di identificazione con la vocazione
consacrata salesiana, mira a formare dei discepoli e degli apostoli di Gesù,
secondo lo stile di son Bosco; il suo centro è quindi la vita spirituale e
l’impegno apostolico. L’amore per il Signore si converte in passione apostolica
che ispira entusiasmo nel formando per la missione giovanile e lo porta ad amare
i giovani con generosa disponibilità e a stare volentieri tra di loro, mettendo
tutto se stesso al loro servizio. E ciò sorregge la sua fedeltà. Seguendo i
passi del processo di ripensamento della pastorale giovanile, è necessaria una
formazione pastorale, che è fatta di riflessione aggiornata e prassi impegnata
secondo il cammino che la congregazione sta facendo.
Lo stesso amore motiva la formazione intellettuale. Pieno di passione
apostolica, il formando riconosce la necessità di prepararsi per il servizio
educativo pastorale. Egli trova nella formazione intellettuale una base solida
per la sua vita spirituale; acquisisce conoscenza e competenza per la missione
salesiana; si forma una mentalità coerente con la vocazione. Allo stesso tempo
valorizza gli aspetti positivi della modernità e postmodernità e si prepara a
non smarrirsi di fronte alle tendenze relativiste e nichiliste della cultura e
al disorientamento morale. Per questo la formazione intellettuale deve aiutare
il cambio della mentalità e, se vuole incidere su motivazioni e convinzioni del
formando, deve assumere anche una connotazione affettiva.
Oggi siamo più coscienti dell’importanza della formazione iniziale; per questo
si sono fatti notevoli passi per migliorare i contenuti e le metodologie
formative, irrobustire le comunità formatrici e i centri di studio, preparare i
formatori. Per quanto sia buona, la formazione iniziale è però anche consapevole
che nella vita vi sono continui e imprevedibili cambiamenti; quindi essa si
sente interpellata a sviluppare nel formando la capacità di vivere la vocazione
in fedeltà creativa, ossia ad assumere una mentalità di formazione permanente.
«La formazione iniziale deve… saldarsi con quella permanente, creando nel
soggetto la disponibilità a lasciarsi formare in ogni giorno della vita». Per
questo è necessario che il formando irrobustisca la sua capacità di
autoformazione, attento però a non alimentare l’individualismo nei propri
cammini formativi.
Nel tempo della formazione
permanente
Un grande sostegno della fedeltà
vocazionale è la formazione permanente; essa infatti aiuta a far fronte alle
sfide provenienti dalla cultura che cambia e dalla persona che evolve nel corso
della vita…
Impegno personale
La formazione permanente è affidata
in primo luogo alla responsabilità personale. Occorre l’atteggiamento e
l’impegno personale di voler crescere nella propria vocazione. «Ogni formazione
è ultimamente un’autoformazione. Nessuno, infatti, può sostituirci nella libertà
responsabile che abbiamo come singole persone». Purtroppo capita che
specialmente nei primi anni del pieno inserimento apostolico, ma non solo,
buttandoci nel lavoro, ci esponiamo a pericoli come l’abitudine, l’attivismo, la
demotivazione. Dunque, ci vuole l’impegno personale che sa utilizzare tutte le
opportunità che incontriamo nella nostra vita, per mantenere vivo in noi il
desiderio di crescere ed essere fedeli; l’animazione comunitaria, il clima di
preghiera, la passione apostolica, lo studio, le relazioni fraterne sono
situazioni da valorizzare.
Uno dei mezzi più efficaci per custodire la fedeltà vocazionale è la vita
spirituale. Il nostro cuore è fatto per amare ed essere amato; abbracciando la
VC, abbiamo dato il nostro cuore al Signore Gesù in risposta all’amore che
abbiamo ricevuto da lui…
Congiuntamente alla vita spirituale e come suo frutto vi è la passione
apostolica del “da mihi animas, cetera tolle”. Si tratta di uno zelo pastorale
ispirato dall’amore per il Signore Gesù e per il carisma di don Bosco, che ci fa
cercare in tutto “la gloria di Dio e la salvezza delle anime”. La passione
apostolica evoca il meglio che vi è in noi: l’amore per i giovani, la
generosità, la dedizione, la creatività, la comunione con altri operatori
pastorali, ma anche lo spirito di sacrificio, l’ascesi, l’autodisciplina. Essa
purifica le nostre motivazioni; ci preserva dallo scoraggiamento nei momenti di
difficoltà; in cambio, ci riempie di gioia e soddisfazione per la vocazione.
Ciononostante, una crisi vocazionale è sempre possibile; essa non arriva
all’improvviso, ma si sviluppa progressivamente; può riguardare la vita di fede,
la stanchezza psicologica, la delusione apostolica, la perdita di motivazioni.
Spesso tale crisi riguarda affettività e castità; si comincia con piccoli
cedimenti e gratificazioni che all’inizio sembrano leciti o innocui, ma che
gradualmente si trasformano in abitudini e comportamenti ambigui, fino a
evolversi in crisi vocazionale. Anche in questi momenti è però sempre possibile
tornare indietro e riprendere una vita fedele; queste situazioni non sono
irreversibili. È importante riconoscere che siamo fragili; non possiamo mai
presumere delle nostre forze. Proprio per questo dobbiamo esercitare prudenza e
vigilanza e avere autodisciplina e autocontrollo. In questo ambito giova molto
la sincerità con noi stessi e con una guida spirituale; occorre il coraggio di
confrontarci onestamente davanti a Dio, di riconoscere in noi sentimenti,
comportamenti e atteggiamenti che non sono coerenti…
Cura comunitaria
La comunità è un grande sostegno per
la fedeltà, trovandosi vicina ai confratelli nelle loro situazioni concrete. La
comunità può avere debolezze e limiti, ma possiede pure elementi di vitalità che
la rendono il luogo privilegiato per far fronte alle sfide della fragilità
vocazionale dei formandi e alle difficoltà della fedeltà vocazionale dei
confratelli di ogni età. Una realtà viva, vivace e vitale suscita interesse,
fascino, attrattiva; ma soprattutto genera fecondità, autenticità, totalità di
risposta. La vita genera vita…
Tra i suoi elementi vitali, uno che racchiude grandi risorse per la fedeltà è lo
stile di vita e di lavoro. L’accoglienza e la gioia dello stare insieme fa sì
che ognuno si senta amato, apprezzato, valorizzato. Vi è una ricchezza di
rapporti da scoprire e ricevere. Lo spirito di famiglia crea una mentalità di
comune ricerca e discernimento; il clima di fede e di preghiera rafforza le
motivazioni interiori e dispone a vivere con radicalità evangelica e dedizione
apostolica; la buona impostazione del lavorare insieme e dei progetti
comunitario e pastorale favorisce la crescita, migliora la prestazione
apostolica, fa evitare stress e affaticamento. E se qualcuno si trovasse in
difficoltà, il senso di responsabilità reciproca dei confratelli li fa attenti
ai primi segnali del suo disagio; gli sono di sostegno la loro amicizia,
interesse e comprensione; gli è di stimolo la loro vita esemplare.
Di particolare rilievo è anche l’impegno che la comunità assume per aiutare i
confratelli ad approfondire l’identità della vita consacrata salesiana. La
comunità favorisce l’aggiornamento nella salesianità, la riflessione sulle
Costituzioni, lo studio della condizione giovanile, anche mediante la presenza
dei giovani nei suoi incontri o la sua presenza nei loro ambienti di vita,
l’apprendimento di nuovi approcci nella pastorale giovanile e nella catechesi,
la comunicazione del carisma. Così i confratelli vivono una profonda esperienza
di riconoscenza a Dio per il dono della vocazione; sentono la fierezza di essere
membri della congregazione e figli di don Bosco; sperimentano gioia, entusiasmo
e impegno nella vocazione.
A tutto ciò contribuisce decisamente il modo di esercitare il servizio di
autorità nella comunità. Il direttore si impegna a creare un clima di
accoglienza e rispetto per ogni confratello, così da farlo sentire ‘a casa sua’;
mantiene un contatto giornaliero con ciascuno, agendo sempre come “padre,
fratello e amico”. È sua preoccupazione tenere tutti uniti in fraternità e
corresponsabilità. Dimostra sollecitudine per chi soffre, si sente solo, si
trova ai margini, è in difficoltà. Con il colloquio e l’accompagnamento
spirituale aiuta i confratelli a vivere un’affettività matura, ad assumere la
responsabilità per la propria formazione, a trovare la gioia del rapporto
amichevole con il Signore Gesù, a fare buon uso del tempo e dei mezzi di
comunicazione sociale, a progettare la propria vita personale e a far fronte
alle difficoltà dell’azione apostolica. La sua animazione mira ad assicurare un
buon livello di vita spirituale e pastorale nella comunità, curando la preghiera
e ascesi comunitaria, la condivisione fraterna, l’apostolato.
Responsabilità ispettoriale
Pur essendo una realtà complessa,
anche la comunità ispettoriale gioca una parte notevole nel favorire la fedeltà
dei suoi membri, in quanto infonde in loro anzitutto il senso di appartenenza.
La fraternità che si sperimenta nell’Ispettoria, particolarmente in occasione di
professioni, ordinazioni e anniversari, la sollecitudine nel caso di malattia,
la vicinanza nei momenti di perdita di familiari, sono prove di affetto verso i
confratelli e vincoli che legano all’Ispettoria. È importante che le relazioni
tra confratelli e con l’autorità siano serene; i confratelli siano coinvolti nei
processi di discernimento in vista di importanti scelte ispettoriali; si
percepisca nell’Ispettoria una mentalità e una “cultura” coerente con l’identità
della VC salesiana. Allo stesso tempo, è di grande aiuto per la crescita e la
fedeltà dei confratelli la formazione permanente. In un mondo che cambia
rapidamente e dove le persone evolvono con il passaggio degli anni, “la
formazione continua [aiuta] il religioso a integrare una crescita dinamica e una
fedeltà nelle circostanze concrete dell’esistenza”. Essa facilita la
trasformazione della “cultura ispettoriale”, specialmente in riferimento alla
identità della VC. Giova per questo una buona animazione ispettoriale, con
offerte di varie opportunità per la crescita e il rinnovamento spirituale e
pastorale dei confratelli. In particolare, è necessaria un’attenzione speciale
ai confratelli del tirocinio e del “quinquennio”; non è sempre facile infatti il
passaggio da una vita organizzata e accompagnata nella comunità formatrice al
pieno inserimento nel lavoro educativo e pastorale; ciò esige un ripensamento
delle modalità di inserimento e di accompagnamento di questi confratelli. Infine
è rilevante il modo in cui l’Ispettoria svolge la missione nel territorio. Ciò
esercita infatti un influsso considerevole sulla fedeltà dei confratelli. Perciò
importa che essi possano dedicarsi ai giovani, specialmente ai più poveri,
impiegando i propri doni e capacità e avendo la possibilità di una presenza
animatrice tra loro. Importa che possano vivere e lavorare insieme in comunità,
numericamente e qualitativamente consistenti, di fratelli consacrati pienamente
dediti a Dio e sostenuti da Lui. Importa che le forze presenti nella comunità
educative pastorali siano adeguate per compiere un lavoro sereno ed efficace che
dia testimonianza, attiri vocazioni, coinvolga collaboratori. La missione gioca
un ruolo centrale nella vita dei confratelli e costituisce uno stimolo per la
loro fedeltà vocazionale; le Costituzioni affermano che “la missione dà a tutta
la nostra esistenza il suo tono concreto”.