«Sono 25 anni che l’università lateranense è la mia famiglia e sono 20 anni che vi insegno nell’Istituto Utriusque Juris». Forte di queste credenziali, p. Sebastiano Paciolla, cistercense di Casamari, sottosegretario del dicastero vaticano per la VC, nel suo intervento tenuto in occasione della recente commemorazione dei 15 anni di Vita consecrata , ha affrontato il tema delle nuove forme di VC.
Nel “grande alveo” del diritto di associazione, anche nella Chiesa si ha oggi a che fare con un numero sempre più ampio e diversificato di aggregazioni. In base alla letteratura esistente o agli Atti di convegni ad hoc , è possibile dire che sotto l’espressione nuove forme si ha a che fare con «varie realtà di aggregazione che si presentano come tali invocando tutte Vita Consecrata». Si tratta di associazioni di fatto, di gruppi di fedeli con vita comune, di associazioni private e pubbliche di fedeli, di porzioni di movimenti ecclesiali, di associazioni pubbliche in itinere, quelle, cioè, che nascono con la chiara prospettiva di diventare poi un istituto religioso. Sotto la voce nuove forme è possibile trovare non solo istituti religiosi diocesani di nuova erezione, ma anche, a volte, nuovi istituti pontifici.

La normativa vigente

La specifica normativa di riferimento è sostanzialmente riconducibile alla propositio 13 del sinodo sulla VC del 1994, ai numeri 12 e 62 dell’esortazione Vita consecrata del 1996 e al canone 605 del codice di diritto canonico del 1983. Non tutti i fenomeni aggregativi della Chiesa che si autodefiniscono come nuove forme, dice Paciolla, «lo sono in realtà». Così pure, non è detto che tutti i fenomeni aggregativi con vita comune nascano per diventare «nuovi istituti di VC o società di vita apostolica». Vita consecrata viene pubblicata 13 anni dopo la promulgazione del nuovo codice di diritto canonico. Ora nel canone 605 viene detto che l'approvazione di nuove forme di VC è riservata alla sede apostolica, previa opera di discernimento dei vescovi diocesani. Anche se alquanto “generico”, di fatto, questo canone è stato preso come punto di riferimento per tutte quelle realtà aggregative nella Chiesa, che, non rientrando in alcuna delle altre forme già esistenti (istituti religiosi, istituti secolari, società di vita apostolica ecc.), si sono riconosciute come sue possibili “destinatarie”.
Precisazioni di particolare valore al riguardo, sono quelle offerte dai nn. 12 e 62 di Vita consecrata. Un primo chiaro criterio è quello di saper discernere se si tratti di nuove forme o di nuovi istituti che, in quanto tali, rientrano nelle realtà già esistenti. «Di fronte al modificarsi di nuovi gruppi i cui membri assumono i consigli evangelici, commenta Paciolla, si deve vagliare l'autenticità dell'ispirazione e delle finalità che essi vogliono raggiungere, per evitare la moltiplicazione di istituzioni tra loro analoghe e la fragmentazione in gruppi ristretti».
Un simile discernimento è fondamentale per tutta una serie di motivi. Esistono, infatti, gruppi di persone consacrate che «pur inserendosi in filoni spirituali già esistenti e con finalità simili ad altri istituti (in genere, istituti religiosi) già approvati, tuttavia non sono attratti dalla forma concreta di vita di tali istituti, in quanto appare ad essi inadeguata alle esigenze apostoliche attuali». Qualora una simile ispirazione risultasse autentica, sempre in base al n. 12, essa potrebbe favorire non solo un rinnovamento della vita religiosa, ma anche un arricchimento della Chiesa.

Aspetti essenziali ormai acquisiti

Un secondo criterio, non meno importante, è quello riguardante più direttamente quelle «esperienze originali che ancora sono alla ricerca di una loro identità nella Chiesa». Perché si possa parlare di una nuova forma VC, l’esortazione stabilisce che i suoi tratti specifici devono risultare fondati sopra gli elementi essenziali teologici e giuridici che sono propri della VC e che troviamo espressi nel can. 573, un canone “introduttivo” a tutti quelli riguardanti gli istituti di VC. Ora, il tratto specifico fondamentale, grazie al quale la VC, nel corso della sua multiforme varietà storica, ha saputo conservare un'unità di fondo, «è la chiamata a seguire, nella ricerca della perfetta carità, Gesù vergine, povero e obbediente».
Anche qui, però, è andato sempre più chiaramente imponendosi un ulteriore criterio di discernimento secondo il quale «non possono essere comprese nella specifica categoria della VC quelle pur lodevoli forme di impegno che alcuni coniugi cristiani assumono in associazioni o movimenti ecclesiali quando, nell’intento di portare alla perfezione della carità il loro amore come già consacrato nel sacramento del matrimonio, confermano con voto il dovere della castità propria della vita coniugale e, senza trascurare i loro doveri verso i figli, professano la povertà e l'obbedienza».
Perché queste nuove realtà possano essere eventualmente approvate come forme di VC, «tutti i membri devono assumere, con qualche vincolo sacro pubblico, i tre consigli evangelici di castità nel celibato, di obbedienza e di povertà, pur ammettendo altri impegni come aggregati o associati che non assumono affatto i consigli evangelici o non li assumono tutti e tre».
L’originalità di tali comunità rispetto a quelli finora esistenti, secondo Vita consecrata (62), consisterebbe nel fatto che «nella loro unitarietà, talvolta con rami differenziali, sarebbero composti da uomini e donne, chierici e laici, impegnati in un programma comune di vita evangelica e di servizio apostolico, sotto il governo di chierici e di laici». I coniugi che partecipassero alla spiritualità e alle attività di queste comunità eventualmente riconosciute come forme di VC, non possono essere considerati “membri” a pieno diritto. Se tali gruppi volessero, invece, la piena integrazione di coniugati, la figura giuridica in cui rientrare attualmente non può che essere quella di associazione di fedeli. Per quanto poi concerne l’approvazione di queste esperienze originali come nuove forme di VC, previo discernimento dei vescovi nelle singole diocesi, essa è di competenza esclusiva della Santa Sede. Purtroppo, ha commentato Paciolla, l’apposita commissione prevista dal n. 62 di Vita consecrata e istituita a questo specifico scopo, finora «non ha fornito nessun criterio utile di discernimento».

La prassi attuale del dicastero

In una situazione come quella attuale è andata per forza di cose consolidandosi la prassi del dicastero. A partire dal nuovo codice e soprattutto a partire da Vita consecrata, il dicastero, infatti, ha creato una nuova realtà, quella di “famiglia ecclesiale di VC”. La novità, ha precisato Paciolla, «non riguarda tanto l'aspetto giuridico e teologico, ma quello strutturale». Sicuramente a sorpresa della gran parte di quanti gremivano l’aula magna del Laterano, ha subito precisato che, sulla base della documentazione del dicastero, le “nuove famiglie ecclesiali di VC” non sono più di 31, un numero ben al di sotto delle oltre 200 nuove forme di cui si era parlato nel convegno del 2007.
Senza entrare nel merito di eventuali nuovi elementi teologici o giuridici, il dicastero, di fronte alle richieste di approvazione di eventuali nuove forme di VC, oggi si muove sulla base di alcuni punti comuni ormai dati per acquisiti. Sia che si tratti di istituto, famiglia, comunità, opera, fraternità ecc., il soggetto giuridico istituzionale unico è formato in genere da due rami principali di consacrati: uomini celibi, chierici e laici, e donne nubili che assumono i consigli evangelici con voti pubblici o altri sacri vincoli. Solo questi sono i membri pleno jure della famiglia ecclesiale di VC. Vi possono essere anche membri associati, laici e sposati, mai, però, come membri pleno jure. Inoltre, i laici, se coniugati, devono avere un loro statuto – separato dalle costituzioni della famiglia ecclesiale – nel quale vengono chiarite le norme riguardanti la loro vita, la loro organizzazione, la loro relazione con l'istituto.
Anche per quanto concerne il governo, sono previsti due rami separati principali, con una propria struttura dotata di una certa autonomia, mentre al vertice c’è il presidente con un’autorità prevista dalle costituzioni approvate dalla Santa Sede. Il presidente, avente autorità su tutto l'istituto, viene eletto in assemblea generale ed è assistito da un consiglio che risulta essere la somma dei due responsabili dei rami principali dei loro rispettivi consigli. Secondo il tipo di famiglia è possibile avere come presidente un uomo o una donna, un chierico o non chierico. «Se il presidente non è chierico le facoltà dell'ordinario spettano al superiore del ramo maschile che deve essere necessariamente chierico». Dopo l'approvazione diocesana, i membri chierici delle nuove famiglie vengono incorporati all'istituto. Tutti questi elementi, ha commentato Paciolla, formano l’ubi consistam di riferimento per l’approvazione delle nuove famiglie da parte del dicastero. Com’è facile intuire, è sempre determinante il discernimento dei vescovi locali.

Un discorso ancora aperto

Sul tema delle nuove forme di VC si era già espressa la “Plenaria” del dicastero del 2005. Già in quella occasione si era pervenuti alla conclusione di escludere dalle nuove forme «tutte quelle che comprendono la vita matrimoniale, quelle che prevedono la effettiva convivenza di uomini e donne e quelle che contemplano forme temporanee di consacrazione». Dal momento che «il diritto segue l'esperienza della vita», non è da escludere, ha detto Paciolla, che in una prossima “Plenaria” si possa opportunamente riprendere il discorso della problematica relativa ai criteri comuni per l’approvazione delle nuove famiglie ecclesiali. L'impegno dei prossimi anni sarà sicuramente quello di «giudicare se le realtà che chiedono il riconoscimento come nuove forme lo siano realmente e poi valutare se quanto approvato negli ultimi anni, anche alla luce di quanto deciso nella “Plenaria” del 2005, corrisponda realmente al concetto di nuove forme oppure debba essere ricondotto a forme già esistenti e consolidate».
È importante, ha concluso il relatore, quanto viene ribadito da Vita consecrata, e cioè che le nuove forme di VC sorte lungo la storia, «non hanno mai soppiantato quelle precedenti. Un segno dello Spirito sembra essere proprio quello che le nuove forme non si presentano come alternative a quelle esistenti». Attingendo a Lumen gentium 43 si può allora sicuramente parlare anche della VC come di «una pianta dai molti rami che affonda le sue radici nel Vangelo e produce frutti copiosi in ogni stagione della Chiesa».