Ha suscitato particolare interesse la Lettera circolare della Congregazione per la Dottrina della Fede, del 3 maggio scorso, indirizzata alle Conferenze Episcopali, per preparare entro maggio 2012 le “linee guida per il trattamento dei casi di abuso sessuale nei confronti di minori da parte di chierici”.
È una lettera che rivela la forte preoccupazione pastorale della chiesa, orientata a dare indicazioni operative in alcuni ambiti specifici, dove si sente il bisogno di prendere sul serio e rimediare alle condizioni patologiche che possono mettere a rischio non solo il servizio pastorale ma la stessa identità sacerdotale.
Inoltre, è una richiesta di programmazione che interpella anche la vita consacrata, poiché oltre che ai Vescovi essa è indirizzata anche ai Superiori Maggiori degli istituti religiosi clericali, perché insieme diano un contributo operativo a questa esigenza di chiarezza sui casi di abuso.

Una lettera dalle tante sfaccettature

A uno sguardo generale, la lettera richiama alcune priorità a cui dare particolare importanza. Infatti, essa evidenzia quali sono le urgenze a cui la programmazione dei vescovi e dei superiore maggiori deve prestare attenzione.
Anzitutto, ci sono le vittime degli abusi, alle quali occorre fornire adeguato ascolto e supporto spirituale e psicologico; infatti, è a loro che è riservata priorità assoluta in questa bufera degli scandali sessuali, sia perché sono coloro che subiscono un trauma che lascia il segno per tutta la vita, e sia perché il crimine dell’abuso viene perpetrato da chi – in quanto pastore – avrebbe dovuto educarli alla buona vita del Vangelo, anziché manipolare le relazioni affettive.
Inoltre, occorre curare il sistema formativo di chi si prepara a essere ministro di carità pastorale, senza deleghe pericolose (giustificate da frasi tipo: “col tempo cambierà… del resto ci sono così poche vocazioni… accettiamo quelli che il Signore ci manda…”) ma prendendo sul serio la conoscenza delle persone nelle loro motivazioni più profonde, sia nella fase dell’accoglienza iniziale che nell’accompagnamento formativo successivo.
Il lavoro pastorale che i preti svolgono con i ragazzi deve tener conto dei risvolti affettivi che il loro rapporto con i giovani comporta, pertanto è importante che sia realizzato da persone che non mettano a rischio la salute psichica di quanti sono a loro affidati.
Per questo la lettera circolare chiede che si abbiano dei chiari criteri di discernimento e di formazione per identificare le situazioni che sono incompatibili con il sacerdozio. Come pure, che ci siano delle linee programmatiche di formazione permanente che indichino come reagire dinanzi ai casi di sacerdoti che vivono esperienze di abuso: gli eventuali casi denunciati secondo la disciplina canonica e civile siano messi di fronte alle loro responsabilità; e se sono accusati ingiustamente, siano protetti e riabilitati.
Questa preoccupazione educativa della Chiesa è riaffermata con maggior chiarezza nella seconda parte del documento, dove si ricorda quali sono i passi da seguire nel caso in cui si tratta di un’accusa ritenuta credibile. Viene richiamata la responsabilità dei Vescovi e dei Superiori Maggiori a prestare attenzione alle situazioni di cui vengono a conoscenza, per assumersi il compito di effettuare una verifica attenta e scrupolosa secondo le procedure canoniche.
Infine, nella terza parte, si sottolinea quali sono gli orientamenti operativi da seguire per aiutare quanti sono coinvolti in tali azioni, impegnandosi “ad offrire assistenza spirituale e psicologica” verso coloro che sono stati abusati. Ma assicurando anche “un sostentamento giusto e degno” per il sacerdote che ha sbagliato, perché possa assumersi la responsabilità del danno e agire di conseguenza.

Necessaria una “professionalità formativa”

Indicando quali sono le priorità a cui le linee guida devono dare speciale attenzione, il documento chiede alle Conferenze Episcopali e ai Superiori Maggiori di rimettere al centro la persona, evidenziando la dimensione pedagogica che deve avere ogni programmazione futura.
Lo stesso lavoro di denuncia deve tendere non solo a identificare e bloccare le problematiche affettive incompatibili con il sacerdozio, ma anche a dare una chiara impronta educativa all’intervento ecclesiale, soprattutto quando ci sono delle scelte che riguardano la salvaguardia dei minori.
Per agire in questa direzione, è necessario avvalersi di alcuni criteri che favoriscono la comprensione di ciò che succede in chi si trova a essere coinvolto in azioni così drammatiche, tenendo conto di alcuni aspetti essenziali che dovrebbero caratterizzare ogni intervento.
Anzitutto, che abbiano una chiara “competenza educativa”, poiché ogni azione pastorale della Chiesa ha questo carattere, soprattutto quando ci si trova di fronte a scelte così delicate come nel caso degli abusi sessuali. Poiché la padronanza dei processi evolutivi della persona è essenziale per riconoscere i segni di eventuali distorsioni affettive, essa esige una programmazione e un monitoraggio continuativo lungo l’intero percorso di crescita. Quindi, il discernimento e la formazione dei giovani che entrano nei seminari o nelle case dei religiosi/religiose sono campi di lavoro troppo delicati per lasciarli al caso; né è possibile farsi abbagliare dal bisogno di vocazioni o dalla paura dell’invecchiamento, o dal fascino dell’internazionalità, senza sapere poi cosa fare quando emergono problematiche formative specifiche e complesse, come quelle che riguardano l’area psico-affettiva.
Padroneggiare i processi evolutivi vuol dire tenere conto di una complessità educativa che oggi esige mezzi e strategie diversi dinanzi alle crisi, ai blocchi, ai conflitti intergenerazionali, alle inquietudini psico-sessuali, per essere veri interlocutori nel cammino di formazione dei giovani, affinché siano consapevoli delle problematiche vive che devono affrontare nel processo di maturazione umana. Su questo aspetto la lettera della Santa Sede fa delle richieste ben precise, quando chiede che “siano edotti i sacerdoti sul danno recato da un chierico alla vittima di abuso sessuale e sulla propria responsabilità di fronte alla normativa canonica e civile, come anche a riconoscere quelli che potrebbero essere i segni di eventuali abusi da chiunque compiuti nei confronti dei minori”.
Ciò significa che tali linee programmatiche dovranno assolutamente tener conto della crescita dei propri sacerdoti, siano essi diocesano o religiosi, nel campo del lavoro pastorale, in quello relazionale come in quello del cammino di fede. Dovranno riconoscere come evolve la loro maturazione psico-affettiva oltre che quella spirituale, curando degli “spazi formativi” adeguati, dove i preti possano manifestare la loro identità, i loro pregi e le loro capacità; ma anche venire a contatto con le loro problematiche e le loro fragilità, o con il loro bisogno di essere aiutati quando si accorgono che le loro dinamiche intrapsichiche rischiano di sfociare in vere e proprie patologie affettive. Visto che il Vescovo «ha il dovere di trattare tutti i suoi sacerdoti come padre e fratello», il suo compito sarà di curare una rete di autentica fraternità sacerdotale, che faciliti la conoscenza reciproca e la costante formazione delle diverse componenti umane e spirituali di ogni operatore pastorale.
È qui che la sua sollecitudine paterna saprà integrare l’accudimento amorevole e paziente di chi si prende cura di chi soffre, con la capacità regolativa di chi come pastore ha il compito di bloccarne i comportamenti abnormi e patologici.

Curare delle fraternità educative

«Il vescovo curi, inoltre, con speciale attenzione la formazione permanente del clero, soprattutto nei primi anni dopo la sacra ordinazione, valorizzando l’importanza della preghiera e del mutuo sostegno nella fraternità sacerdotale».
Sappiamo che questo lavoro non riguarda solo chi è in autorità, Vescovo o Superiore Maggiore che sia, ma è compito di tutto il contesto comunitario ed ecclesiale. Se manca una coscienza comune di una formazione permanente capace di incidere sui processi evolutivi della persona, se non si crea un clima affettivamente formativo nei contesti di vita dei presbiteri, dove essi possono manifestare il loro Io reale ma anche le loro parti in ombra, sarà difficile riconoscere e ancor più fermare gli aspetti patologici e pericolosi di alcune tendenze. Soprattutto quando si tratta di azioni giustificate da false aspettative o da giustificazioni spiritualizzanti che tranquillizzano non solo il singolo ma anche il gruppo a cui egli appartiene.
Per questo occorre imparare a pianificare un nuovo modo di stare insieme, dove i rapporti evangelici predicati alla gente, siano vagliati da una autentica convivenza fraterna, e diventino parte di una comune ricchezza centrata su valori condivisi. Ciò permette di prendere sul serio i segnali di quelle patologie che spesso si manifestano silenziose e latenti, ma offre anche autorevolezza a chi deve intervenire verso il fratello che vive delle fragilità intrapsichiche, per bloccarne in tempo i risvolti distruttivi .
A questo occorre aggiungere il carattere di urgenza che i fatti patologici rivestono dal punto di vista clinico e curativo. Quando le persone agiscono la loro malattia, quando emergono delle denunce in tal senso, nessuno può far finta di niente e non è possibile temporeggiare. Su questa tempestività la lettera della Congregazione chiede che si seguano dei passi ben precisi, per intraprendere un chiaro cammino di contenimento, di denuncia, di tutela, tutti elementi richiesti in casi di abuso sessuale di minori da parte di un sacerdote. Non perché si tratti di una tipologia di “abusatore speciale”, ma perché l’azione perpetrata a danno di un minore tocca sempre livelli traumatici devastanti, poiché si tratta di un trauma perpetrato «da un uomo di Dio che doveva rappresentare per lui il massimo rifugio, poiché ai suoi occhi aveva un significato educativo speciale: non era un prete qualsiasi, ma era il “suo” prete, il prete amico della sua famiglia, il prete della sua parrocchia, del suo oratorio, della sua vita… tradita!» .

Dalla parte degli ultimi? Sì, ma con i fatti


Infine, c’è un punto da considerare ancora, e forse è il più complesso, benché sia l’aspetto che, nei diversi interventi del Magistero sugli abusi sessuali, è stato maggiormente sottolineato: la presa in cura dei minori abusati. Un punto che a volte sembra restare in ombra nei programmi diocesani o negli interventi delle congregazioni religiose, oppure resta limitato ad aspetti esterni e sbrigativi, come il risarcimento economico o l’incontro in sede legale con le vittime.
Anche in questo caso, il documento della Congregazione riafferma la preoccupazione pastorale della Chiesa, la quale non cessa di essere educatrice anche quando tali crimini sono commessi da alcuni dei suoi membri. Anzi, proprio per questo essa si preoccupa con sollecitudine a chiedere interventi competenti, che aiutino effettivamente a sanare le ferite subite.
Ma anche qui, come per la formazione permanente, occorrono linee guida che vadano oltre le buone intenzioni. Chi lavora per il trattamento dei casi vittime di abuso sa bene che è un campo di azione che richiede tempo (a volte ciò significa anni e anni di intervento psicoterapico) ed energie emotive.
Eppure ai Vescovi e ai Superiori Maggiori vengono chieste programmazioni competenti anche in questo ambito, facendosi carico dei rischi che tali interventi comportano, consapevoli che questa è un’urgenza educativa a cui tutta la chiesa è chiamata a dare risposte pastorali qualificate! «Le vittime avranno bisogno di guarire e di aiuto e di assistenza e di riconciliazione. Questo è un grande impegno pastorale», diceva Benedetto XVI durante il volo negli Stati Uniti d'America nel 2008.
Occorre allora programmare delle strategie di intervento non solo in termini di risarcimento economico o materiale che sia, ma soprattutto in termini di ricostruzione della fiducia tradita, dell’identità violata, della sacralità umana profanata, per di più in nome di un amore pastorale stravolto. Per realizzare ciò occorre un processo di sensibilizzazione che accomuni gli sforzi e dia forma a veri programmi di prevenzione e di guarigione. Per questo serve personale competente, così come servono programmi capaci di attivare «dei cambiamenti effettivi quando ci sono situazioni gravi come nel caso delle dipendenze sessuali» .
Questa è una responsabilità che riguarda la chiesa intera nel suo compito di annunciatrice della vita buona del Vangelo. Adesso però ci si attende delle risposte conseguenti a queste aspettative, per guardare al futuro con fiducia e con determinazione, ma anche per prevenire e gestire un male così insidioso, come quello dei casi di abuso sessuale nei confronti di quanti sono affidati alla cura pastorale dei suoi ministri.