In un contesto storico-culturale segnato da profondi cambiamenti e dominato da idolatrie anticristiane produttive di una progressiva scristianizzazione, da un vissuto cristiano carente di familiarità con il Vangelo, come vivere da discepolo di Gesù?
La risposta ce la offre Gesù stesso quando dice “Venite… imparate da me”, invitandoci a mettersi alla sua scuola. Egli ci ha dato l’esempio affinché come ha fatto lui facciamo anche noi e ci esorta ad ascoltare la sua parola, perché solo così, ha detto, “sarete miei discepoli”.
Come vivere allora in concreto da veri discepoli di Gesù? L’interrogativo ha suggerito a fra Agostino Martini OFM di elaborare un “decalogo” ricavato dal vangelo come proposta essenziale di un autentico cammino di discepolato cristiano, per rivestirsi di Cristo Gesù (Rm 13,14), e di vivere “ben radicati e fondati in lui” (Col 2,7).
Ne è risultato un libretto dal titolo il decalogo evangelico per il discepolo di Gesù, con un significativo sottotitolo esplicativo, un cammino pieno di luce.
Le riflessioni si pongono in armonia con l’invito più volte rivolto da Giovanni Paolo II, ora proclamato “Beato” e dalla Congregazione per la vita consacrata a “Ripartire da Cristo” e quindi interpellano da vicino tutti i consacrati, in particolare in un momento di crisi come questo. A volte si ha infatti l’impressione che ci si occupi fin troppo di problemi esterni, quali la ristrutturazione, il ridimensionamento, l’interculturalità e cose e del genere, lasciando invece un po’ in ombra ciò che è essenziale, ossia la chiamata a diventare sempre più discepoli di Cristo, attraverso un cammino di formazione permanente che porti poco alla volta a immedesimarsi con Cristo, e a vivere una vita “mistica” che apra poi alla profezia e alla missione.
Il “decalogo” raccolto da fra A. Martini è quindi un prezioso sussidio per crescere in noi la vita nello Spirito “fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo”. (Ef 4,13).

Credere e annunciare un Dio Amore

Le riflessioni partono dall’affermazione tratta dal colloquio di Gesù con Nicodemo (Gv 3,16-17), “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito….”.Di qui il primo punto del “decalogo”: Credi e annuncia Dio come «amore».
Per fare questo, il discepolo di Gesù deve impegnarsi a vivere ogni giorno la certezza di questo amore in qualsiasi circostanza, e a sentirsi avvolto dall’amorevole cura di Dio per noi; a gustare in continuità la gioia di sentirsi sempre sommamente amato da Dio, davanti al quale “anche i capelli del proprio capo sono tutti contati” (Lc 12,17).; a tenersi liberi da sentimenti di paura di Lui, poiché “nell’amore non c’è timore” (1Gv 4,18); a lasciarsi riconciliare da Dio davanti a ogni propria infedeltภa rendergli sempre grazie per questo suo amore gratuito-fedele-permanente-invincibile:
Da queste convinzioni deriva l’impegno a testimoniare Dio come “amore”, mostrando agli altri che sono davvero “amati da Dio Padre, e quindi di annunciare Dio come “amore”: compito che, come ha scritto Benedetto XVI, «costituisce per tutti i credenti un impegno irrinunciabile e permanente» (cf. Messaggio per la GMM del 2006, n. 1).
Il secondo punto del “decalogo”: Adora Dio “in spirito e verità” (cf. Gv 4,21-24). Non è altro, scrive A. Martini, che la risposta di amore del discepolo “all’amore di Dio”, una risposta segnalata da Gesù nel colloquio con la samaritana.
Perché il vissuto quotidiano del discepolo di Gesù diventi il luogo primario dell’ “adorazione di Dio”, egli deve prendere coscienza e radicare nel cuore che la persona umana è “il luogo per eccellenza nel quale Dio va adorato”; deve farsi “servo del Signore, totalmente dedito al compiersi del suo disegno d’amore su di sé e vissuto sulla esemplarità di Cristo, che è totalmente dedito ad adorare il Padre, compiendo sempre la sua volontà; ascoltare e mettere in pratica la parola di Gesù; dare spazio quotidiano alla preghiera, nutrirsi dell’Eucaristia celebrata e vissuta come fonte e culmine della sua vita, intrecciando con Gesù un rapporto di intima permanenza, e impegnandosi a rendersi “offertorio vivente” per la comunità cristiana e sociale, e a compiere un cammino che dall’Eucaristia celebrata giunga all’Eucaristia vissuta.
Inoltre, deve accogliere e confessare Cristo come “via, verità e vita”; mantenere viva costante la “sete di Dio” e avere sempre davanti allo sguardo l’affermazione di Gesù: “chi non raccoglie con me, disperde” (Lc 11,11,23).

Con la semplicità di un bambino

Terzo punto del “decalogo”: Accogli il regno di Dio come un bambino. Per assumere questo atteggiamento, bisogna che il discepolo si metta davanti a Dio come un “nullatenente”, riconoscendo che tutto appartiene a Dio, e tutto è opera sua; in secondo luogo, mettersi davanti a lui come un “non autosufficiente” tenendo sempre presente l’affermazione “senza di me non potete far nulla; il passo successivo sarà: mettersi davanti a Dio come un “recettivo”, con la totale disponibilità lasciarsi condurre e guidare da Gesù, nella vita di ogni giorno; inoltre mettersi davanti a lui “fiducioso nella sua bontà, con un totale abbandono al suo amore, e in atteggiamento “riconoscente” per quanto da lui viene donato ogni giorno, dicendogli sempre “grazie per ogni cosa”. Fra Agostino commenta: «Il “farsi come un bambino” diventa così la condizione indispensabile per aprirsi a Regno di Dio e accoglierlo».

Il quarto punto del “decalogo” è un invito così concepito: Fai tutto per la gloria di Dio sull’esempio d Gesù. (cf. Gv 17): è la finalità che deve presiedere a ogni frammento di vita terrena del discepolo. Che cosa piace a Dio? È Gesù stesso a insegnarcelo: vivere la fedeltà alla sua parola e metterla in pratica; mettere Dio al centro della vita affinché egli venga glorificato in tutto il proprio essere e il proprio agire nel vissuto quotidiano infatti come scrive Paolo “sia che mangiate, sia che beviate, sia che facciate alcun’altra cosa, fate tutto a gloria di Dio” (1Cor 10,31, cf. Col 3, 25; 1 Pt 4,11); e rendere il vissuto ricco di frutti, Infatti “In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto” (Gv 15,8). E ancora: offrire una testimonianza luminosa di vita evangelica davanti agli uomini (cf. Mt 5,16); diventare “chicco di grano caduto in terra” che muore per dare la vita; tradurre nel vissuto quotidiano le tre grandi richieste del Padre Nostro “sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno, si compia la tua volontà” (Mt 6,9-10).

Riconoscersi come figli di Dio

Il quinto punto è tratto da Mt 5,44-45) e si riassume nell’invito: Riconosci e vivi la tua vita cristiana. Il discepolo di Gesù è colui che, guardandosi allo specchio di Dio, coglie i tratti della sua identità che sono e si riconosce: figlio di Dio, dono di Dio-Padre fatto a Gesù, madre e fratello di Gesù.
Il discepolo di Gesù è chiamato a riempire il cuore di gioia per essere figlio di Dio, rivolgendosi a lui come a un Padre affettuoso e confidenziale, a cui aprire il proprio cuore con fiducia in ogni momento e in qualsiasi situazione; a disegnare gradualmente su se stesso il volto di Dio-Padre per rivelarlo a ogni persona attraverso il proprio vissuto; a essere nel suo modo di vivere “compiacimento del Padre”, come è stato Gesù. Inoltre, sapendo di essere dono di Dio-Padre fatto a Gesù, egli è chiamato ad accogliere Gesù nella propria vita come l’unico buon pastore con tutto ciò che evoca questa immagine, ed essere docile come una pecorella:
Infine, deve essere madre e fratello di Gesù (Mt 12, 46-50), ossia nella varietà e molteplicità delle situazioni della vita, far nascere Gesù dentro di sé (diventare madri) e far scorrere il sangue di Gesù nelle proprie vene (fratelli). In questo orizzonte si comprende quanto ha detto Gesù: “Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli” (Mt 7,21).

Un ardente amore al prossimo

Di qui il passaggio al sesto punto del “decalogo”: Ama il prossimo tuo come lo ama Gesù (cf. Gv 13,34; 15, 12-13). Per giungere ad amare come Gesù, bisogna educarsi a un amore i cui tratti sono l’universalità. La personalizzazione, la concretezza, la creatività – un amore cioè capace di inventiva – la gratuità, la libertà, ossia un amore senza condizionamenti, e la fedeltà, ossia la perseveranza.
Un amore del genere è il segno distintivo del discepolo di Gesù: “da questo tutti sapranno che siete miei discepoli” (Gv 13,35); consente di dare una risposta concreta e coerente alla preghiera di Gesù al Padre: :” Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato” (Gv 17, 21). È un amore che rende il discepolo di Gesù, “un fratello universale, capace di sentire ogni persona umana “carne della propria carne, disponibile a rendersi prossimo di tutti, facendosi “tutto a tutti”, proteso a mantenere vivo il senso della comunione tra i popoli. Inoltre, estirpa ogni “logica del confronto” con gli altri, apre alla riconciliazione fraterna, produce i frutti dello Spirito e chiede il dono della preghiera per l’intera umanità. «Si tratta, pertanto, sottolinea A. Martini, di aprirsi al “vangelo dell’amore” vissuto sulla esemplarità dell’amore di Gesù a noi» (Gv 13,34-35). Questo vangelo dell’amore costituisce “il cuore” del nostro vivere umano, ci rivela che l’amore è la nostra vocazione fondamentale, e ciò sollecita a condividere gioie , speranze, tristezze e angosce di questa nostra umanità e ci sospinge a “stare dentro la storia con amore”, per aprirla al Signore e edificarla in lui, impegnandosi a diventare costruttori di bontà, di riconciliazione e di pace.

Sale della terra e luce del mondo

In questo orizzonte si colloca anche l’altro punto del “decalogo, il settimo, Sii sale della terra e luce del mondo (cf. Mt 5,13-16), attraverso la testimonianza di una vita evangelica che consiste nel “rivestirsi di Cristo” e nel “vivere la sua parola. Ciò è possibile se si è affascinati da Cristo, se si ha il cuore pieno di amore per lui. Inoltre, vivendo lo spirito delle beatitudini.
E quindi l’ottavo punto strettamente collegato: Annuncia il Regno di Dio e guarisci gli infermi (cf. Lc 9,1-6), in particolare facendo propri gli atteggiamenti di Gesù. In altre parole: contemplare il mondo con lo sguardo di Gesù, amare il mondo con il cuore di Gesù, assumendo il suo modo di amare, offrire l’annuncio evangelico con l’atteggiamento del “seminatore”, senza porsi il problema del successo, ma impegnandosi con tutte le proprie forze e lasciando al Signore di agire in profondità.
E “guarire gli infermi”, espressione che indica l’impegno per la promozione umana, di “tutta la persona umana”, a somiglianza del buon samaritano, favorendo la giustizia, la pace, la salvaguardia del creato, ricordando quanto ha affermato Giovanni Paolo II: «La casa di Dio è dovunque un uomo soffre, per i suoi diritti negati, le sue speranze tradite, le sue angosce ignorate… là è la casa di Cristo, che chiede… di asciugare, in suo nome, ogni lacrima».
Tutti questi atteggiamenti e comportamenti non sono da vivere da soli, ma nella comunione ecclesiale, non solo, scrive p. A. Martini, “con”, ma “dentro” la Chiesa, testimoniando la propria effettiva e cordiale appartenenza ad essa: è il nono punto del “decalogo”, con riferimento a Gv 17,20-23, mettendo a disposizione i propri “carismi”, e cercando sempre di promuovere una “ecclesiologia di comunione”.

Illuminati e guidati dallo Spirito

E siamo così al decimo punto, quello che abbraccia tutti gli altri: Lasciati condurre dallo Spirito del Signore (Gv 20,19-23). Ciò richiede di alimentare la propria vita alle sorgenti di un a spiritualità “solida e profonda”; di mettere in atto una spiritualità “integrale” che abbracci ogni frammento del vissuto umano; una progressiva disponibilità a “compiere” ciò che Dio chiede, sull’esempio di Gesù; un costante discernimento del proprio vissuto alla luce dei frutti dello Spirito: e di guardarsi dai “formalismi”… In una parola: lasciarsi guidare dallo Spirito del Signore in un incessante cammino di purificazione, rivivendo così l’esperienza degli apostoli nell’evento della Pentecoste.
Il pensiero conclusivo va a Maria che ripete oggi a chiunque voglia essere discepolo del Signore: “Fate quello che Gesù vi dice” (Gv 2,5). Accogliendo questa esortazione, il discepolo di Gesù «vedrà il miracolo, nella “giara” della sua vita, dell’acqua trasformata in vino… e riscriverà in se stesso l’esperienza dell’apostolo Paolo: “Questa vita che vivo nella carne io la vivo nella fede del Figlio di Dio, (per cui) non sono più io che vivo, ma Cristo che vive in me” (Gal 2,20). Allora «scenderà su di lui la parola di Elisabetta rivolta a Maria: “Beato te, perché hai creduto alla parola del Signore”… ».