“Identità e profezia. Teologia della vita consacrata oggi”. Su queste tematiche di fondo, centoventi superiori generali, con l’aiuto di un sociologo, di due teologi e di tre superiori generali, si sono confrontati, dal 25 al 27 maggio, in occasione della loro 77ª assemblea semestrale. Intenzionalmente in questa assemblea si è partiti dalle conclusioni a cui era giunto il seminario teologico sulla vita religiosa apostolica svoltosi nel febbraio scorso e promosso dalle due unioni delle superiore (UISG) e dei superiori generali (USG) . Quello che allora era stato oggetto di riflessione soprattutto fra teologi, questa volta si è voluto sottoporlo, in qualche modo, a verifica non solo dei superiori, ma anche di una settantina di superiore generali che hanno partecipato alla prima giornata di lavori. Anch’esse, nei vari gruppi linguistici pomeridiani, hanno potuto condividere temi e problemi suscitati dalle impegnative relazioni di due teologi già ascoltati nel precedente seminario teologico, sr. Mary Maher e p. Paolo Martinelli.

Maher e Martinelli


Grazie anche alla preziosa sintesi dei lavori del seminario teologico, curata da don Mario Aldegani e da don Francesco Cereda, i due relatori hanno più agevolmente tentato di spostare in avanti i loro precedenti punti di partenza. Si tratta di due interventi di notevole spessore, difficilmente sintetizzabili in poche righe. Mary Maher, pienamente consapevole delle critiche e insieme delle conferme suscitate dalla sua precedente relazione, da subito ha riproposto quella che, a suo avviso, è la questione principale. «Credo, ha detto, che il punto chiave attualmente ancora aperto e oggetto di discussione e che chiama in causa più direttamente la teologia della vita consacrata apostolica, sia la relazione fra la Chiesa e il mondo». Posta sotto i riflettori della consapevolezza storica, anche la teologia della vita consacrata ha dovuto fare i i conti con il contesto storico. Solo allora si è incominciato a capire che la vita religiosa apostolica «è inestricabilmente connessa con il modo in cui la Chiesa comprende se stessa, la sua missione, la sua evangelizzazione, il nucleo centrale della sua fede nel potere salvifico della vita, morte e risurrezione di Cristo».
Questa nuova consapevolezza è una “sfida” vera e propria per il presente e il futuro non solo della Chiesa , ma anche della vita religiosa apostolica. Se, come dice Paolo: «è stato Dio a riconciliare a sé il mondo in Cristo» (2 Cor5,19), allora oggi non è più possibile ignorarne le inevitabili conseguenze: necessità di nuove prospettive teologiche sulla storia, di un suo fondamento biblico e spirituale, di una solida ricomprensione teologica del mondo di oggi e di una permanente riflessione sulla teologia della missione. Insieme alla fondamentale virtù teologica della speranza, ha concluso Maher, oggi non si dovrebbe dimenticare quella dell’umiltà. E’ una virtù “fuori moda”, è vero, ma che è «alla base della nostra vita consacrata… è l’essenza stessa del nostro voto di povertà per il quale, fondamentalmente, siamo di fronte a Dio, nel vuoto totale, accettando umilmente la nostra umanità».
Anche per Paolo Martinelli, la piena consapevolezza del momento storico che stiamo vivendo è il necessario punto di partenza per ogni ulteriore e seria riflessione teologica sulla vita consacrata apostolica. A suo avviso, la teologia della vita consacrata oggi dovrebbe saper affrontare i suoi problemi specifici «in profonda relazione con la totalità della riflessione teologica dogmatica, biblica, morale, spirituale e teologico fondamentale». Purtroppo, però, la teologia della vita religiosa, negli anni postconciliari, si è venuta a trovare in una specie di “isolamento”. Non solo «non è nemmeno citata nei testi conciliari», ma troppo spesso «è stata concepita in termini di pura ausiliarità applicativa di ciò che la teologia elabora altrove».
Nessuna meraviglia, allora, se «sono pochi i grandi autori di teologia che hanno scritto cose consistenti sulla vita consacrata dopo il concilio». Non è neanche lontanamente paragonabile lo sforzo fatto nella teologia del laicato, della cristologia, della trinitaria, dell’ecclesiologia, della teologia delle religioni ecc.
Quello che, però, stupisce maggiormente, è il fatto che anche «grandi autori di teologia dogmatica, appartenenti ad ordini religiosi, nelle loro sintesi teologiche maggiori e persino nelle loro ecclesiologie, si sono dimenticati di inserire un riferimento alla vita consacrata». Ora, il problema non è tanto per la vita consacrata, quanto piuttosto «per l’intelligenza teologica del mistero della Chiesa che rimane in tal modo dimezzata». La questione di Dio e la vita religiosa apostolica, la relazione “Chiesa-mondo”, la radice battesimale della vita consacrata, la vocazione alla vita consacrata apostolica, sono tutti capitoli da cui, d’ora in avanti, non dovrebbe più prescindere la riflessione teologica nella sua globalità.

Spiritualità e comunione

Mentre i primi due relatori hanno provato a chiarire i presupposti “teologici” di una vita consacrata apostolica, negli interventi dei tre superiori generali, invece, non si poteva non scendere sul terreno più concreto della spiritualità, della comunione e della missione. Fratel Alvaro Rodríguez Echeverria, dei fratelli delle scuole cristiane, ha affrontato il tema della spiritualità. Tra i valori non negoziabili di una perenne “creatività evangelica”, c’è, anzitutto quello di una spiritualità appassionata di Cristo e dell’umanità. Che la vita consacrata sia in crisi, è un dato di fatto. Ma sarà difficile trasformare questa crisi in una grande opportunità di rinnovamento fino a quando «saremo troppo centrati in noi stessi, nelle nostre istituzioni, nei nostri progetti, nel numero dei nostri candidati, nell’assicurare un futuro economico, assumendo la cultura del marketing e del management, alla ricerca di efficacia e rendimento, dimenticando la saggezza delle beatitudini».
È sempre più urgente unire misticismo e profezia. Se Dio è veramente «l’assoluto delle nostre vite», non si dovrebbe lasciar nulla di intentato affinché «il nostro linguaggio e la nostra testimonianza sappiano far presente ai nostri contemporanei il suo volto compassionevole e pieno di tenerezza». I religiosi sono chiamati ad essere non dei «crociati che difendono un’idea, ma testimoni che condividono un’esperienza concreta vissuta appassionatamente». In una rilettura dei voti religiosi, non puramente “moralistica e funzionale”, ma come un percorso di piena “umanizzazione” della propria vita, si dovrebbe così arrivare a vivere con l’amore incondizionato a Dio e ai fratelli «l’orizzonte della persona, quello del mondo e quello della libertà».
Uno degli aspetti forse più urgenti oggi, come ha affermato il ministro generale dei cappuccini, Mauro Jllo di passare «dalla vita comune alla comunione di vita». Potrebbe sembrare un semplice gioco di parole. Per troppo tempo la vita comune è stata intesa prevalentemente come un insieme di “atti esterni” (preghiere, pasti, lavoro manuale ecc.). e non come un’occasione di confronto «sulle questioni vitali della vita comunitaria». Ciò che un tempo contava era «l’osservanza delle regole e non certo l’incontro reale tra le persone», con un chiaro predominio della struttura sulla persona. Da questo punto di vista, almeno alcune fra le tante “nuove forme” di vita comunitaria - comprese quelle nate “all’interno” degli ordini e congregazioni di antica data - potrebbero avere sicuramente qualcosa da insegnare. L’esperienza della fraternità francescana di Palestrina, sempre più impegnata anche nel dialogo interculturale, è una di queste .
Proprio guardando a queste nuove realtà, il ministro generale dei cappuccini ha provato ad enunciare alcuni elementi che dovrebbero caratterizzare le sempre più frequenti fraternità interculturali: rispetto e riconoscimento delle altre culture, rimozione di ogni tentativo di livellamento o di assorbimento delle differenze, per arrivare ad una sana interazione interculturale, facendo della comunione “il contenuto stesso della missione”.

La missione al centro

Sul tema della missione è intervenuto più diffusamente il superiore generale dei claretiani, Josep Abella. La missione, soprattutto di fronte ai “cambiamenti epocali” odierni, dovrebbe essere realmente “al centro”della vita consacrata. In un tempo contrassegnato dalla globalizzazione, dal pluralismo culturale e religioso, dalla sfide della secolarizzazione, la vita consacrata non può non sentirsi sollecitata a «individuare alcune vie di futuro», approfondendo, come era stato fatto nel seminario di febbraio, la sua dimensione teologale. Senza una profonda esperienza di Dio è difficile capire il senso stesso della missione a cui sono chiamati i religiosi. E’ difficile passare «da una mentalità che considera il dialogo semplicemente come un “metodo” missionario, ad una visione del dialogo come “luogo proprio” della missione». E’ difficile non solo fare un’opzione preferenziale per i poveri, ma anche “rivedere l’ubicazione delle nostre opere”. Senza una rinnovata presa di coscienza della propria identità, è difficile «avere la libertà, la sapienza e l’audacia necessarie per adeguare e ripensare le proprie presenze». Pensando alla vicenda dei due discepoli di Emmaus, oggi Gesù potrebbe porre ai religiosi una serie di domande: «Di che cosa parlate nelle vostre assemblee e riunioni? Quali pensieri e sentimenti riempiono i vostri cuori? Perché vi costa tanto guardare la realtà alla luce della mia Parola e saper interpretare gli avvenimenti a partire dalla chiave interpretativa del mistero pasquale?».
A questi e a numerosi altri interrogativi i superiori generali hanno provato a rispondere nei lavori di gruppo e in assemblea, aiutati anche dalla preziosa analisi del sociologo Salvatore Abbruzzese su “La vita consacrata dinanzi alla crisi e alle aspettative della società contemporanea”, seguita, al termine dei lavori, dalla sintesi conclusiva del presidente USG. Tutti i contributi di quest’ultima assemblea, ha detto don Chavez, confluiranno in quella di novembre quando anche i superiori generali, in preparazione del prossimo sinodo episcopale, si interrogheranno a fondo sulla nuova evangelizzazione. Una delle novità più rilevanti di questa 77ª assemblea? Penso che stia nell’aver posto le premesse di un più fecondo dialogo con il dicastero vaticano per la vita consacrata. Dopo le parole ascoltate nella concelebrazione di apertura presieduta dal segretario mons. Joseph Tobin e, soprattutto, in quella conclusiva presieduta dal nuovo prefetto, mons. Braz de Aviz, i superiori generali hanno ripreso a volare, non solo in senso letterale, da un continente all’altro e a guardare sicuramente con più serenità al futuro, pur sempre problematico, dei propri istituti.