I più recenti Rapporti delle Nazioni Unite mettono a fuoco il rapido invecchiamento della popolazione mondiale, con ritmo che non trova eguali nella storia. Si dice che una popolazione invecchia quando aumenta la porzione di anziani (sopra i 60 anni) e contestualmente diminuisce la percentuale di ragazzi (sotto i 15), in rapporto alla diminuzione della porzione di persone in età da lavoro (dai 15 ai 60). Si ipotizza che entro il 2045 vivremo in una società in cui gli anziani superano il numero dei bambini. Nelle nazioni più sviluppate il numero di bambini è stato superato dagli anziani già nel 1998.
La popolazione anziana cresce del 2,6% all’anno, tre volte più velocemente rispetto alla crescita normale della popolazione: nel giro di 40 anni il 22% della popolazione mondiale supererà i 60 anni, mentre oggi tale cifra raggiunge l’11% e nel 1950 si attestava sull’8%. In Italia, in particolare, una persona ogni cinque ha più di 65 anni, una ogni dieci ne ha più di 75. Le donne rappresentano quasi il 54% della fascia di età tra i 65 e i 75 anni e quasi il 63% degli ultrasettantacinquenni. Un tale invecchiamento influisce su crescita economica, investimenti e risparmio, mercato del lavoro, pensioni e tasse; ma modifica anche composizione dei nuclei famigliari, stili di vita, domanda e offerta di abitazioni, flussi migratori, richiesta di servizi medici e di assistenza. Il grande rischio è comunque l’aumento vertiginoso di situazioni di abbandono sociale e povertà economica.

L’anziano come simbolo di una vita sazia

Alla condizione anziana la Comunità di Sant’Egidio ha di recente (5/05/2011) dedicato il simposio ecumenico dal titolo Il dono della vecchiaia. Ortodossi e cattolici nella via della carità.
Andrea Riccardi, fondatore della Comunità, ha invitato a cercare la via dell’amicizia tra i popoli credenti, affermando che in questa ricerca il povero va visto come sacramento perché egli rende il mondo più umano e i cristiani più fratelli tra loro. In questo senso «la vecchiaia è una sfida del nostro tempo rispetto alla quale i cristiani possono lavorare insieme. Sono per le nostre società una domanda d’amore, ma al tempo stesso una risorsa di significato»: con queste parole il card. Kurt Koch, presidente del pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani – dopo aver salutato le delegazioni dei Patriarcati ortodossi di Mosca, Ucraina e Romania –, ha introdotto la relazione di Filaret, esarca di tutta la Bielorussia del Patriarcato moscovita.
E l’anziano metropolita ortodosso, con autoironia e coraggio, ha fatto ruotare il suo ragionamento sul fatto che, oggi, le persone di età avanzata sono un fenomeno problematico che chiede addirittura giustificazione! Infatti, a differenza di un passato anche recente, «le persone di età avanzata si distinguono oggi come gruppo sociale separato e questo succede perché la vecchiaia ha smesso di essere una parte naturale della vita, diventando fenomeno e problema la cui soluzione richiede sforzi particolari… Anziani abbandonati, ingannati dai figli. Spesso oggetto di fastidio e di irritazione da parte dei parenti. A volte addirittura tentati di porre fine ai loro giorni. Tutto ciò ferisce la nostra coscienza e mette a nudo la vecchiaia in tutta la sua indifesa fragilità».
Cosa giustifica dunque la vecchiaia? La Scrittura, formatasi in un contesto di tipo patriarcale, risponde così: gli anziani sono il simbolo della sazietà della vita, il segno della pienezza della conoscenza di Dio, una domanda alla nostra anima. Compito dell’anziano è mantenere viva la memoria alle nuove generazioni (perché non si smarriscano sulla via della menzogna), comunicare vita alla tradizione, far avanzare il giovane incontro all’avvenire (qui si innesta la storia del monachesimo, che tanto può ancora offrire all’umanità in ricerca di oggi). Il rispetto reso al passato rivela dunque all’uomo Dio stesso e ricolma il futuro di speranza.
La sazietà di vita è apparsa in pienezza con Gesù Cristo, il quale ha assunto i limiti dell’umana debolezza e ha obbedito alla volontà dal Padre perché tutti siano una cosa sola. La debolezza dell’anziano, ha concluso l’esarca Filaret, è di fatto proprio un’icona di questa condizione umiliata dal Figlio dell’uomo. E dunque onorare l’anziano ci assimila a Cristo.

L’anziano al servizio dell’umanizzazione

Secondo mons. Vincenzo Paglia, vescovo di Terni-Narni, intervenuto subito dopo, gli anziani che vivono con profondità la loro fede sono una riserva spirituale che dona al mondo un supplemento di ossigeno. Purtroppo, l’esperienza ci dice che per essi diventa sempre più difficile passare in pace e con rispetto gli ultimi anni della vita: «in genere si ritrovano poveri e soli. E anche se abbienti, restano comunque soli. In effetti, mancano idee e progetti. Forse l’unica idea comune che si fa sempre più strada è quella della vecchiaia intesa come un naufragio».
C’è bisogno, in questo tempo, di un supplemento di pensiero, di uno scatto morale, come pure di una nuova cultura politica e di una riflessione a tutto campo, compreso quello religioso, per ridisegnare una società rispettosa di tutte le età della vita. E dai cristiani può provenire un contributo fondamentale: la sfida dell’invecchiamento può trovare una risposta nella sapienza della Chiesa messa al servizio di una nuova umanizzazione della società.
Chiesa e anziani sono due realtà legate da una profonda e storica amicizia che emerge dalla lettura delle Scritture e fin dalla prima epoca cristiana. Infatti, sin dagli inizi (Atti degli apostoli), ha sottolineato mons. Paglia, vediamo tracciati due binari che si rivelano utili anche per la compagine civile: la cura amorevole delle situazioni di fragilità (cf. la questione dell’assistenza alle vedove di Gerusalemme) e la coscienza delle ricchezza degli anziani nell’evangelizzazione (cf. il discorso di Paolo ai presbiteri di Efeso). «Ed è proprio dall’intersezione di queste due prospettive che può provenire oggi un contributo prezioso dei cristiani a come le nostre società possono mettersi in un rapporto virtuoso con gli anziani».
Da qui nascono pure gli spunti di creativa carità nella storia della Chiesa: dapprima inseriti nella più ampia categoria dei poveri come “vicari di Cristo”, gli anziani diventano via via oggetto di cura per vincerne solitudine e tristezza. La permanenza degli anziani nelle case fece sviluppare il filone della “visita ai poveri”, che trova una sua luminosa espressione nell’esperienza di san Vincenzo de Paoli. Con la progressiva diminuzione della mortalità e con la crescita della speranza di vita (si passa dai 30 anni del XVI secolo ai 50 anni del XIX e agli 80 dei nostri giorni) si manifestano poi nuove forme di assistenza sanitaria e nuove risposte alle mutevoli forme della povertà.
Mons. Paglia ha ricordato anche esempi luminosi di anziani che hanno fatto la storia citando, oltre al “vecchio” papa Giovanni XXIII che fu iniziatore di quella straordinaria primavera del concilio Vaticano II, anche le numerose donne anziane della Chiesa ortodossa russa, che hanno posto le basi della rinascita tenendo accesa la luce della fede che brillava sotto le icone delle poche chiese aperte durante la persecuzione comunista. Due eventi in contesti diversi, che spiegano come gli anziani, per cattolici e ortodossi, siano considerati una risorsa preziosa.

Nuova alleanza con gli anziani

Comunque è nel cuore del novecento che matura una nuova alleanza con gli anziani, anche se la loro crescita numerica è stata una sfida che la Chiesa non sempre è riuscita ad accogliere prontamente a livello pastorale. Mons. Paglia si è riferito soprattutto agli anni del post-concilio, quando «non ci si è interrogati cosa poteva significare un’azione pastorale per aiutare gli anziani a vivere la loro fede anche negli ultimi anni della vita. L'attenzione si focalizzò sulla questione giovanile o anche sugli adulti. Gli anziani rimasero fuori dall’attenzione pastorale e, quindi, anche da quella più specificamente assistenziale che restava priva di una nuova linfa e appiattiva la cura per gli anziani unicamente alla prospettiva sociale. Fortunatamente le cose sono cambiate, anche se il cammino è ancora lungo».
Cerchiamo di trarre un frutto dalla rinnovata cultura e spiritualità delle relazioni tra le generazioni, così come ci sembra emergere dal convegno: pensiamo al nuovo concetto di invecchiamento attivo, che rappresenta anche un modello di esperienza emergente dalle esperienze, per quanto faticose, che oggi vivono molte comunità di religiose/i. Ricordando che l’Esortazione apostolica Vita consecrata collega la riflessione sui problemi del rapporto tra le generazioni alla formazione permanente, annotiamo alcune indicazioni: a) le diverse età della vita come modi significativi di vivere la percezione di sé, l’identità personale-vocazionale e il rapporto con Dio, con gli altri e le cose (n. 70); b) gli anziani, nella Chiesa e nelle comunità, come trasmettitori di valori-carismi e accompagnatori delle nuove generazioni (nn. 43, 66); c) le nuove espressioni di VC come segno di giovinezza e fecondità dello Spirito e della Chiesa (n. 12); d) la vita fraterna in comunità come “spazio umano abitato dalla Trinità” (n. 42).
Vogliamo in tal modo sottolineare il contributo della VC nella ricerca di un nuovo incontro fra anziani e giovani: essa è, per sua natura e vocazione, spazio dell’interscambio significativo (volto alla reciproca crescita dei soggetti), del coinvolgimento in una missione comune, della sperimentazione di una convivenza costruttiva di persone (con compiti, capacità e sensibilità diverse), della preghiera fatta insieme come contributo all’unità, dell’accoglienza e del buon clima relazionale come condizione per compiere scelte positive e superare limiti o stanchezze. Di fronte alle sfide delle relazioni tra generazioni, le comunità religiose prendano dunque sempre più coscienza che hanno un patrimonio che consiste nella loro identità di “scuole d'amore”, di laboratori di comunione preziosi perché vissuti nel concreto contesto di conflitti e tensioni.