A ottant’anni dalla nascita, e a diciassette dalla scomparsa, assume un rilievo sempre più luminosa lo figura di don Giovanni Moioli soprattutto per il contributo che ha dato alla teologia. La sua riflessione trova il suo fondamento fondamento nell’attenzione particolare al dialogo che storicamente si compie tra Dio e l’uomo. In lui si afferma l’idea che lo stesso processo teologico debba farsi carico della persona che si pone la domanda di senso, e che trova nella rivelazione di Dio una parola di verità. Negli anni settanta Moioli prende sempre più coscienza di quest'evidenza indiscutibile e comincia a ridefinire i compiti della teologia spirituale. Il radicamento umano in Dio, il desiderio di esprimere la fede come totale adesione a Cristo, la complessità dell’atto di fede, la sequela di Gesù nella storia, saranno i temi fondamentali della riflessione e della maturazione del teologo milanese. Illustri teologi del secondo dopoguerra, come Jean Mouroux e Hans Urs von Balthasar, già avevano fatto di questi argomenti, la struttura portante della loro proposta, frutto della ventata di novità teologico-spirituale di fine Ottocento portata da Paul Claudel, Charles Péguy, Charles de Foucauld, Karl Huysmans e dai coniugi Maritain.

La sua formazione spirituale e teologica

Giovanni Moioli nasce a Vimercate (MI), il 4 maggio del 1931. Alunno dei seminari diocesani milanesi fin dalla prima media, vi percorre tutto l'itinerario di formazione spirituale e teologica. Ordinato sacerdote il 27 giugno1954 dal card. Alfredo Ildefonso Schuster, prosegue a Roma gli studi teologici, frequentando l'Università Gregoriana. Il 2 luglio1958 completa il suo itinerario di formazione teologica presentando, sotto la direzione dei professori A. Liuima e K. Truhlar, una tesi di dottorato su La devozione bérulliana al Verbo Incarnato. Il card. De Bèrulle fu capostipite della “scuola francese“ di spiritualità. Rientrato in diocesi, don Moioli riceve l'incarico di direttore spirituale nei Seminari minori milanesi. Nel 1961, presso la Facoltà Teologica del Seminario di Venegono, gli è affidato l’insegnamento di teologia spirituale e l'incarico di professore di teologia sistematica. A livello scientifico promuove una riflessione metodologica sulla teologia spirituale arrivando a qualificarla come insegnamento autenticamente teologico della vita cristiana: privilegia la cristologia, proponendo un forte orientamento cristocentrico dell’intera teologia.
Nella evoluzione della sua riflessione riguardo alla “teologia spirituale”, vengono individuate tre fasi. Negli anni ’60 l’attenzione si rivolge al dinamismo della vita spirituale verso la santità, ancora nel contesto tracciato dalla teologia manualistica. Negli anni ’70, emerge con forza l’interesse per l’esperienza cristiana e la vicenda del soggetto credente: Moioli approfondisce con convinzione l’alleanza tra teologia e storia. Negli anni ’80, infine, ulteriori ripensamenti e precisazioni orientano sempre più Moioli alla riflessione sull’unità dell’esperienza cristiana e alla contemplazione del dialogo che nella storia si dipana tra Dio e l’uomo.

Il primato di Cristo e la verità del cuore

Una delle preoccupazioni più insistenti del Moioli predicatore è rivolta a non ridurre in alcun modo la consistenza storica e umana di Gesù di Nazaret. Nella sua predicazione, il Moioli teologo sembra tradurre i dati dogmatici in una “forma di vita” cristiana. In realtà le sue meditazioni non costituiscono semplicemente un discorso “spirituale” fondato su solide basi teologiche ma sono la ricerca del significato, della verità delle affermazioni di fede, che sono verità esistenziale. «Ciò che qualifica il cristiano è il modo radicale con cui egli si riferisce a Cristo».
Affiora nella sua critica un certo contesto di fede caratteristico del post-concilio e degli anni '70, incline a passare troppo in fretta da Gesù al cristianesimo, ai “valori cristiani”, o alla “comunità cristiana”, se non addirittura a ridurre Gesù, personaggio storico, al Cristo inteso come insieme di valori. Spesso, lamenta Moioli, la consistenza storica e singolare di Gesù di Nazaret, nel suo rapporto con il Padre, è ridotta a un generico “essere per gli altri” ; spesso si finisce col parlare di verità, di giustizia, senza parlare di Gesù. Ma l'insegnamento del Vaticano II è ripreso felicemente da don Giovanni proprio nella sua accentuazione della “storicità singolare” di Gesù e in generale nella rivalutazione della storia come categoria centrale del pensare teologico.
L'esistenza cristiana è dunque incomprensibile e inautentica se non restituisce il suo primato alla persona di Gesù: prima di essere un “fare”, un “programma d'azione”, magari anche l'affermazione di una centralità culturale, il cristianesimo è comunione con Gesù Cristo. Una delle simbologie più care a Moioli per delineare la figura cristologica è quella del cuore. Sollecitato anche dall'eredità spirituale di Elena da Persico, fondatrice delle Figlie della Regina degli Apostoli, don Giovanni si inoltra in più di un'occasione in questa tematica, affrontando anche dal punto di vista storico la vicenda della diffusa devozione al Cuore di Gesù. L'indagine lo porta a chiarire il valore permanente del discorso sul cuore di Cristo, che costituisce una chiave di lettura del cristianesimo stesso. In particolare, nella visione di Gv 19,34-37, il «cuore» di Cristo assume valore rivelativo: esso dice la visibilità e l’accessibilità dell'amore di Dio, manifesta la verità del cuore dell'uomo e rimanda alla verità del cuore di Dio.

Teologia dell’uomo come speranza

La verità e la complessità dell'atteggiamento cristiano dentro la storia, sono quelle di chi «non si pone mai in rapporto con il presente, con la situazione, con i tempi, con le culture, con i mondi senza rapportarsi contemporaneamente a un avvenimento che è "avvenuto"» e che costituisce l'avvenimento ultimo, la pienezza del senso della storia.
Verso questa pienezza definitiva, la vita cristiana che ha preso la forma dell'esistenza di Gesù, non solo cammina in prospettiva, ma già di essa partecipa. La resurrezione di Gesù non è solamente l'ultimo orizzonte della realtà, ciò che fonda seriamente l'ottimismo cristiano, ma un principio già operante in un'esistenza che, totalmente obbediente, abbandonata, consegnata a Dio, non può che terminare in quel modo di esprimere l'esistenza presso Dio che è la risurrezione» .
Il cristiano nella storia è dunque fatto speranza: è bello essere speranza, prima ancora di fare l'atto di speranza. Il pensare che, nello Spirito, noi siamo fatti domanda vera è il senso che dobbiamo dare all'espressione "essere-speranza": siamo una domanda vera nello Spirito Santo. Per quello che dipende da Dio, Dio sarà la risposta vera».
Anche la teologia della speranza sarà non tanto la teologia della virtù teologale della speranza, ma la teologia dell'uomo come speranza: sarà dunque il discorso sull'uomo in quanto tale come «cammino», come «domanda», come «attesa» di un compimento. «Non siamo mai abbastanza cristiani, ma dobbiamo diventarlo».

Guida spirituale

Moioli è direttore spirituale di tanti giovani seminaristi, consigliere di confratelli, religiosi e religiose, laici e laiche consacrate, coppie di sposi conosciute all'interno di gruppi di spiritualità familiare. Chi si fa guidare da lui nella ricerca del volere di Dio, si sente capito e amato, sostenuto nella scoperta della verità cristiana, rispettato nella profondità della coscienza e nella propria originale libertà. Ci si accorge che la sua guida conduce sempre e soltanto a Gesù Cristo e al suo Spirito, affinché venga alla luce quello che don Moioli presenta come «è bene per me», perché quel «particolare disegno che Dio ha sulla mia vita, è bene per me».
L'altra grande espressione della vita di Giovanni Moioli sacerdote, è il suo ininterrotto magistero. Egli è maestro di formazione cristiana. Anzitutto per i preti, che aiuta a capire la loro vocazione, perché, comprendendola, la amino sempre di più e la vivano con passione, così come fa lui. Ha un'attenzione particolare per i preti in difficoltà e cerca di illuminare con la sua riflessione modalità particolari di ministero, come quella dei preti operai.
Il suo magistero si rivolge anche ai religiosi e alle religiose, aiutandoli a interpretare il loro carisma nella Chiesa del Vaticano II e nella società moderna. Egli è tra coloro che prendono una posizione decisa a favore degli Istituti Secolari, sostenendo, con il rigore del suo pensiero teologico, che chi vive la propria vocazione laicale può con ciò stesso esprimere una dedizione totale a Dio mediante la scelta della radicalità e della verginità per il Regno. Tra gli Istituti Secolari segue, in particolare, le Figlie della Regina degli Apostoli: il legame con loro diventa tanto forte da rendere questo istituto erede delle sue carte personali.
Per i laici, il suo essere maestro di vita cristiana significa favorire la loro formazione alla luce dei documenti del Vatìcano II. Nell'ambito del laicato mostra di avere il dono di aiutare a costruire la comunione tra i coniugi e a riedificarla. In particolare, segue alcuni settori delle Équipes Notre Dame e i gruppi familiari di Azìone Cattolica.
Da teologo, da guida spirituale, da maestro di vita cristiana don Giovanni Moioli mostra un duplice amore alla Chiesa e alla gente. Della Chiesa dice: «non è il luogo dove si riposano la fede e la carità, ma dove la fede e la carità si temprano».
Ama la semplicità, l'essere alla mano. Gli piace cantare in compagnia e volentieri accetta inviti da parte delle famiglie. Ha amici anche tra i colleghi teologi. Mons. Giuseppe Colombo, ricordava che ogni pomeriggio lui e l'amico Moioli lasciavano le loro camere del Seminario di Venegono e passeggiavano per mezz'ora «sotto i portici e lì il discorso era a tutto campo ed era proprio un gusto, perché non soltanto nell'orizzonte non c'erano limiti, ma anche nella profondità. Carico di ricchezze umane e cristiane, compiuti i 50 anni, alla fine di novembre 1981 viene sottoposto a un intervento chirurgico nel tentativo di debellare un tumore della cui gravità, come testimoniano i suoi scritti, egli è ben consapevole. Con semplicità chiede e fa pregare per una guarigione miracolosa, all'interno, però, di un sincero e talora sofferto affidamento a Dio. Ciò gli permette di continuare a condurre una vita impegnata fino a pochi mesi prima della morte, avvenuta a Vimercate il 6 ottobre 1984.