«Quando ho visto il tema che mi è stato affidato, ha esordito la teologa
americana Sandra Schneiders, nel recente seminario teologico sulla VC apostolica
, mi sono sentita un po’ sopraffatta», dal momento che è piuttosto difficile
«parlare della “natura radicale” e del “significato” della VC in una quindicina
di minuti». Ha provato a farlo, con due importanti premesse. Anzitutto, ha
detto, la VR apostolica «è radicalmente costituita dalla consacrazione totale e
permanente del religioso a Dio, effettuata ed espressa tramite la professione
perpetua vissuta in comunità e nella missione». Inoltre, la VR «è
intrinsecamente modellata dal contesto storico, compreso il carisma del
fondatore, nel quale essa è nata e nel quale viene vissuta». La correlazione di
queste due caratteristiche è fondamentale per capire sia la continuità della VR
che la discontinuità delle sue varie forme carismatiche anche “sostanzialmente
diverse” assunte nel corso della sua lunga storia. Se si perde di vista il
reciproco rapporto di questi due elementi, è facile cadere in «un essenzialismo
astorico o in un esistenzialismo senza radici».
Basterebbe guardare alla “forma ibrida” e “disfunzionale” di VR di quelle
congregazioni religiose femminili i cui fondatori/trici intendevano chiaramente
che non fossero di clausura, ma apostoliche, e che poi, di fatto, sono state
costrette ad una forma fondamentalmente monastica di VR per gran parte della
loro storia fino al XX secolo. Quante volte, in questi casi, «la rivendicazione
del loro carattere apostolico ha causato e continua a causare notevoli tensioni
nelle e tra le congregazioni da una parte e tra le congregazioni e alcuni membri
della gerarchia dall’altra!». Fra le numerose congregazioni che hanno vissuto
queste tensioni, basterebbe ricordare le Orsoline (di Angela Merici) «costrette
ad una clausura quasi totale» e le Figlie della carità (di Louise de Marillac)
obbligate «a rinunciare allo status di religiose per poter evitare la clausura».
Un cambiamento di paradigma
Proprio sulla base di questa contrastata prospettiva storica, la relatrice prova
a formulare una sua “ipotesi teologica critica” di partenza – imperniata sulla
riscoperta del “mondo” – grazie alla quale dovrebbe essere possibile cogliere
più facilmente «il rapporto tra la costituzione radicale della VR come una vita
di totale consacrazione vissuta in comunità e nella missione e la nuova forma
storica di vita apostolica religiosa non-claustrale e non-clericale emersa già
nel XVI secolo, ma riconosciuta soltanto oggi».
Come negare, infatti, che la relazione tra la Chiesa e ciò che è definito come
il “mondo”, sia stata storicamente caratterizzata «da antagonismo e ostilità
crescente?». Come negare, ancora, che le contrapposte relazioni (fra le “due
città” di agostiniana memoria o tra l’ordine spirituale e l’ordine temporale,
secondo le definizioni medioevali, o tra la realtà della Chiesa divinamente
stabilita e immutabile, identificata con il Regno di Dio e la corruzione della
modernità denunciata da Pio X come la “sintesi di tutte le eresie”), non fossero
abitualmente caratterizzate da “alienazione e da rifiuto”?
La VR, fin dalla nascita del monachesimo del deserto, ha forse rappresentato
«l’espressione e la forma più pura del rifiuto del mondo da parte della Chiesa».
La “fuga dal mondo”, la “morte al mondo”, la “rinuncia al mondo”, la
“separazione dal mondo” per lungo tempo «è stato un elemento centrale per la
comprensione della VR non solo da parte della Chiesa, ma anche da parte degli
stessi religiosi».
Questo “rifiuto del mondo” ha assunto anche forme di separazione fisica, con il
trasferimento geografico nel deserto, nel monastero o nel convento.
L’abbigliamento particolare, l’orario comune quotidiano, che richiedeva una
continua presenza fisica dei religiosi nella casa, e la clausura papale «hanno
allontanato e protetto i religiosi dalla vita “mondana” che circondava il
convento o il monastero».
Per i religiosi “il mondo” non era semplicemente tutto ciò che esisteva al di
fuori della Chiesa, ma persino «tutto ciò che esisteva al di fuori del chiostro,
compresi gli altri cattolici». Questo rifiuto fisico e sociale del mondo era
così universale, così profondamente radicato da diventare “parte dell’essenza
stessa” della VR. Persino dopo il riconoscimento delle congregazioni
apostoliche, da parte di Leone XIII, come forme autentiche di vita religiosa,
queste caratteristiche di rinuncia al mondo, poiché erano ormai considerate
essenziali per la stessa vita religiosa, hanno continuato a connotare la VR
apostolica non-clericale fino al Vaticano II. Anche la recente indagine sulle
congregazioni religiose apostoliche femminili negli Stati Uniti, per quanto
siano state offerte motivazioni comprensibili, «è stata motivata dalla
percezione del “secolarismo”, cioè della “mondanità” di queste religiose con un
velato riferimento alle questioni della clausura, dell’abito, della vita comune,
dell’orario, del chiostro e di tutte le forme di apostolato rigorosamente
istituzionalizzate».
Per quanto riguarda la VR, osserva Schneiders, «l’originalità primaria e
fondamentale del Vaticano II è stato il cambiamento di paradigma circa il modo
in cui la Chiesa intendeva il suo rapporto con il mondo». Soprattutto nella
costituzione pastorale Gaudium et spes la visione negativa del rapporto
Chiesa-mondo, ha lasciato il posto ad una visione del “mondo” come una realtà
che «Dio ha tanto amato da dare il Figlio unigenito» Gv. 3,16). Anche se il
documento appare molto “ottimista” in alcuni suoi punti, non è difficile
individuarvi comunque «l’alba di una nuova era». Il Vaticano II non solo ha
modificato, ma «ha effettivamente invertito l’atteggiamento di ostilità tra la
Chiesa e il mondo», lanciando una grande sfida “teologica e spirituale” anche
alla VR attestata su un atteggiamento di ”rifiuto del mondo” sopravvissuto quasi
fino al termine del concilio stesso.
L’apporto delle scienze umane
Per delle persone che in ragione della propria separazione dal mondo si
consideravano ed erano considerate dalla Chiesa come una specie di “avanguardia”
dei fedeli, la “porzione più illustre del gregge di Cristo”, «una se non la
principale incarnazione e strumento della visione della Chiesa come antitesi del
mondo», non era sicuramente facile “riconcettualizzare” la propria vocazione
quasi dovendo rinunciare alla propria originaria identità. Schneiders è sempre
più convinta che se la VR soprattutto apostolica vuole rimanere fedele alla sua
natura radicale ed essere significativa per il nostro tempo, non potrà più
prescindere da una teologia e da una spiritualità più biblicamente fondate e più
aperte a una positiva visione del mondo.
Come nei decenni tra il 1950 e il 1980 i religiosi hanno cercato di acquisire
una nuova consapevolezza del proprio “io”, «così oggi sono chiamati a una nuova
visione del mondo». Per troppo tempo si è vissuti all’ombra «di un’antropologia
inadeguata e di una cosmologia teologica che sfociavano poi in una discutibile
spiritualità». Grazie all’apporto delle scienze umane e di una rinnovata
antropologia biblica e teologica, «i religiosi hanno appreso che l’io abbraccia
l’intera soggettività, tra cui, in particolare, la propria relazionalità». É
stato tutt’altro che semplice «sviluppare un vero io che potesse relazionarsi in
modo maturo con Dio e con il prossimo».
Non sono storicamente mancati degli errori «nel processo di liberazione da una
psicologia e da una spiritualità medievale di repressione e di comunitarismo,
ammantate dall’ideale dell’abnegazione». Quanti, in un recente passato, a torto
o a ragione, hanno accusato i religiosi di aver abbandonato la spiritualità per
una “auto-realizzazione” mondana. Oggi, però, «pochi metterebbero in dubbio
l’impegno dei religiosi per legittimare e rinnovare lo sviluppo personale come
conditio sine qua non per una più matura capacità di donazione». La stessa
scienza dell’universo è fondata teologicamente «su un nuovo apprezzamento della
creazione come dono dell’amore di Dio, della storia umana come il contesto
dell’incarnazione del Verbo, nel quale l’umanità è sempre più vista come oggetto
della missione trinitaria di Dio».
Una simile visione teologica del “mondo” dovrebbe generare anche «una
spiritualità dell’impegno nel mondo». Questo impegno per un Dio che ama il mondo
«non può più essere espresso tramite le strategie dell’isolamento, della
distanza sociale, della non-partecipazione e dell’elitarismo in relazione al
mondo e ai suoi abitanti».
Non si può certo ignorare il fatto che, come dice san Paolo, esiste un “mondo”
che è sotto l’influenza di Satana. Ma non si può neanche dimenticare che questo
mondo del male «è in noi e nelle nostre comunità, come pure nei sistemi, nelle
istituzioni e nelle strutture sociali della realtà storica cui partecipiamo». Le
conseguenze più evidenti sono date dal fatto che i poveri sono sempre più
poveri, che i ricchi possono diventare più ricchi, che la violenza sta
diventando la soluzione ideale in tutti i conflitti di interesse, che i deboli
sono sempre più sfruttati a tutto vantaggio dei potenti. Come ci sono errori ed
abusi nel campo dello sviluppo sociale ed economico, così non mancano spesso
«ingenuità ed estremismi nell’abbraccio del mondo da parte di alcuni religiosi».
Una rilettura dei tre voti
A questo punto dovrebbe essere acquisito il fatto che la VR apostolica, nata
ancora cinque secoli fa, «solo nel nostro tempo è andata assumendo il suo
carattere carismatico di un autentico impegno ministeriale in tutto il mondo».
Da qui, inoltre, deriva un’altra conseguenza relativa alla “natura radicale”
della VR apostolica. I tre voti non dovrebbero essere necessariamente intesi in
termini di “fuga fisica dal mondo”. Più che configurarli come un insieme di
impegni e di pratiche, andrebbero, invece, intesi come «le coordinate di un
“mondo” alternativo non di un altro luogo, ma di una costruzione alternativa
immaginaria della realtà». Con la professione i religiosi, infatti, «creano,
vivono e operano in un “mondo” alternativo, presentandolo ai loro contemporanei
come una reale possibilità storica».
È proprio questa la posizione “radicale” che i religiosi sono chiamati ad
assumere nei confronti delle tre coordinate predominanti nel mondo odierno delle
relazioni, dei beni materiali e del potere. «Attraverso il celibato consacrato,
la povertà evangelica e l’obbedienza profetica, i religiosi realizzano
concretamente, nella loro vita comunitaria, il vero mondo che Dio sogna, mentre,
tramite il loro ministero, operano per renderlo reale nella storia».
I religiosi possono scegliere di non possedere completamente nulla solo in una
comunità in cui tutto è in comune. Ma una simile comunità è possibile solo tra
chi ha “un cuore solo e un’anima sola”. I religiosi sapranno discernere il piano
di Dio per sé e per il mondo, in una comunità di discepoli “alla pari”,
esclusivamente usando il potere «solo con e per gli altri, mai contro o al di
sopra di loro»
La VR apostolica odierna, conclude la Scheniders, mentre da una parte è in
continuità con la natura radicale della VR così com’è sempre stata intesa e
vissuta nella Chiesa, dall’altra, però, è andata anche assumendo aspetti
sostanzialmente diversi rispetto alle forme di vita monastica e clericale. La
continuità si trova nel carattere radicale di una vita di totale consacrazione a
Dio tramite la professione dei consigli evangelici per tutta la vita, una
caratteristica, questa, di tutte le forme di vita religiosa. Ma la
discontinuità, rispetto alle precedenti forme di vita, che costituisce il
significato della vita religiosa nel nostro tempo, consiste «nell’abbracciare il
mondo che Dio ha tanto amato da dare il suo Figlio unigenito, attraverso il dono
di sé nel ministero che è costitutivo della forma apostolica della vita».