Mi è stato chiesto di ripercorre assieme ai nostri lettori alcuni tratti essenziali del contributo dato alla vita consacrata da parte del Beato Giovanni Paolo II. Un contributo fatto di gesti, di insegnamenti, di interventi vari. (Per una visione più ampia, rimando al n 1/2005 di Sequela Christi, e al mio Tempo di prova e di speranza, Ancora 2006).
Mi limiterò a tracciare le linee generali, viste nell’ insieme del suo pontificato.

La vita religiosa

I religiosi e le religiose avevano conosciuto uno sviluppo numerico straordinario nella prima metà del novecento. Istruzione, sanità, missione, cultura, teologia erano i campi in cui la presenza della vita religiosa era massiccia, stimata, ricercata, ritenuta indispensabile.
Al Concilio i suoi teologi erano stati tra i protagonisti e la vita religiosa aveva avuto l’onore di un capitolo a parte nella Costituzione sulla Chiesa Lumen Gentium.
Ma alla primavera conciliare ha fatto seguito un gelo invernale. Nel decennio 1965-1975 gli Istituti più numerosi perdono un terzo del loro personale. Il rinnovamento auspicato iniziava proprio con la stagione del sessantotto, caratterizzata dall’affermazione radicale della libertà del soggetto, che metteva in difficoltà le istituzioni che si basavano sull’obbedienza.
Nello stesso periodo le opere tradizionali cominciavano a subire la concorrenza degli interventi statali, sempre più presenti nel campo dell’istruzione, dell’assistenza e della sanità.
Da qui la preoccupazione di non perdere il passo con i tempi e la corsa all’aggiornamento, orientato prevalentemente al sociale e al politico.
Era inevitabile che l’auspicata “apertura al mondo”, impegnava nell’acquisizione della dimensione “laica” o secolare delle varie competenze, immettendo nel mondo della vita religiosa elementi destabilizzanti che richiedevano nuovi equilibri tra scienze umane e spiritualità, tra rispetto della persona e ricerca della volontà di Dio, con pericoli di fughe in avanti o di brusche frenate.
E qui bisogna citare il coraggioso documento Religiosi e promozione umana dell’indimenticabile cardinal Pironio, che veniva incontro alle istanze positive del momento, offrendo criteri di discernimento.

Il vento dell’Est

L’arrivo del “nuovo papa polacco” (ottobre 1978) è stato percepito non soltanto come un “vento dell’Est”, ma come un vero e proprio ciclone, tanto diverso dalle delicate brezze di Paolo VI.
E’ un uomo giovane, nel pieno delle forze, che viene dal mondo slavo, a cavallo tra Oriente e Occidente.
Per chi guarda dall’Oriente cristiano, l’Occidente può essere visto come malato di razionalismo, troppo attento alla storia, troppo legato al contingente, al “qui e ora”, poco contemplativo e quindi facilmente suggestionabile e catturabile dal momento presente.
Il nuovo papa si trova, per posizione geografica e per formazione, tra il lumen occidentale e il numen orientale, tra la razionalità e il mistero.
Appare subito chiaro che l’obiettivo del nuovo pontificato è duplice: ricuperare l’identità cristiana e ridare il coraggio della missione.
Le accese e interminabili discussioni sul rapporto chiesa - mondo, le revisioni, gli assestamenti vari, comprensibili in un periodo di trapasso come quello postconciliare, avevano reso incerto il senso dell’essere cristiani e cattolici e quindi sembrava diminuito il coraggio e la necessità della missione. Per il vescovo di Cracovia, temprato dal confronto col comunismo a partire da posizioni chiare, era evidente che il primo compito di un papa era quello di togliere le incertezze e ridare la fierezza d’essere cristiani,
Inoltre, se fino a quel momento ci si era interrogati sull’ “uomo d’oggi”, sull’uomo “situato” nel mondo secolare o nel mondo delle ingiustizie sociali, non era giunto il momento di fare posto anche alle domande sull’ “uomo” senza aggettivi, l’uomo eterno, all’homo absconditus e sulle sue dimensioni insopprimibili e perenni?
Soprattutto occorrerà ricordare che quest’uomo è da redimere e che anche l’uomo di buona volontà ha bisogno di redenzione e che questo è il bisogno più profondo.
Programmatica è la sua prima enciclica Redemptor Hominis (1979), come pure le molte altre che richiamano esplicitamente fin dal titolo al tema della redenzione: Redemptoris mater, Redemptoris missio, Redemptoris custos…
Anche il primo documento indirizzato esplicitamente alla vita consacrata Redemptionis donum (1984) si colloca in questa prospettiva.
La vita consacrata è presentata come alleanza d’amore, vissuta con il Padre, in Cristo mistico Sposo, nella forza dello Spirito Santo, permettendo al religioso di entrare a fondo nel mistero complesso della morte del Redentore e della sua vita nuova, a beneficio di tutta la Chiesa e del mondo intero.
È un documento dai densi e contenuti teologici e spirituali, che sembra volare alto, al di sopra delle situazioni contingenti, quasi a voler richiamare l’importanza di quello che è essenziale e irrinunciabile nella vita consacrata, la quale è al servizio non di un progetto umano, ma del dono della Redenzione da accogliere. Invita inoltre a dare più attenzione al dono che al compito, al Donante più che al ricevente, a Cristo prima che all’uomo.
C’è qui un appello alla vita consacrata ad essere preoccupata della propria identità “cristocentrica”, alla interiorità che permette questo ricupero, anche se non lo esaurisce, a ciò che la può rendere solida e capace di affrontare tutte le altre sfide poste dalla società secolarizzata.

Il ricupero dell’identità

Qualcuno ha visto in questo richiamo un parallelismo con il mutamento culturale in atto nella società, cioè il “riflusso” degli anni ’80. Ai due decenni “estroversi”, di attenzione al sociale e al politico, caratterizzati dal predominio del pubblico sul privato, dei problemi strutturale sui problemi della persona , inizia un periodo “introverso”, di “ritorno a casa”, di attenzione ai problemi dell’individuo.
Ma il richiamo al ricupero dell’identità da parte del papa non è fatto per favorire l’individualismo, ma per dare una base solida alla missione. Dopo l’attenzione alle questioni inerenti aggiornamento, delle opere e della cultura, dei rapporti con la Chiesa locale, l’immissione della teologia del carisma, il nuovo papa pone sul tappeto il tema della consacrazione quale solida pietra sulla quale costruire l’edificio della vita consacrata.
Nel 1983 egli invia una lettera ai vescovi degli Stati Uniti d’America, chiedendo un impegno speciale di animazione della vita religiosa in USA. Approva inoltre un documento preparato dal dicastero per la vita consacrata, contenente gli Elementi essenziali dell’insegnamento della Chiesa sulla vita religiosa, nel quale si fanno alcune importanti affermazioni:
La prima: l’elemento base della vita religiosa è la consacrazione intesa innanzitutto come azione da parte di Dio (“la consacrazione è un’azione divina”) e poi come risposta dell’uomo che si consacra a Dio, facendo il dono totale di sé a lui.
Inoltre: tale consacrazione è chiamata “nuova e speciale” nei confronti di quella del battesimo. Infine: la nuova e speciale consacrazione è in vista della missione.
Anche il nuovo Codice di Diritto Canonico contribuisce a mettere al primo piano della vita religiosa e della sua teologia la realtà della consacrazione,intesa come iniziativa di Dio e come piena risposta dell’uomo.
C’è in questa teologia la preoccupazione di affermare che la vita religiosa esiste prioritariamente non per fare qualche cosa, ma per appartenere a Qualcuno. All’inizio della vita religiosa non c’è un progetto da realizzare, ma il Signore da amare e da servire.
È un approccio fortemente teologale, reso comprensibile e realizzabile dall’amore sponsale che lega la persona consacrata a Cristo.
Il tema dell’amore sponsale ritorna frequentemente negli interventi di papa Wojtyla, per la forte valenza ecclesiologica e mariologica. Nella vita religiosa la Chiesa realizza al massimo la sua dimensione sponsale, sull’esempio di Maria, tutta dedita al suo Signore.
Basta pensare al n 34 di Vita consecrata dove la vita religiosa è presentata come immagine della chiesa-sposa, assumendo un posto privilegiato nella dimensione mariana – sponsale, fino all’ultimo documento, il messaggio inviato al Congresso internazionale della vita consacrata, il 26 novembre 2004, dove viene ricordata la sponsalità, come invito “ad amare l’Amore”.
Siamo in presenza di una teologia che richiede una certa “esperienza mistica”, che presuppone un sentire e un comprendere il legame peculiare con il mistero di Cristo, come dato prioritario nel confronto degli altri dati pur necessari. Ed è un discorso “duro” per orecchi abituati da tempo ad altri linguaggi culturali e teologici e probabilmente preoccupati di una possibile destoricizzazione della vita religiosa.
È il supplemento di mistero che il papa dell’Est vuole immettere o ricordare nella attivissima vita religiosa occidentale.
E qui egli tradisce qualche cosa del suo ricco mondo interiore, del suo appassionato amore a Cristo, della sua fede incrollabile in lui e nella sua azione, che già era trapelato nel suo appello iniziale: «Non abbiate paura di Cristo» e che non cesserà mai di presentare e riaffermare nel suo lungo pontificato.
E nello stesso tempo della sua comprensione profonda della dimensione mariana della Chiesa e della propria esperienza spirituale (Totus tuus), dimensione che egli considererà coessenziale a quella petrina.

Nel processo di mondializzazione


Il “nuovo papa” aveva ereditata una Chiesa ricca di fermenti e di problemi, caratterizzata da un accelerato processo di internazionalizzazione sia geografica che culturale, processo che interessava in modo particolare la vita consacrata.
Gli Istituti religiosi cominciavano a soffrire la rarefazione delle vocazioni al Nord, mentre vedevano fiorire le provincie del Sud del pianeta, con il conseguente sorgere di problemi di convivenza dentro l’istituto e dentro le singole comunità, con la difficoltà di inculturazione del carisma in contesti diversi, con la necessità di mantenere l’ unità dell’istituto senza imporre una impossibile e non auspicabile uniformità
Il papa conosceva bene la situazione, dati i suoi frequenti viaggi e i non rari colloqui con i superiori generali o i responsabili di unioni di religiosi e religiose dei vari continenti.
I problemi di governo centrale, in una situazione di pluralismo culturale, toccavano sia la Chiesa nel suo complesso, sia gli Istituti, antichi e nuovi.
E additò, specie dopo il Sinodo speciale del 1985, nella visione teologica della Chiesa come comunione, la via per comporre le difficoltà dell’intenso rinnovamento comunitario, che la vita religiosa aveva intrapreso a partire dal concilio. Un rinnovamento mosso da un’anima evangelica di fraternità, ma anche da un’anima rivendicativa di maggior autonomia personale.
In questo clima “comunionale” nasce il documento sulla Vita fraterna in comune, del 1994, accolto assai favorevolmente sia perché tiene presenti i diversi contesti culturali nei quali è vissuta concretamente la comunità, sia perché cerca di comporre la pluralità con l’unità grazie all’apporto decisivo della fraternità, sia per l’utilizzo dei mezzi teologico-ascetici e quelli antropologici, sia infine per il rispettoso e chiaro discernimento delle nuove esperienze comunitarie nelle varie parti del mondo.
Un documento utilizzato anche al di fuori della vita consacrata, per favorire la coscienza della fraternità, quale incipiente realizzazione del Regno di Dio sulla terra.

Momenti difficili

Papa Wojtyla stimava la vita religiosa e ne aveva un concetto elevato. Per questo l’ha seguita con l’affetto e la responsabilità di chi era consapevole del dovere che veniva dal confirma fratres tuos (Lc 22,31), dal suo compito, ch’egli sentiva prioritario, di confermare i suoi fratelli nella fede.
Egli ha rispettato e difeso l’autonomia interna degli Istituti, anche quando voci si alzavano per limitare tale autonomia. Anche in momenti in cui le esigenze delle Chiese locali premevano perché ci fosse un impegno più “parrocchiale” della vita consacrata, Egli ha ricordato a tutti, vescovi e religiosi, che il miglior servizio della vita consacrata alla chiesa locale era la fedeltà al proprio carisma, come avvenne nel primo viaggio in Brasile, in un memorabile discorso a São Paulo.
Non è difficile pensare che, in un periodo di generosi slanci innovativi e di ricerca di nuove soluzioni, non ci siano stati soltanto momenti idilliaci tra le vita consacrata e papa Giovanni Paolo II.
Forse il momento più difficile viene dall’America Latina, sfociato nella sospensione della Presidenza della CLAR, la influente Conferenza latino-americana dei religiosi.
La Chiesa latino-americana aveva fatto a Medellin (1968) l’opzione preferenziale per i poveri, con il supporto di una vivace teologia della liberazione, che aveva come protagonisti i religiosi tanto a livello di riflessione teologica quanto di impegno concreto, e spesso eroico, a servizio dei poveri.
Il pPapa ha affermato più volte: «Abbiamo bisogno di una teologia della liberazione», sensibile come era alla sofferenza dei poveri. Tuttavia egli diffidava dell’ideologia marxista, che stava alla base di alcune correnti, avendone sperimentato di persona le cattive conseguenze.
Da questa “simpatia critica” sono nate una serie di incomprensioni che hanno portato a considerare Roma come nemica delle lotte di liberazione dei poveri.
Passato il momento acuto della crisi si è vista la lungimiranza del papa venuto dal comunismo, oltre ad un ripensamento critico di alcuni aspetti da parte di qualche teologo della medesima teologia. La quale avrebbe bisogno d’essere rivitalizzata in un contesto di individualismo, che addormenta le coscienze di credenti e non credenti, rendendoli insensibili alle sofferenze altrui.
Un'altra situazione che ha richiamato l’attenzione della stampa e dell’opinione pubblica è stato quello che fu chiamato il “commissariamento” della Compagnia di Gesù, visto come un’interferenza negli affari interni di uno dei più fedeli Istituti alla Santa Sede.
L’intervento è stato determinato, oltre che da preoccupazioni di indirizzo generale ritenuto non sempre conforme alle direttive pontificie, dallo stesso sistema istituzionale della Compagnia di Gesù. Dato che nelle sue costituzioni non è prevista la figura del vicario generale, come figura stabile, ma il vicario viene nominato di volta in volta dal Preposito generale quando si assenta da Roma oppure quanto ha qualche altro impedimento, essendosi verificata la situazione che il P. Arrupe, a causa dell'ictus, non era in grado di nominare un Vicario con piena libertà e consapevolezza, intervenne la Santa Sede. È da tener presente che il papa è superiore interno della Compagnia e non superiore supremo esterno come per gli altri Istituti religiosi, per cui il Preposito generale, per il diritto proprio della Compagnia, è un delegato del Papa.


Il Sinodo sulla Vita Consacrata


Il punto più alto del Magistero del nostro pontefice è rappresentato dall’indizione del Sinodo sulla vita consacrata, celebrato nell’ottobre del 1994, dal quale ha tratto la sua Esortazione apostolica Vita Consecrata (1996), ove ha dato risposte chiare a questioni dibattute, offrendo così una “summula” teologica, spirituale e pastorale alla vita consacrata e alla Chiesa.
Innanzitutto è chiaro che, nonostante alcuni interventi pessimisti e colpevolizzanti ascoltati nell’Assemblea sinodale, il Pontefice mostra di comprendere il travaglio del difficile rinnovamento e conferma la sua fiducia nella vita consacrata, data la sua importanza per la vita e la vitalità della Chiesa.
Egli si dice preoccupato non tanto nel declino numerico della vita consacrata, ma di quello spirituale.
La storia della Chiesa testimonia infatti l’alternarsi degli alti e bassi delle varie forme della vita consacrata, ma anche la sua vitalità sorprendente e creatrice di nuove forme. E indica nella fedeltà dinamica al carisma la via più sicura per un servizio al mondo nella Chiesa.
Dal punto di vista teologico lega la vita consacrata al “cristocentrismo trinitario”, a un rapporto particolare con la Trinità, ricuperando in tal modo altre categorie evidenziate nel postconcilio: la consacrazione è opera del Padre che riserva per sé una persona, la invia alla sequela di Cristo in un progetto carismatico che è frutto dello Spirito Santo, cioè in un Istituto approvato dalla Chiesa.
Il papa inoltre dà risposte alle domande poste dal Sinodo circa il rapporto fra consacrazione battesimale e consacrazione religiosa e circa i tre stati di vita, questioni che dividevano teologi dentro e fuori la vita consacrata, dentro e fuori l’aula sinodale.
Circa la prima riprende l’insegnamento iniziale: la consacrazione religiosa è una “nuova e speciale” consacrazione perché presuppone una nuova e speciale chiamata. Non tutti infatti sono chiamati a vivere nel celibato o nell’obbedienza a un superiore.
Circa la seconda afferma che lo stato di vita dei consigli evangelici è, assieme allo stato laicale e clericale, costitutivo della Chiesa, perché è stato inaugurato da Cristo. “Veramente la vita consacrata costituisce memoria vivente del modo di esistere e di agire di Gesù. come Verbo incarnato di fronte al Padre e di fronte ai fratelli. Essa è vivente tradizione della vita e del messaggio del Salvatore” (VC 22).
Segue la trattazione teologica più elaborata da parte del Magistero del rapporto dei tre stati di vita, tenendo presenti i due Sinodi precedenti dedicati all’ordine sacro e ai laici.
La missione della vita consacrata non viene limitata a un’azione, ma è riassuntiva dell’intera realtà della vita consacrata. Infatti essa è costituita da tutti e tre le dimensioni della vita consacrata: in primo luogo dal ripresentare la forma di vita di Cristo casto, povero, obbedente, in secondo luogo dall’offrire comunità che siano esemplari come fraternità, e, come terzo elemento, svolgere la missione specifica in fedeltà creativa al proprio carisma. C’è qui la specificità della vita consacrata nei confronti degli altri stati di vita e degli istituti tra di loro.
Nell’importante documento, vengono messe al servizio della vita consacrata d’oggi le intuizioni spirituali e la riflessioni teologiche, maturate nei molti secoli di realizzazioni, spesso attraverso le parole degli stessi fondatori o delle grandi personalità spirituali religiose, donne e uomini..
Rilevante è la riflessione sui consigli evangelici, presentati sia in chiave trinitaria (quali risposta al Padre, nella forza dello Spirito, alla sequela di Cristo) sia in chiave antropologica (quali risposta “terapeutica” alle tre rivoluzioni culturali e di costume del nostro tempo:la rivoluzione sessuale, economicistica e individualistica).
Da notare che la fondazione trinitaria permette di garantire alla vita consacrata il fondamento stabile teologale e, nello stesso tempo, di permettere il suo inserimento nella storia attraverso la dimensione carismatica che attualizza in forme diverse aspetti diversi del mistero di Cristo, nel mutare delle necessità della Chiesa nei diversi tempi.

La giornata della vita consacrata


A dimostrazione dell’importanza attribuita da Giovanni Paolo II alla vita consacrata, nel 1997 decide che il 2 febbraio si celebri in tutto il mondo la giornata della vita consacrata.
Il 2 febbraio, festa antichissima della Presentazione di Gesù al Tempio e della Purificazione di Maria, costituiva nella tradizione romana un appuntamento con il successore di Pietro per esprimere il proprio legame di obbedienza e la dedizione a Cristo e alla Chiesa. Si riunivano in San Pietro le varie “corporazioni ecclesiastiche romane” e le istituzioni religiose in rappresentanza di tutto il popolo di Dio; esse offrivano al papa dei ceri che questi poi destinava a “persone e a luoghi”, tra cui, in particolare, le comunità religiose, i santuari e i monasteri di vita contemplativa.
L’incontro offriva l’occasione di approfondire, alla luce del mistero celebrato nella liturgia e del simbolismo del cero, la vita della Chiesa, la vocazione cristiana come vocazione oblativa a Cristo e ai fratelli, che ha le sue radici nel sacrificio della Croce, e le vocazioni di speciale consacrazione: “Sacrificio di sé, luce per gli altri, vuole il cero significare. Testimonianza che divora”. (cf Sante Bisignano, in Sequela).
Vale la pena riportare un brano assai eloquente del documento di indizione di Giovanni Paolo II: «Questa Giornata ha anche lo scopo di promuovere la conoscenza e la stima per la vita consacrata da parte dell'intero popolo di Dio. Come ha sottolineato il concilio (cfr Lumen gentium, 44) e io stesso ho avuto modo di ribadire nella citata Esortazione apostolica, la vita consacrata "più fedelmente imita e continuamente rappresenta nella Chiesa la forma di vita che Gesù, supremo consacrato e missionario del Padre per il suo Regno, ha abbracciato ed ha proposto ai discepoli che lo seguivano" (22). Essa è, dunque, speciale e vivente memoria del suo essere di Figlio che fa del Padre il suo unico Amore - ecco la sua verginità -, che in Lui trova la sua esclusiva ricchezza - ecco la sua povertà - e ha nella volontà del Padre il "cibo" di cui si nutre (cfr Gv 4,34) - ecco la sua obbedienza. Questa forma di vita, abbracciata da Cristo e resa presente particolarmente dalle persone consacrate, è di grande importanza per la Chiesa, chiamata in ogni suo membro a vivere la stessa tensione verso il Tutto di Dio, seguendo Cristo nella luce e nella potenza dello Spirito Santo. La vita di speciale consacrazione, nelle sue molteplici espressioni, è così al servizio della consacrazione battesimale di tutti i fedeli. Nel contemplare il dono della vita consacrata, la Chiesa contempla la sua intima vocazione di appartenere solo al suo Signore, desiderosa d'essere ai suoi occhi "senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa ed immacolata» (Ef 5,27)

Un amore deluso?


Stando ad alcune interpretazioni correnti, Giovanni Paolo II, di fronte al declino numerico e missionario della vita consacrata in Occidente, avrebbe fatto l’opzione preferenziale per i movimenti ecclesiali, quali serbatoi di energie apostoliche e missionarie.
I movimenti laicali avrebbero risposto meglio alle sue preoccupazioni evangelizzatrici, per la freschezza del loro entusiasmo, le modalità della loro presenza più atta ad inserirsi nella società secolarizzata, per una più sicura adesione al magistero. .
Può darsi che ciò risponda in parte al vero, almeno in Occidente, dato che in altre parti la vita consacrata manifesta una notevole vitalità, sia numerica che missionaria.
La vita consacrata dovrebbe gioire per il nascere e il crescere di nuove modalità di formazione dei laici e di impegno per la missione, augurandosi che reggano al logorio del tempo.
Lo Spirito santo infatti è “Spirito creatore” e può darsi che il Terzo millennio sia dei laici.
Si potrebbe persino ipotizzare un futuro in cui le attività educative, assistenziali, ospedaliere, ove occorre una particolare competenza laicale, diventino campi privilegiati per il lavoro dei movimenti ecclesiali a dei laici impegnati.
Tuttavia per la Chiesa e per la vita consacrata, sia contemplativa che attiva, restano valide le affermazioni del Papa, nella sua Esortazione apostolica: “La Chiesa ha sempre visto nella professione dei consigli evangelici una via privilegiata verso la santità”(VC 35).
In tal modo «quanto alla significazione della santità nella Chiesa, un’oggettiva eccellenza è da riconoscere alla vita consacrata, che rispecchia lo stesso modo di vivere di Cristo. Proprio per questo, in essa si ha una manifestazione particolarmente ricca dei beni evangelici e un’attuazione più compiuta del fine della Chiesa che è la santificazione dell’ umanità» (VC 32).
Queste alte parole di riconoscimento dell’altissimo valore della vita consacrata, possono essere considerate la testimonianza più solida della sua stima e delle sue attese.
Parole che saranno accettabili dagli altri nella misura in cui le persone consacrate mostreranno che la loro vita è mossa dal desiderio di una tensione conformativa a Cristo, pur nella fragilità della condizione umana e nella fedeltà creativa al loro carisma ripresentato per l’oggi con un laborioso e fiducioso discernimento.
È il modo migliore per non deludere chi, come Papa Wojtyla, ha stimato e amato la vita consacrata.

Partecipi della festa della Chiesa


Consacrate e consacrati partecipano alla beatificazione del Servo di Dio Giovanni Paolo II, meditando riconoscenti queste sue parole, impegnandosi ad onorarle, percorrendo con gioiosa fedeltà questa ”via privilegiata verso la santità”, lasciandosi ispirare dal suo esempio di uomo di Dio, “forte nella fede”, dedito corpo e anima alla sua missione, intrepido nella testimonianza dell’amore di Cristo e per Cristo, che attingeva luce e forze nella preghiera.
Ma anche di uomo che rende credibile e affidabile la vita cristiana per aver saputo vivere con serena dignità i successi e i travagli, le gioie e i dolori della vita.
Il domani è nelle mani di Dio. A noi consacrati tocca vivere oggi, con serena dignità, la vita alla quale siamo stati chiamati, nella convinzione che non c’è nulla di migliore di Cristo e del seguirlo più da vicino, perché la Chiesa avrà sempre bisogno di chi ricorda che “nulla deve essere anteposto all’amore di Cristo”, Redentore dell’uomo, e di chi suggerisca, con la vita e le parole, che è bello corrispondere al “dono della Redenzione”.