L'episodio con cui Giovanni inizia il racconto del giorno di Pasqua ( Gv
20,1-9) vede protagonisti Maria di Magdala, Pietro e il discepolo che Gesù
amava. Tutti e tre in persona sono messi a confronto con il paradosso che
percorre l'intera giornata: l'assenza di colui che è presente. Il tema ricorre
spesso nella Bibbia, che in molte pagine presenta il lamento dell'uomo di fronte
alla lontananza di Dio. Ma l'esperienza pasquale dei tre è del tutto
straordinaria: la pietra che chiudeva il luogo dove era stato deposto il corpo
del Signore è rimossa, e il sepolcro è vuoto. Lui c'è, ma non viene visto
oppure, se si fa incontro, non viene riconosciuto.
È interessante notare come intorno a questa assenza-presenza tutto è in
movimento: Maria va al sepolcro e poi corre dai discepoli; questi, a loro volta,
partono in fretta e corrono verso la tomba. Il tempo sembra occupato da un
viavai continuo e drammatico, alla ricerca di colui che non c'è più, ma è
presente. La ragione di tanto affanno è data dal narratore all'inizio del
racconto: era ancora buio. L'oscurità, nel Vangelo di Giovanni, ha una valenza
simbolica pregnante, perché rappresenta la cecità dell'uomo. Ritorna alla mente
la paura dei discepoli al vedere un «fantasma» che camminava sulle acque, quando
intorno era ancora buio (Gv 6,17). Nel buio Maria e i due discepoli si affannano
intorno alla tomba vuota, ma non trovano una risposta, perché — nonostante
l'ansiosa ricerca — non hanno ancora trovato la chiave del mistero.
Solo alla fine del racconto Giovanni ci offre la chiave, quando — parlando del
discepolo che Gesù amava — dichiara che entrò nel sepolcro, vide e credette. Il
discepolo non vide Gesù, ma solo i segni della sepoltura e della morte: le bende
e il sudario. Ma, agli occhi del credente, quei simboli di morte testimoniano
che proprio da quella tomba sgorga la speranza. Perché questa è la Pasqua, il
primo giorno della settimana nello scorrere lento e immutabile del tempo, nel
segno della morte: la certezza di un'umanità riscattata nonostante le smentite
della storia, la sicurezza che Dio troverà la strada per raggiungere i sepolcri
costruiti dalla ferocia dell'uomo.
Può sembrare poesia, ma ogni credente potrebbe essere testimone che un giorno
Dio ha fatto questo nella sua vita. Del resto, il rimando alla Scrittura, alla
fine del racconto giovanneo, offre la chiave di lettura del mistero: la promessa
di Dio non viene meno. Dio non abbandona l'uomo al non-senso del peccato e della
morte, anche quando l'uomo abbia costruito l'inferno con le proprie mani.
Il mondo e la storia hanno come meta la liberazione e la salvezza. Lo dimostra
la vicenda di Gesù, perché la sua vita, morte e risurrezione manifestano il
senso nascosto in tutto ciò che vive.
E avere fede significa fare affidamento in Colui che ha scommesso sulla
testimonianza di uomini fragili; una testimonianza che, di generazione in
generazione, è giunta fino a noi.
La Parola viaggerà sempre così fino alla fine dei tempi: lontana dallo splendore
dell'evidenza; nascosta come il lievito nella pasta o il chicco di senape nel
grembo della terra. Una Parola che, nonostante tutto, vivrà: non grazie alla
visione, ma alla fede dei testimoni.
Massimo Grilli
da Alla ricerca del Volto
EDB, Bologna 2010