Il prossimo 6 ottobre ricorrono 910 anni della morte di san Bruno, fondatore dell’Ordine certosino. Per quella data, Il prossimo ottobre, Benedetto XVI ha programmato una visita a Serra San Bruno, in Calabria, dove il santo ha vissuto gran parte della sua vita, per rendere omaggio a questa grande figura il cui spirito e la cui opera continuano a costituire un patrimonio di inestimabile valore per tutta la Chiesa e per il tutto il popolo cristiano. Attualmente, circa quattrocento uomini e donne, sparsi in ventiquattro monasteri, cercano di seguire e conservare l'ideale di questo santo, eremita e monaco, in tutta la sua autenticità e profondità .
La fondazione del primo monastero certosino sulla montagna del massiccio della Certosa, presso Grenoble risale al 1084. A distanza di novecento anni, ambedue le date ricordate diedero luogo a festività particolari, convegni, auguri papali e perfino a un pellegrinaggio di papa Giovanni Paolo II sulla tomba di san Bruno.


La Grande Chartreuse

Alle origini della Grande Chartreuse vi fu il desiderio di Bruno e di sei compagni di fondare un monastero in un luogo solitario. Nella primavera del 1084 (Bruno era nato a Colonia oltre una cinquantina d’anni prima, nel 1030 circa) si rivolsero al vescovo di Grenoble Ugo di Châteauneuf, che, ispirato da una visione avuta in sogno (sette stelle che indirizzavano sette pellegrini a una valle solitaria) li guidò in quello che da allora sarà chiamato "deserto di Chartreuse". Là Bruno fece costruire delle capanne di legno e un altare di pietra; là nacque, e si ingrandì, il monastero della Grande Chartreuse. Bruno scelse di stabilirsi nel massiccio della Certosa perché trovò in quell’ambiente naturale una forte corrispondenza con le sue aspirazioni spirituali. Da allora elaborò un modus vivendi per una comunità di eremiti, che si distingueva essenzialmente da quella di Romualdo a Camaldoli., e risaliva ai Padri del deserto: separazione dal mondo, lunghi tempi di preghiera, meditazione della Sacra Scrittura, silenzio, digiuno, lavoro manuale e una forma minima di vita comune. Bruno diventò così il fondatore di un nuovo Ordine monastico: i Certosini.

A Serra San Bruno

Nel 1090 papa Urbano II, già allievo di Bruno alla scuola della cattedrale di Reims, lo chiamò a Roma come suo consigliere. Ma quando il papa fuggì da Roma, in seguito all'invasione dei territori pontifici da parte dell'imperatore tedesco Enrico IV e alla elezione dell' antipapa Guiberto, Bruno si trasferì con la corte papale nell'Italia meridionale. Su proposta del papa Urbano i canonici di Reggio Calabria lo elessero arcivescovo, ma egli non accettò, desiderando ritornare alla sua originaria vita eremitica. Bruno chiese e ottenne il permesso di ritirarsi in solitudine negli stati normanni, conquistati dal conte Ruggero d'Altavilla.
Il conte Ruggero gli offrì un territorio in località Torre, l'attuale Serra San Bruno, a 790 metri di altitudine, nel cuore della Calabria centro-meridionale, luogo ideale per la preghiera, la solitudine e il silenzio. Lì Bruno fondò l'eremo di Santa Maria del Bosco, e a due km più a valle – dove sorge l'attuale certosa – fondò il monastero di Santo Stefano. Dopo la sua morte, avvenuta il 6 ottobre 1101, la certosa sarà retta da Lanuino amico e degno successore del santo a cui succederanno altrettanti uomini ispirati dagli insegnamenti del fondatore. Nel 1514, a seguito del ritrovamento dei corpi di Bruno e Lanuino sotto la chiesa di S. Maria del Bosco, papa Leone X proclamò Bruno santo.
Il 5 ottobre 1984, vigilia della festa di san Bruno, Giovanni Paolo II volle commemorare il IX centenario della fondazione dell' Ordine certosino, alla Certosa di Serra San Bruno: «Sentinella instancabile del Regno che viene, cercando di "essere" prima di "fare», l'Ordine certosino dà alla Chiesa vigore e coraggio nella sua missione, per andare al largo e per permettere alla Buona Novella di Cristo di infiammare tutta l'umanità».

La sua eredità spirituale

Bruno non lasciò una regola scritta. Il suo esempio e i suoi insegnamenti furono come una regola vivente, accolta e tramandata fedelmente dai suoi successori.
Nella biografia di sant'Ugo di Lincoln, scritta all'inizio del XIII secolo, vengono riportate alcune delle sue impressioni dopo una visita alla Grande Certosa intorno all'anno 1165. Una di queste sottolinea la vicendevole fraternità che univa i monaci solitari gli uni con gli altri: «La loro regola raccomanda la solitudine, ma non l'isolamento. Abitano in eremi separati, ma sono un solo cuore. Ognuno di loro vive da solo, ma non per se stesso».
«La nostra vita è molto semplice» – racconta dom Marcellin Theeuwes priore generale dell’Ordine certosino. «Come ognuno, ci alziamo, lavoriamo, mangiamo, dormiamo... L'unica differenza è che tutto è rivolto a Dio e circondato dalla preghiera. Il ritmo delle nostre giornate può sembrare abbastanza monotono, non è collocato, però, fuori del tempo. Le mura della clausura non sono impenetrabili e le notizie entrano sempre, sia pure tramite la presenza di gente che lavora da noi».
Dom Jacques Dupont, attuale priore di Serra San Bruno, che ha rinunciato a una carriera accademica alla Sorbona di Parigi per la vita certosina, illustra così il senso della solitudine e del silenzio: «Certo, abbiamo deciso di sprecare la nostra vita per Gesù, che amiamo; tutti quelli che sono stati innamorati sanno che le più grandi follie si fanno per amore».

Eredità liturgica


La vita dei Certosini è completamente rivolta alla lode di Dio, sia durante la preghiera comune in coro in chiesa che durante la contemplazione solitaria e i piccoli Uffici nell'eremo. La divisione della giornata è equilibrata armonicamente tra momenti di preghiera e di lavoro manuale, di solitudine e comunione, di studio e lettura biblica, di veglia e sonno, per indirizzare continuamente il cuore e la mente all'incontro con Dio.
San Bruno e i primi Certosini ritornarono radicalmente alla sobrietà monastica originaria, visto che si adattava meglio al loro stile di vita ascetico e solitario e alle piccole dimensioni delle comunità. La liturgia doveva rimanere semplice e sobria. Nel dare forma al proprio patrimonio liturgico, attinsero a vari usi del dottore della Chiesa occidentale Pier Damiani ( †1072) e ai Camaldolesi di Fonte Avellana in Toscana. S'ispirarono, poi, alla liturgia carolingia dei canonici di san Rufo ad Avignone, a cui appartenevano due dei primi seguaci di Bruno. Si possono ritrovare nel messale proprio dell'Ordine certosino anche degli elementi provenienti dai riti locali e dai libri liturgici di Grenoble, Valence e Vienne. Secondo lo storico e monaco certosino Augustin Deveaux, Bruno e i suoi compagni giunsero a un consenso liturgico tra loro, viste le loro diverse origini e provenienze con diverse eredità liturgiche. La liturgia conventuale è sempre cantata, e prevalentemente in latino. Il canto gregoriano della chiesa di Lione dell’ XI secolo, preferito dai certosini, armonizza le melodie e le parole, ed è eseguito rigorosamente senza l’accompagnamento di strumenti musicali.
Nei giorni feriali il monaco esce dalla cella soltanto tre volte, per gli uffici comuni in chiesa: nel cuore della notte per l'Ufficio notturno, al mattino per l' Eucaristia e verso sera per i Vespri. Le ore liturgiche minori (Prima, Terza, Sesta, Nona e Compieta) precedute da un breve Ufficio della Madonna, sono celebrate in solitudine nella propria cella, ma contemporaneamente agli altri monaci.

Veglia e deserto per incontrare Dio

I Certosini interrompono il riposo notturno per pregare. Si radunano a mezzanotte e un quarto in chiesa per cantare l'Ufficio notturno. In relazione alla festa liturgica, la preghiera notturna può durare fino alle due o alle tre di mattina, alternando il canto dei salmi e la lettura della sacra Scrittura o dei Padri della Chiesa, con momenti di silenzio e preghiere d’intercessione. Questa modalità di preghiera notturna, fa dei Certosini un unicum all'interno delle famiglie monastiche, poichè nessun altro Ordine ha questa pratica, nemmeno i monaci e le monache di Betlemme nè i Trappisti. L'uso della veglia notturna risale ai Padri del deserto e alle comunità paleocristiane eremitiche. Dom Marcellin Theeuwes ne spiega il senso: «Secondo la Scrittura, ma è anche un'esperienza profondamente umana, la notte è particolarmente favorevole. Quando verso mezzanotte la campana ci chiama alla preghiera, ci destiamo dal nostro sonno, per il motivo puro e semplice di cantare le vicende meravigliose di Dio e ricevere la sua parola. Ci sentiamo portati e sostenuti dal silenzio e dal buio che circondano la natura. Allora non abbiamo nient'altro da fare che essere ricettivi alla presenza di Dio che viene sentita talvolta molto vicina. La nostra veglia notturna è uno spazio per Dio solo… Il senso che la Scrittura dà alla storia del popolo di Dio è anche il senso della vita personale di ognuno. È in questa disposizione che fin dall'inizio, fu data priorità alla lettura della Scrittura ed essa ricevette il nome di lectio divina. Una lettura divina non soltanto del testo sacro, ma attraverso il testo, di se stessi e della propria vita… Per questo il deserto è il luogo dove si va per ascoltare Qualcuno che ti sta parlando. È il luogo in cui il silenzio apre degli spazi inimmaginabili di conoscenza di sé e della realtà. È nel deserto del Sinai che Mosè è condotto per incontrare Dio e ricevere la rivelazione del Nome ineffabile. È nel deserto che Elia fa l'esperienza della dolcezza di Dio, della sua pazienza e misericordia…».

Il silenzio continua a parlare

Tra il XX e il XXI secolo, nonostante la severa regola certosina sia rimasta immutata, sono sorte nuove fondazioni. Oggi i Certosini sono presenti in Francia, Svizzera, Spagna, Portogallo, Italia, Gran Bretagna, Germania, Slovenia, Stati Uniti, Brasile, Argentina, Corea del sud: 24 certose, di cui 19 maschili (con circa 370 monaci) e 5 certose femminili (con circa 75 monache). Il ramo femminile ha le sue origini nel XII secolo, quando nel 1149 suor Germellie e le monache del monastero di Prebayon in Provenza, che seguivano la regola di S. Cesario, chiesero di far parte dell’Ordine certosino.
In un mondo dove Dio viene spesso offuscato, i Certosini sono testimoni silenziosi e vigili di una verità più profonda. La loro esistenza nascosta può essere per il mondo una chiamata a riconoscere nelle realtà umane l'amore di Dio. I Certosini sono «l'occhio del ciclone » dice il card. Danneels: punti di riposo in mezzo alle molte tempeste che soffiano nel mondo e distruggono tanta felicità, tranquillità e pace. Nella loro umiltà e semplicità e con la loro presenza silenziosa parlano al mondo di un Altro e di un oltre.