In vari libri della Bibbia e in alcuni recenti documenti del magistero della Chiesa vi sono degli incipit che mi hanno sempre affascinato: si presentano come compendio di fondamentali aspetti della Rivelazione, sintesi di contemplazione e indicazioni di impegno apostolico. Sono incipit quindi che diventano progetti ideali di vita per tutti i cristiani e – direi – in particolare per i religiosi che sono chiamati a trovare nella contemplazione la radice e il motore propulsore per l’evangelizzazione.
Sono incipit – quando ci si sofferma ad “ascoltarli” – sfolgoranti dal punto di vista linguistico (parole semplici, che si usano ogni giorno, ma che nella scansione sintattica adottata formano un’onda musicale coinvolgente), sfolgoranti dal punto di vista contenutistico (in poche parole costituiscono un piccolo “poema” all’interno della Rivelazione o della dottrina della Chiesa) e stimolanti dal punto di vista della missione (suggeriscono il quadro generale entro il quale muoversi per la vita e la testimonianza cristiana).
E sono incipit che danno un fondamento solido sia alla dottrina che alla prassi del credente, del religioso, dell’apostolo, prima e ben al di là e oltre ogni più o meno “pietistica” motivazione.
Vorrei proporre alcuni di questi incipit che credo utili in modo specifico per noi consacrati, chiamati – come dicevo – a incarnare e a comunicare la Parola contemplata.

“Toccare”  la Parola


“Colui che era fin da principio,colui che noi abbiamo udito, colui che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, colui che noi abbiamo contemplato e che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita (poiché la vita si è fatta visibile e noi l’abbiamo veduta e di ciò rendiamo testimonianza e vi annunciamo la vita eterna che era presso il Padre e si è resa visibile a noi) colui che abbiamo veduto e udito noi lo annunziamo anche a voi”. ( 1 Gv 1, 1 – 3)
Il brano trasuda – appena lo si “ascolta” – due sentimenti: stupore ed entusiasmo. “Stupore” per avere fatto un’esperienza umanamente incredibile, ma resa possibile dall’amore di Dio: il Verbo, la Parola si è fatta visibile e ha camminato in mezzo a noi, nella nostra storia e per noi. “Entusiasmo” per avere conosciuto l’autore della vita e per la testimonianza che da questa conoscenza sgorga, in modo naturale e irrefrenabile. Vi è come un dilatarsi del cuore, che pieno di gioia (altro sentimento palpabile) diventa condivisione, comunicazione dell’evento vissuto.
L’esperienza vitale non è soltanto “ricordo”, relegato in una dimensione storica ormai passata e sterile, ma è permanenza e attualità: riempie ancora e sempre la vita, anzi è la vita stessa, quella quotidiana, ormai inconcepibile senza la presenza di quella esperienza: il Verbo “toccato” agisce sempre nella vita del credente, la Parola udita diventa “parola comunicata”. L’esperienza vera, profonda “esonda” necessariamente perché vitale, esistenziale e non “può restare nascosta”. È essenzialmente comunione con la Parola e la “Vita” conosciuta, ricevuta e si tramuta in comunicazione con le persone che si incontrano. La comunione – fraterna ed universale – che ne nasce (…perché anche voi siate in comunione con noi, come continua l’incipit) è, nello stesso tempo, principio e frutto della esperienza testimoniata, cioè dell’azione apostolica.
Oltre allo stupore, all’entusiasmo e alla gioia, si legge nel brano un chiaro rimando a un altro incipit dello stesso Giovanni: la“vertiginosa” contemplazione del Verbo che si è “toccato” e “veduto” richiama il Verbo che è all’origine di ogni parola, di ogni vita, perché è all’inizio di ogni realtà creata. “In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era, in principio, presso Dio” (Gv 1, 1-2). Oltre l’inizio del tempo ci trasporta “il volo d’aquila”, al “principio di ogni principio”, nel “silenzio” della Parola che risuonava dall’eternità e ci fa scorrere esistenzialmente dall’esperienza della Parola vista e toccata all’interrogarci sull’identità profonda di colui con cui si è vissuto, si vive, e dalla scoperta di questa identità alla testimonianza ed alla proclamazione entusiastica ed estatica di quanto si è scoperto.
Una circolarità feconda per ogni religioso, perché si intersecano e si rafforzano contemplazione e ricerca, approfondimento e vita, preghiera ed esperienza, comunicazione e comunione. Con il Verbo “toccato”, per il consacrato incomincia sempre un nuovo principio: l’esistenza che si deve perennemente rispecchiare, per la sua autenticità, nel vissuto della Parola.

“Ascoltare” la Parola

La Parola contemplata è entrata nella nostra storia, umana e personale, con una novità di accento che completa e perfeziona ogni altra parola precedente: “Dio che molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva parlato ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente,in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio” (Eb 1,1-2). Il “passato” è terminato e la rivelazione definitiva di Dio si dispiega nel nostro tempo, in “questi giorni”, che dureranno fino al ritorno di Cristo. E anche in questo incipit come non sentire l’entusiasmo e la gioia di chi ha la consapevolezza che qualcosa di nuovo è entrato nella storia e la cambia per sempre?
Il religioso (come ovviamente ogni cristiano) vive nella storia della Parola resasi visibile nella persona del Verbo incarnato e percepibile chiaramente dalla sua voce umana. È ora possibile per tutti i credenti incontrare personalmente Dio, facendo risuonare dentro di sé la sua voce, divenuta parola che rende presente il Verbo del “principio”. Il punto di riferimento per ogni contemplazione e azione è facilmente individuabile ed è la Parola nuova del Figlio: essenziale è – nei “nostri giorni” della vita – non essere ciechi e sordi di fronte alla Parola e comprendere che essa è in grado di cambiare radicalmente la storia, personale e collettiva, dell’uomo.
Il religioso – uomo dell’ascolto vissuto della Parola – deve sapersi mettere in sintonia con le perenni novità della “Parola nuova”: viene interpellato nella sua identità (spesso scordata o stemperata) che ha bisogno di essere continuamente verificata dalle “novità” portate dalla contemplazione e viene spinto al dinamismo – sempre attento e incarnato nei “nostri giorni” – della testimonianza e della comunicazione. La Parola deve continuamente risuonare nella concretezza della storia, della cultura, della società e il religioso è chiamato a essere la sua voce. Con la stessa forza e insistenza, con la stessa novità di quando è risuonata per la prima volta.


“Comunicare”la Parola

Ed è la Chiesa che deve farla risuonare con la novità di allora e costantemente rinnovata per l’uomo contemporaneo. La consapevolezza c’è: «In religioso ascolto della parola di Dio e proclamandola con ferma fiducia…», inizia la Costituzione sulla divina rivelazione e prosegue citando il brano ricordato della lettera di Giovanni.
L’atteggiamento richiesto di fronte alla Parola (esplicitando “in religioso ascolto”,) è complesso ed esigente: attenzione e amore, approfondimento e continuità, coinvolgimento e tensione. Tutte richieste che la consacrazione mette davanti al religioso, che non può dirsi tale se non sente risuonare dentro di sé il richiamo della Parola. Per poi “proclamarla” – come chiede il Concilio – con ferma fede: nella verità del suo messaggio, nella sua capacità di trasformare la propria vita e il cuore dell’uomo e il volto della società. Si richiede al religioso lo stesso entusiasmo e lo stesso stupore che hanno colpito l’apostolo, archetipo di ogni discepolo di Cristo che si immerge nel fuoco della Parola di Dio.
La sua proclamazione è la missione della Chiesa. E qui lasciamo riecheggiare le immortali appassionate ed entusiasmanti (le considero tali) parole della “Costituzione sulla Chiesa nel mondo contemporaneo” (si noti: “nel”, dentro, e non “e”, “accanto”, in parallelo): «Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo…». Sintesi mirabile della missione della Chiesa di ogni tempo e del religioso di ogni epoca e di ogni carisma.
Lungo i sentieri della storia e della cultura continua la presenza del Verbo che è stato udito e toccato dai primi discepoli: divenuta parte e partecipe dell’umanità, la Vita deve essere perennemente comunicata per farla percepire e vivere nella novità del suo messaggio e delle sue proposte. La Chiesa – in tutti i suoi componenti – è e sarà la mediatrice di questa trasmissione, divenendo essa stessa parola, il più possibile “fedele” alla Parola.
E come il Verbo si è inserito pienamente nell’umanità con la sua umanità, così la Chiesa non si dovrà mai sentire estranea ai problemi delle persone: l’evangelizzazione è la comunicazione – con la stessa simpatia del Verbo incarnato per l’umanità – della Vita che si è resa visibile, da parte della sua Chiesa, che fa dell’amore per il mondo il suo segno distintivo, perché spronata dall’esempio e dal mandato di Colui che – per primo – ha comunicato l’Amore.
E così gli incipit si completano: oggi – come in futuro – i discepoli del Verbo venuto tra noi sono chiamati a comunicare, con la perenne novità, freschezza ed efficacia del suo messaggio per le domande esistenziali dell’uomo, la Vita che si è resa visibile e disponibile.
Le “parole” della Sacra Scrittura le abbiamo. Si tratta di renderle “Parola”.