Significatività e ridimensionamento anche nella vita religiosa vanno di pari passo. Come non si può essere significativi senza il coraggio del ridimensionamento, così quest’ultimo può diventare il punto di partenza per una reale e non solo ipotetica riqualificazione della propria presenza. Ne ha parlato con piena cognizione di causa il salesiano don Fausto Frisoli, consigliere regionale per Italia Medio Oriente, nel corso dell’ultimo incontro degli ispettori salesiani europei sul Progetto Europa .
Al termine di un’ampia rilettura dei testi più recenti e ispiranti della sua congregazione, ha tentato una sintesi sui principali criteri operativi per rendere nuove e significative le presenze. Al primo posto vengono “indubbiamente”, ha detto, le persone: la loro qualità, la loro serenità, la loro preparazione, la loro motivazione, il loro equilibrio. La diminuzione inarrestabile delle forze disponibili o l’aumento incontrollato delle opere o della loro complessità «possono creare delle urgenze o un clima di perenne emergenza che schiaccia le persone e rompe quel delicato equilibrio tra la missione apostolica, la comunità fraterna, la pratica dei consigli evangelici in cui consiste la nostra consacrazione».

La qualità della vita fraterna

L’impegno apostolico deve assolutamente «lasciare spazio alla crescita della persona, alla sua vita spirituale, allo studio e aggiornamento, alla vita fraterna». La qualità della vita fraterna, in particolare, può essere assicurata solo da un insieme tutt’altro che scontato di fattori: numero sufficiente di confratelli, impegni apostolici commisurati alle forze realmente disponibili, modalità organizzative intelligenti in una piena corresponsabilità con i laici, orari coerenti con gli impegni fondamentali della vita consacrata, progetto di vita comunitario condiviso, reale disponibilità di confratelli adatti a compiti direttivi.
Altro elemento determinante, soprattutto per i salesiani, ma non solo per loro, è quello offerto dalla possibilità di un contatto diretto con i giovani, specie i più poveri. Anche strutturalmente, la presenza di una comunità religiosa deve favorire l’incontro con i giovani. La vicinanza e l’aiuto soprattutto ai più poveri «sono oggi segni eloquenti che parlano direttamente del Vangelo, ci rendono più credibili e autentici nel vivere la nostra vocazione e realizzare la nostra missione, affascinano tante persone e le smuovono a operare in solidarietà». Parlando di giovani, s’impone necessariamente il discorso della qualità educativa e pastorale, non solo, però, «quella auspicata, dichiarata o programmata, ma quella effettivamente percepita e verificata» nella gestione delle singole opere. Le “buone intenzioni” non bastano. Per rendere significativa un’opera, non basta neanche il semplice fatto di trovarsi materialmente tra i giovani, accontentandosi del clima piacevole che generalmente si stabilisce tra religiosi e laici. Ogni singola comunità dovrebbe essere in grado di verificare se «sa leggere, accogliere e rielaborare con sguardo evangelico i bisogni profondi dei giovani». Purtroppo, nell’erogare dei servizi di carattere educativo e pastorale, è facile illudersi della loro efficacia, vanificando così quel “di più evangelico” che dovrebbe caratterizzare l’impegno apostolico di una comunità. Non basta, aveva detto don J. E Vecchi, rispondere alle sfide o leggere i segni dei tempi. Bisogna saper lanciare “nuove sfide” e scrivere “nuovi segni dei tempi”.
Il livello della qualità educativa di una comunità lo si verifica facilmente anche dalla sua fecondità vocazionale, dalla vitalità o meno, cioè di alcuni suoi aspetti fondamentali: la preghiera comune e la dedizione apostolica, la fraternità, l’accoglienza e la condivisione di alcuni momenti della propria giornata con i giovani, la testimonianza di una vita obbediente, povera e casta e la vicinanza ai problemi della gente. Solo in questo modo, osserva don Frisoli, è possibile «convincere, attirare, pro-vocare e rendere credibile una proposta esplicita».
Una comunità è significativa, inoltre, quando sa aggregare altre forze e sa essere centro di comunione, di partecipazione, di riferimento, di appoggio e di accoglienza, diventando realmente «nucleo animatore di una più vasta comunità educativa pastorale». Confratelli pur ridotti di numero, ma con forte capacità di coinvolgimento e di animazione, «risulteranno certamente più efficaci e propositivi di una comunità numerosa, ma chiusa in se stessa e priva di slancio apostolico».

Una questione “di vita o di morte”

Per garantire una piena significatività, oggi soprattutto non si può prescindere dal ridimensionamento, e cioè dalla riduzione e dalla semplificazione delle proprie presenze. Ancora nel 1966, ha ricordato don Frisoli, per don L. Ricceri il ridimensionamento era una questione “di vita o di morte” per la congregazione. Da allora, sia a causa della contrazione numerica dei religiosi che di tutti i cambiamenti sociali ed ecclesiali intercorsi, «per scelta o per necessità, è stato fatto molto». Progressivamente sono sorti nuovi servizi sociali ed assistenziali, sono state emanate nuove disposizioni legislative che, di fatto, hanno reso economicamente insostenibili non poche opere gestite dai religiosi. «Credo che non vi sia stata ispettoria d’Europa in questi ultimi decenni che non abbia visto mutare significativamente il proprio volto». É diventato sempre più difficile anche solo «decidere dove rimanere e da dove andare via».

Il ridimensionamento, pur necessario «non è, da solo, la soluzione dei problemi». Anzi, a volte, li potrebbe aggravare, inducendo nei confratelli e nei laici corresponsabili la “sindrome della vedova di Zarepta”, il senso di sfiducia, la sensazione che si stia avvicinando in modo inesorabile la fine». Se non si vogliono moltiplicare a dismisura “effetti depressivi” nelle persone, ogni ridimensionamento dev’essere preceduto e accompagnato dall’elaborazione di un progetto «carico di fiducia, di speranza nel futuro e di rilancio del carisma».
La chiusura di un’opera è un evento doloroso per tutti. Lo è, in particolare, per quei confratelli che vi hanno speso le loro migliori energie. Il rischio reale di un possibile aumento di confratelli “delusi e disincantati” va seriamente messo in conto. Senza un chiaro orizzonte di futuro, in alcuni casi, il ridimensionamento, tanto invocato ed auspicato come la “soluzione”, potrebbe anzi «legittimare una mentalità “minimalista” della vita consacrata, propria di chi ha perso slancio, generosità, passione ed invoca la riduzione del fronte». Anche in ordine alla individuazione dei “soggetti della missione”, potrebbe sempre più allontanarsi ogni prospettiva conciliare di rinnovamento sia sul fronte ecclesiale e pastorale in generale, che su quello della vita religiosa in particolare. Nel caso specifico della comunità educativa pastorale salesiana, ad esempio, se non si vuol rimanere ancorati ad una visione ”neo-clericale” ed “autarchica”, è necessario farla evolvere nel senso di «una pastorale integrata ecclesiale, con una pluralità di forze in comunione tra loro».
Nessuno può certo pretendere che ogni singola opera esaurisca in se stessa l’ampiezza della missione di una congregazione religiosa. Una simile pretesa, invece, è legittima se riferita all’insieme delle opere di una provincia. Nel caso specifico dei salesiani, ad esempio, sarà fondamentale un rapporto equilibrato fra le tante opere di un’ispettoria: dall’accoglienza di giovani in situazione di disagio o a rischio di esclusione sociale alle case di spiritualità giovanile, alle scuole e oratori/centri giovanili, alle parrocchie in quartieri popolari con forte presenza giovanile e ai centri di formazione professionale. Anche qui vanno messe in conto «le comprensibili reazioni emotive da parte dei confratelli delle comunità destinate alla chiusura, delle istituzioni civili ed ecclesiastiche, e soprattutto della gente». A fronte di una manifestazione di apprezzamento e di affetto presente spesso in queste reazioni, esse non possono comunque diventare l’elemento determinante in ordine alle decisioni da prendere.

Le pericolose “operazioni di vertice”

Le decisioni prese o da prendere saranno tanto più efficaci quanti più non saranno percepite dai confratelli come una “operazione di vertice”. La condivisione dei criteri, prima ancora che l’individuazione delle opere da chiudere, la corretta e puntuale informazione a tutti i livelli, sono sicuramente elementi insostituibili per una buona riuscita del progetto. Tutti i confratelli, prima di ogni decisione, dovrebbero essere portati a conoscenza di una serie di fattori importanti: i dati oggettivi e una prefigurazione realistica di alcuni scenari futuri, le ipotesi concrete di potenziamento di alcuni fronti, il ventaglio di possibili decisioni, una loro attenta e puntuale valutazione, l’indicazione chiara e leale delle motivazioni che fanno pendere per l’una o l’altra soluzione. Solo in questo modo è possibile «trasformare un’operazione di vertice - decisa da pochi e accompagnata dal malumore di molti - in una grande “impresa collettiva” di rilancio e di rivitalizzazione del carisma». L’esperienza insegna che «più ampia è la base della consultazione, della conoscenza e della condivisione, più ampio sarà il consenso». Solo in questo modo sarà chiaro a tutti che «né la mentalità dei “nobili decaduti” che si consolano al ricordo dei fasti del passato e non si accorgono che il patrimonio va in rovina, né la “sindrome del naufrago” per cui tutto è ormai perduto, sono atteggiamenti costruttivi».
Anche il progetto di ridimensionamento oggettivamente più positivo, infine, dovrà essere “sostenibile nel tempo”. «Ipotesi irrealistiche, progetti troppo grandi e complessi o legati a variabili dipendenti da altri (come certe disposizioni legislative o finanziarie), presenze pur coraggiose e significative, ma legate alla competenza e alle capacità di un solo confratello, non sono segno di coraggio e di intraprendenza, ma di avventatezza e di imprudenza». Non c’è sostenibilità senza stabilità. Infatti, progetti avviati e non ben sostenuti, avvicendamenti frequenti di confratelli, cambi continui di obiettivi, «determinano fragilità negli esiti e disorientamento nelle persone».
Il criterio primo ed ultimo in ogni processo di ridimensionamento rimane sempre quello delle persone. Il numero dei confratelli disponibili ad un determinato progetto è importante, ma non il più importante. Il rilancio delle singole opere viene sempre dopo la rivitalizzazione delle motivazioni profonde e dell’entusiasmo dei confratelli. «Agire sul fronte delle opere, trascurando le persone, ha concluso don Frisoli, è un errore». Lo stesso rettor maggiore, don Pascual Chávez, fin dal primo lancio del “Progetto Europa”, parlando di una sua rivitalizzazione endogena, non s’è mai stancato di ripetere che senza una fondamentale e profonda rinascita del carisma in ciascun confratello e in ciascuna comunità, tutti gli altri pur rilevanti aspetti del “Progetto Europa”, sarebbero privi di futuro.