Recuperare la “pedagogia della conversione” in una società in cui diminuisce
fortemente il senso del peccato e aumentano i “sensi di colpa”, dunque l’aspetto
individuale, soggettivo, intimistico. Su questi temi si sono soffermati a
discutere 700 sacerdoti, riuniti a Roma a fine marzo per il corso annuale sul
Foro interno promosso dalla Penitenzieria Apostolica. Al centro dei lavori la
retta amministrazione del Sacramento della Penitenza, in particolare di fronte a
casi complessi e delicati.
Mons. Gianfranco Girotti, reggente della Penitenzieria, ha notato quanto cambi
la sensibilità sociale e individuale, e dunque la Chiesa deve sempre saper
cogliere gli aspetti salienti che la interpellano. Sul peccato oggi occorre
«pensare, per esempio, a tutto ciò che rientra nel campo della bioetica, quando
ci sono degli esperimenti illeciti. Pensiamo anche alla procreazione assistita;
e poi c'è il campo della giustizia, la sperequazione che esiste anche nella
società, e tutto ciò che riguarda i rapporti amministrativi».
Tuttavia, ha rilevato ancora, «sia sul piano della pratica, sia sul piano della
comprensione, la confessione appare investita da una preoccupante crisi. Oggi si
tende a smarrire il senso del peccato, mentre aumentano i sensi di colpa. Poi
vogliamo ricordare che il peccato non è mai una realtà esclusivamente
individuale ma comporta sempre anche una ferita all’interno della comunione
ecclesiale. Il nostro corso è un richiamo a un deciso recupero della pedagogia
della conversione».
Più preparazione nei sacerdoti
Al centro dei lavori c’è stato anche un confronto sulla preparazione necessaria
ai sacerdoti per meglio esercitare la confessione. «Consiglierei di avere una
preparazione veramente solida e dunque è necessaria una decisa dottrina
teologica, una solida dottrina morale e anche canonistica. Consiglierei poi di
avere un atteggiamento di accoglienza, perché i sacerdoti rappresentano
veramente il Signore. Infine, consiglierei sempre di ricordarsi quella bella
frase che il Santo Padre, nella Messa crismale dello scorso anno, rivolse ai
confessori: abbiate sempre presente che nella lampada della nostra vita non
dovrebbe mai mancare l’olio della misericordia».
«Ogni confessore, per svolgere bene e fedelmente il suo ministero, deve
procurarsi scienza e prudenza necessaria a questo scopo», ha notato il cardinale
Fortunato Baldelli, penitenziere maggiore, nel saluto rivolto al papa
nell’udienza del 25 marzo che ha chiuso i lavori. Presentando i 700 sacerdoti di
242 diocesi, provenienti da 68 nazioni che hanno partecipato quest’anno (gli
ordini e gli istituti di vita consacrata rappresentati sono stati 72), il
porporato ha ribadito che «la preparazione dottrinale del confessore è
assolutamente indispensabile». E ha ricordato che Pio V, impegnato in modo
particolare nel promuovere il sacramento della confessione, soleva affermare:
«datemi buoni confessori e rinnoverò dalle fondamenta tutta la Chiesa». «È con
questo spirito – ha assicurato – che la Penitenzieria si fa carico ogni anno di
promuovere queste giornate di studio sul sacramento della Penitenza e con viva
soddisfazione notiamo che i frutti di questi incontri annuali hanno un concreto
riscontro nell’attività quotidiana del nostro dicastero, il quale viene con
crescente interesse interpellato e conosciuto per la sua missione fondamentale
nella Chiesa che è la salus animarum».
Benedetto XVI nel suo discorso ha riassunto i temi al centro dei lavori del
corso della Penitenzieria e ha sottolineato le caratteristiche che deve avere il
sacramento della Penitenza per riuscire a dire qualcosa di efficace agli uomini
e donne del nostro tempo. Prima di tutto il papa ha spiegato che si tratta di un
“sacramento”, appunto, che rinvia al rapporto imprescindibile dell’uomo con Dio
e al ristabilimento della piena comunione del credente verso e rispetto alla
comunità cristiana. Per riuscire a restituire pieno contenuto a questo passaggio
centrale della vita cristiana è necessario mettere in primo piano «un aspetto
talora non sufficientemente considerato, ma di grande rilevanza spirituale e
pastorale: il valore pedagogico della confessione sacramentale». Se è vero che è
sempre necessario «salvaguardare l’oggettività degli effetti del Sacramento e la
sua corretta celebrazione secondo le norme del Rito della Penitenza, non è fuori
luogo riflettere su quanto esso possa educare la fede, sia del ministro, sia del
penitente». La fedele e generosa disponibilità dei sacerdoti all’ascolto delle
confessioni, sull’esempio dei grandi santi della storia, da san Giovanni Maria
Vianney a san Giovanni Bosco, da san Josemaría Escrivá a san Pio da Pietrelcina,
da san Giuseppe Cafasso a san Leopoldo Mandić, «indica a tutti noi come il
confessionale possa essere un reale luogo di santificazione».
Valore pedagogico del Sacramento
In che modo il Sacramento della penitenza educa? In quale senso la sua
celebrazione ha un valore pedagogico, innanzitutto per i ministri? Il discorso
del papa, riassumendo le relazioni e i risultati del corso della Penitenzieria,
ha inteso rispondere a queste due domande a partire però dalla missione e dal
ruolo che ha il sacerdote nel rapporto con i fedeli e all’interno della Chiesa.
Da questa prospettiva «la missione sacerdotale costituisce un punto di
osservazione unico e privilegiato, dal quale, quotidianamente, è dato di
contemplare lo splendore della misericordia divina». Molto spesso in maniera
silenziosa ma straordinariamente efficace, il sacerdote assiste a veri e propri
“miracoli di conversione”, e pertanto attraverso la Confessione e attraverso il
ruolo del sacerdote agisce la grazia divina e l’incontro con la persona concreta
di Cristo. Allo stesso tempo il papa nota che il sacerdote quando esercita il
suo ministero conferma i fedeli e rinforza la sua fede. «Confessare significa
assistere a tante professiones fidei quanti sono i penitenti e contemplare
l’azione di Dio misericordioso nella storia, toccare con mano gli effetti
salvifici della Croce e della risurrezione di Cristo, in ogni tempo e per ogni
uomo. Non raramente siamo posti davanti a veri e propri drammi esistenziali e
spirituali, che non trovano risposta nelle parole degli uomini, ma sono
abbracciati e assunti dall’amore divino, che perdona e trasforma».
A partire da queste considerazioni Benedetto XVI ha notato che «conoscere e, in
certo modo, visitare l’abisso del cuore umano, anche negli aspetti oscuri, se da
un lato mette alla prova l’umanità e la fede dello stesso sacerdote, dall’altro
alimenta in lui la certezza che l’ultima parola sul male dell’uomo e della
storia è di Dio, è della sua misericordia, capace di far nuove tutte le cose».
Portando ancora avanti questa linea di riflessione il papa ha rilevato
l’importanza di insistere sulla reciprocità del rapporto. «Quanto può imparare
poi il sacerdote da penitenti esemplari per la loro vita spirituale, per la
serietà con cui conducono l’esame di coscienza, per la trasparenza nel
riconoscere il proprio peccato e per la docilità verso l’insegnamento della
Chiesa e le indicazioni del confessore. Dall’amministrazione del Sacramento
della penitenza possiamo ricevere profonde lezioni di umiltà e di fede! È un
richiamo molto forte per ciascun sacerdote alla coscienza della propria
identità. Mai, unicamente in forza della nostra umanità, potremmo ascoltare le
confessioni dei fratelli! Se essi si accostano a noi, è solo perché siamo
sacerdoti, configurati a Cristo Sommo ed Eterno Sacerdote, e resi capaci di
agire nel suo Nome e nella sua Persona, di rendere realmente presente Dio che
perdona, rinnova e trasforma. La celebrazione del Sacramento della penitenza ha
un valore pedagogico per il sacerdote, in ordine alla sua fede, alla verità e
povertà della sua persona, e alimenta in lui la consapevolezza dell’identità
sacramentale».
Quale è però il valore pedagogico per chi si accosta alla penitenza? Qui occorre
fare i conti con la specifica mentalità contemporanea che non riconosce o
rifiuta il senso del peccato. «Certamente la Riconciliazione sacramentale è uno
dei momenti nei quali la libertà personale e la consapevolezza di sé sono
chiamate a esprimersi in modo particolarmente evidente. È forse anche per questo
che, in un’epoca di relativismo e di conseguente attenuata consapevolezza del
proprio essere, risulta indebolita anche la pratica sacramentale. L’esame di
coscienza ha un importante valore pedagogico: esso educa a guardare con
sincerità alla propria esistenza, a confrontarla con la verità del Vangelo e a
valutarla con parametri non soltanto umani, ma mutuati dalla divina Rivelazione.
Il confronto con i Comandamenti, con le Beatitudini e, soprattutto, con il
precetto dell’amore, costituisce la prima grande scuola penitenziale”. E nel
passaggio centrale, Benedetto XVI rileva come «nel nostro tempo caratterizzato
dal rumore, dalla distrazione e dalla solitudine, il colloquio del penitente con
il confessore può rappresentare una delle poche, se non l’unica occasione per
essere ascoltati davvero e in profondità». Pertanto «l’integra confessione dei
peccati, poi, educa il penitente all’umiltà, al riconoscimento della propria
fragilità e, nel contempo, alla consapevolezza della necessità del perdono di
Dio e alla fiducia che la grazia divina può trasformare la vita».
Attenzione al prima, durante e dopo
Tra i diversi relatori del corso, don Manlio Sodi, salesiano, ha focalizzato
l’attenzione sull’ Ordo Paenitentiae, di cui ha ribadito il ruolo di “manuale”
di spiritualità per la comunità cristiana. A giudizio di don Sodi siamo in
presenza di una ripresa del Sacramento, cui deve corrispondere una modalità
attenta all’azione liturgica. È necessario dunque tenere presente che
«l’intreccio tra il prima, il durante e il dopo celebrativo evidenzia una sfida
costantemente in atto nell’ambito formativo: quella propria di una metodologia
tipica della liturgia». Far interagire i tre “momenti” è “il compito
dell’educatore che è chiamato ad attuare strategie tali da facilitare
quell’esperienza umana e divina insieme, quale si attua nel momento tipicamente
sacramentale. Ed è in questa linea che trovano il loro significato sia i
contenuti dei documenti ufficiali emanati dal Vaticano II in poi, sia le
variegate esperienze ecclesiali, sia le più diverse riflessioni che in questi
anni si sono intrecciate”. Tutte convergenti nel rilevare l’importanza della
«riconquista di sé e la correttezza di rapporto con gli altri». Dunque «non
saranno le statistiche (per la verità sempre più o meno ricorrenti con frequenti
smentite nella provvisorietà dei risultati) a orientare una mens; al contrario,
saranno l’impegno formativo e le relative metodologie a contribuire alla
ricostruzione di quell’atteggiamento penitente che spinge la persona a bussare
alla porta del perdono, nel segno-simbolo del sacramento della Riconciliazione.
E questo è ciò che dà fiducia all’educatore qualora egli sappia valorizzare
tutte quelle opportunità e competenze che una crescita spirituale comporta. Ed è
in questa linea che il prima, il durante e il dopo celebrativo richiedono
attenzioni diversificate, costantemente in sintonia tra loro, per un servizio
alla maturazione completa della persona, sempre considerata nella sua integrità
e unità, e in rapporto con la comunità di fede che garantisce la veritas
dell’esperienza del sacramento».