Un libro autobiografico negli Stati Uniti sta scatenando quasi uno psicodramma collettivo per aver messo al centro le differenze culturali (tra asiatici e occidentali) nelle relazioni genitori-figli e nello stile educativo: si intitola Il ruggito della mamma tigre e l’autrice Amy Chua è figlia di immigrati cinesi, studiosa di diritto internazionale e storia, madre di due ragazze . La “mamma tigre” crede che il modo migliore per proteggere i figli non sia rassicurarli continuamente o evitare loro le difficoltà per non intaccarne l’autostima, bensì promuovere i valori del sacrificio, della necessità di puntare sempre all’obiettivo più alto, per arrivare a una sicurezza personale di cui nessuno riuscirà più a privarli. Da qui le limitazioni nell’uso di televisione e computer, i pochi permessi per le uscite con gli amici; sconsigliato andare a dormire a casa di compagni di classe o partecipare alla recita scolastica; vietato rifiutarsi di suonare uno strumento musicale o lamentarsi di ciò che non è permesso. Le priorità sono, sempre e comunque, i compiti e lo studio della musica.

Educare gli educatori

Al centro del dibattito troviamo quello che in questi ultimi anni è diventato oggetto di intensa riflessione all’interno delle comunità cristiane e che addirittura segna l’obiettivo pastorale della Chiesa italiana per il prossimo decennio: educare alla vita buona del Vangelo. Alla radice della crisi dell’educazione c’è una crisi di fiducia nella vita e, in questa presa di coscienza dell’urgenza educativa, il nodo è il ruolo degli adulti e la scelta del modello di riferimento pedagogico. Un solo segnale ci basti: la Tv commerciale è passata dagli sceneggiati che mettevano in contatto il grosso pubblico con i classici della letteratura e le commedie dialettali a programmi quali Grande Fratello o Isola dei famosi o Amici. Non si tratta di un problema moralistico, ma di una “filosofia” per cui si deve raccontare la vita in forme corrispondenti alla realtà italiana così come essa si rappresenta. Siamo alla scomparsa delle pedagogia e alla rinuncia dell’educazione da parte degli adulti!
Il cardinale Bagnasco, presidente della CEI, proprio su questi punti ha voluto sollecitare la vita consacrata nel suo discorso all’Assemblea generale della CISM del 6 novembre 2010. La storia di fondatrici e fondatori di istituti religiosi ci dice che l’educatore è un testimone della verità e del bene e che l’educazione integrale passa attraverso un’atmosfera da creare, ambienti educativi da coltivare (vedi la scuola cattolica e l’oratorio). Perciò oggi è particolarmente urgente evitare di creare «compartimenti stagni tra istituti e vita ecclesiale» e dunque rilanciare «la vocazione educativa degli istituti di VC» in una logica di pastorale integrata.
Uno scritto del noto docente siciliano Giuseppe Savagnone ci aiuta a entrare in questa nuova visione, correggendo l’attuale deriva educativa degli adulti attraverso la messa a fuoco di alcune ferite che si rivelano feritoie, brecce che aprono al futuro: la tendenza a una fede schizofrenica che sdoppia la persona invece di unificarla; l’incapacità di calare nella storia personale e collettiva la progettualità; lo sganciamento della carità dai desideri e dalle passioni; l’individualismo che ostacola la reale comunione e la sinodalità; l’attivismo organizzativo che appesantisce le relazioni interpersonali.

L’ascesi del pescatore

La famiglia (dove ciascuno persegue il proprio progetto di vita), la scuola (dove il preside è diventato un manager, gli studenti clienti e i docenti semplici commessi) e la parrocchia (dove la maggior parte dei fedeli si reca per attingere servizi religiosi) sono ormai entrati nella logica del supermarket che dissolve ogni ipotesi di comunità educante. Svuotato perfino il conflitto generazionale del Sessantotto, il continente-giovani assume una sua autonomia con codici linguistici e valoriali poco comprensibili dagli adulti: un’apparente pacifica convivenza che nasconde una frattura profonda in cui c’è sfiducia di potersi veramente confrontare.
Nessuno ha la ricetta giusta. La vita del Maestro Gesù ci ricorda però che egli ha scelto gli apostoli tra i pescatori e non tra i contadini; ha scelto persone capaci si seguire i pesci ovunque vadano: per noi soggetti della società complessa il messaggio è che non esistono piste educative già tracciate, che ogni situazione è provocazione alla creatività. Il primo compito dei nuovi educatori è insomma quello di lasciarsi educare dalla realtà, senza presunzioni, con un’ascesi talvolta dolorosa. L’opera di bonifica del grande fiume della vita sociale, secondo Savagnone, richiede una Chiesa che non si limiti a erigere dighe ma che lavori a monte là dove si ingrossano le acque. Ciò significa dare priorità dell’educazione e quindi investire sui laici con una loro nuova formazione alla trasmissione culturale del messaggio cristiano (altra cosa rispetto allo stucchevole “ecclesialese”!).
«In Cristo c’è una pienezza di umanità che fa di lui un punto di riferimento per tutti gli uomini e le donne che si impegnano nell’educazione… La comunità cristiana non è chiamata a formare solo operatori pastorali, ma anche genitori, docenti… Guai a una Chiesa che si ripiegasse sulla ricerca di soluzioni per i suoi problemi educativi “interni”… la parrocchia non coincide con il tempio, la pastorale non coincide con le attività intraecclesiali»… Le affermazioni di Savagnone vogliono spingere a non mancare il bersaglio: il problema non è teologico o metodologico o giuridico, ma è culturale. Si tratta di cambiare la mentalità e l’approccio pratico alla realtà, di uscire dalle abitudini per rimettersi in discussione. Per educare gli altri bisogna che noi stessi ci lasciamo condurre fuori dallo Spirito e siamo disponibili a rinascere.

Una pastorale più “passionale”

I film più significativi (2001: Odissea nello spazio, Blade Runner, Matrix, Terminator) descrivono un mondo futuro devastato e inabitabile a causa di una tecnologia impazzita. Naufragati i miti illuministici, positivistici e ideologici, i giovani perdono oggi la capacità di sognare di fronte al realistico problema di trovarsi un posto. La profonda disaffezione della gente da ogni “causa” politica che cambi l’esistente poi è la conseguenza anche di un clima in cui alla storia concepita come linea retta protesa verso il progresso (concezione giudaico-cristiana) si contrappone l’idea di un circolo che si ripiega su se stesso (la concezione greca ripresa da Nietzsche dell’eterno ritorno).
Di nuovo, secondo il nostro autore, la speranza ha il nome della promozione del laicato, sul quale investire con fiducia.
Forse così si può iniziare a «salvare la pastorale dalla noia mortale che a volte l’asfissia e riscattare il desiderio, le passioni umane, dalla banalizzazione di cui sono vittime nella nostra società». Il problema non è la debolezza o i piccoli numeri ma la mediocrità. Il vero snodo dell’educazione all’Amore (il primo annuncio cristiano) è quello di aiutare le persone a percepire la povertà della propria vita e di risvegliare un desiderio che salvi dalla mediocrità.
Allora le comunità (religiose, parrocchiali, movimentiste) inizieranno a riconfigurarsi come scuole di desiderio, di dono e di amicizia. Infatti i cristiani vengono da una storia che oppone al binomio individuo-massa il binomio persona-comunità… ma il virus individualistico pervade le comunità cristiane. Le nostre chiese sono fatte di persone che si incontrano per decenni rimanendo dei perfetti estranei! La vita comunitaria (tra laici, presbiteri, religiosi e gruppi), da questo punto di vista, esige una profonda purificazione, se non addirittura la morte.

Educare al “piano terra”

Questa purificazione passa per un ripensamento profondo dell’autorità, la quale non viene dalla logica di maggioranza, non si misura con il consenso, ma dalla fedeltà alla parola di Dio e non da una logica verticistica. Qui lo snodo è educarsi a un vero stile di sinodalità, che non significa “pace armata” e neppure indifferenza, bensì in una franca e cordiale comunicazione. Non si tratta di mettere in discussione il principio di autorità. L’obbedienza non è soggiacenza e scaturisce da un coinvolgimento attivo nel discernimento operato dalla guida.
Se per promuovere un’educazione significativa il soggetto è sempre comunitario (l’annuncio in questo caso è dato proprio dal volto delle persone unite) allora è necessario recuperare, insieme alla parola di Dio, una visione di leggerezza: il Vangelo non è un peso così come non è fatua spensieratezza. Religiosi, preti e laici, che irradiano malumore; documenti e convegni che ingorgano la pastorale; un cristianesimo presentato come blocco di verità… tutto questo spaventa e allontana. La vita cristiana non è solo un “impegno”, una sequela di doveri, un inseguire agende che non permettono di riposare. Tra i primi compiti c’è dunque quello di inventare tempi e spazi di gratuità e per questo è preliminare insegnare a distinguere la sfera spirituale da quella psichica. La fame di spiritualità sembra spesso colmata dalle forme di meditazione delle religioni o filosofie orientali, invece che incanalata dall’immensa ricchezza della tradizione cristiana sul silenzio o sulla contemplazione.
«Bisogna insegnare a pregare anche fuori delle chiese… in questo contesto anche i rapporti umani acquisteranno una profondità nuova…. In fondo tutto il compito della pastorale è di aiutare a percorrere il lungo cammino che separa il vecchio Adamo, rintanato per nascondersi a Dio e a se stesso, dal nuovo, Gesù, che rifiuta di fuggire e rimane esposto, per accogliere tutti, con le braccia aperte sulla croce. Alla base della disponibilità a fare questo percorso è indispensabile la fiducia che Dio non chiama per giudicare, ma per guarire».
Savagnone, come risulta, crede in un’educazione che parte dal “piano terra”, rinunciando agli schemi efficientisti e alle istruzioni per l’uso, buone per gli elettrodomestici ma non per le persone. In questo coglie le istanze del cosiddetto “cristianesimo di conversione” (cf. su “Rivista del Clero Italiano” 2/2011, La Chiesa cattolica e il ‘cristianesimo di conversione’. Un confronto istruttivo. II) che cresce in barba alle intellettualistiche propensioni delle nostre chiese locali, timorose di scadere nell’intimismo e, nello stesso tempo, sognatrici di un illusorio impegno socio-politico dei frequentanti che non arriva quasi mai. Mettiamoci dunque sul serio al lavoro, poco gratificante, per aiutare le persone a vivere una prossimità nuova al Cristo e accompagniamo lo Spirito a educarci.