La programmazione della conferenza episcopale italiana per il prossimo decennio, Educare alla vita buona del Vangelo, ha sollecitato religiose, religiosi, membri degli istituti secolari, ordo virginum, della diocesi di Napoli a fare il punto della situazione. I numeri sono alti, circa 2000 religiose, 500 religiosi sparsi per il territorio della diocesi e distribuiti in 200 comunità, scuole, oratorio, parrocchie, case di accoglienza e di spiritualità. Una presenza collaudata anche da una storia di santità.
Ma il glorioso passato oggi fa i conti con emergenze inedite e talvolta dolorose. A Napoli la periferia non è ai margini della città, ma nel cuore stesso della metropoli, una periferia che s’allarga a dismisura e produce effetti nefasti di abbandono, illegalità, di visibile assenza delle istituzioni. L’incontro con le nuove presenze è avvenuto in maniera indolore e quasi per forza di inerzia. L’altro lo si accoglie nella consapevolezza che nella comune difficoltà, le differenze servono poco, ma ciò che aiuta è la solidarietà. Emergenze come quelle della casa, del lavoro, della domanda di legalità, sono diventate mali endemici.
La Chiesa locale, attraverso l’opera del suo vescovo, il cardinale Crescenzio Sepe, e i suoi sacerdoti ed operatori pastorali, ha in qualche modo dichiarato l’esplicita volontà di rottura con tutto un modo di pensare che può avere il sapore della rassegnazione e della conservazione pastorale. Al primo posto il territorio e l’attenzione alle sempre continue emergenze sociali nelle quali portare l’annuncio del Vangelo. Ne è prova la celebrazione di un particolare anno Giubilare per Napoli e per tutta la diocesi, in vista di una declinazione sempre più convinta e sincera dell’impegno per le opere di misericordia. Uomini e donne di buona volontà chiamati in una solidale alleanza educativa per esprimere coinvolgimento e impegno per un sano sviluppo sociale e la crescita del bene comune.

La risposta dei consacrati

Ma a quali appelli deve rispondere la vita consacrata? Cosa le chiede la Chiesa locale? Quale impegno in questo contesto di emergenza educativa? Quali progetti e quali sogni? Su questi e altri interrogativi, ha riflettuto il convegno diocesano celebrato a Napoli il 2-3 marzo u. s., in collaborazione con la pontificia facoltà teologica dell’Italia Meridionale, sez. San Tommaso, e con il vicariato per la vita consacrata dell’arcidiocesi di Napoli, sul tema specifico: “La vita consacrata a Napoli: educare evangelizzando ed evangelizzare educando».
La relazione del prof Luciano Meddi, ordinario di catechesi missionaria, ha focalizzato l’obiettivo e le conseguenze dell’aver accolto nella Chiesa italiana la prospettiva dell’educazione come via dell’evangelizzazione. Tale accoglienza mette l’educazione accanto alle altre vie tradizionali per l’annuncio del Vangelo, quali la predicazione, la celebrazione, la carità. Ricordando Vita Consecrata al n 96 “La Chiesa ha sempre percepito che l’educazione è un elemento essenziale della sua missione”, il prof Meddi ha aperto alcuni suggestivi interrogativi di verifica circa l’individuazione dei punti deboli della nostra pastorale, ed il bisogno di ripartire costantemente dalla centralità della persona nell’annuncio e nella catechesi. La priorità della dimensione educativa nello sforzo dell’evangelizzazione induce a guardare con molto rispetto alla libertà della persona e ad accettare di percorrere la via delle motivazioni più che l’imposizione autoritaria. Soprattutto. per quanto sia importante salvaguardare ad ogni costo l’esattezza dei contenuti, va sempre privilegiata la costruzione di relazioni educative capaci di suscitare l’interrogativo di fede.
Una verifica sincera che consacrati/e possono effettuare è quella dell’aggiornamento dei simboli e linguaggi con i quali si parla di fede, di Dio e della persona di Gesù Cristo, dal quale si sono lasciati trasfigurare e conquistare. La vivacità e la bellezza di questa testimonianza non diventa una generica forma di annuncio, ma è finalizzata a raggiungere le persone nella loro concreta ed effettiva situazione di ricerca di Dio. Tale annuncio deve toccare la persona attraverso l’accentuazione della spiritualità, dell’orientamento e della guarigione.
Successivamente, a mons.

La denuncia dei vescovi campani

A. Di Donna, vescovo ausiliare e attento pastoralista della diocesi di Napoli, con pacato realismo e suggestiva pro positività, non poteva sfuggire il fatto che «prima ancora che per attività specifiche, la vita consacrata rappresenta una risorsa educativa all’interno del popolo di Dio .... in quanto caratterizzata da una speciale configurazione a Cristo casto, povero e obbediente, costituisce una testimonianza fondamentale per tutte le altre forme di vita cristiana, indicando la meta ultima della storia in quella speranza che sola può animare ogni autentico processo educativo» (Educare alla vita buona … n. 45). Significative sottolineature sono state fatte, in particolare, in rapporto al bisogno di verificare il cammino percorso, alla necessità di imprimere una grande fiducia e una fondata speranza nell’impegno educativo orientato soprattutto verso la ricerca del bene comune, della giustizia, della pace e della salvaguardia del creato. Proprio questi obiettivi condivisi dovrebbero mettere in stretto collegamento le comunità religiose, le parrocchie, la famiglia, la scuola, la cultura, il mondo della ricerca ecc.
Il cardinale Crescenzio Sepe ha espresso apprezzamento e sostegno all’opera educativa che da sempre la vita consacrata svolge a Napoli e nel territorio diocesano. Non è mancato il riferimento al taglio dei fondi operato dalle istituzioni che ha colpito il terzo settore, e sta drasticamente ridimensionando l’attività di molte religiose e religiosi. I tagli economici stanno paralizzando il servizio ai meno abbienti e a coloro che necessitano di maggiore attenzione. La stessa conferenza episcopale campana, in un suo recente comunicato, ha denunciato la pericolosa deriva economica nella quale si trovano molte delle opere collegate al terzo settore. Ma ciò che apparentemente sembra fallire o destinato all’insuccesso, ha aggiunto l’arcivescovo, in realtà è una feconda opera educativa destinata a portare i suoi frutti duraturi nel tempo.

Il linguaggio  della solidarietà

Ha destato molto interesse l’aspetto esperienziale-narrativo che si è introdotto nella dinamica del convegno, al di là della storia e delle acquisizioni teologiche, alcune congregazioni, e tra esse anche gli istituti secolari, hanno raccontato l’esperienza educativa condotta in alcuni particolari ambiti della pastorale diocesana: il carcere, il dormitorio pubblico, il rione Scampia, la scuola, uffici pubblici, la presenza tra le famiglie disagiate del centro storico, gli immigrati. Tutto ciò ha disegnato un sorprendente profilo di servizio e di profezia che parla il linguaggio della solidarietà e delle opere di misericordia, forse anche al di là di quanto il dato istituzionale delle nostre congregazioni aveva previsto ed immaginato. La “fantasia della carità” è una dei percorsi educativi più convincente e credibile.
Nello scambio di opinioni e nella tavola rotonda che ha seguito i vari interventi, si sono delineate alcune linee operative che possono aiutare la vita consacrata a Napoli. In una progettazione che intende partire dalla emergenza educativa, la vita consacrata non può esaurire la sua risorsa progettuale solo pensando a qualche cosa di più da ‘fare’. E’ urgente pensare a nuove e più incisive modalità di ‘essere’ tra la gente, nei quartieri, nel mondo dell’abbandono e nel doloroso orizzonte del degrado umano e morale. Non solo educhiamo ma ci lasciamo interpellare dalle situazioni che siamo chiamati ad affrontare. Alla luce dei grandi cambiamenti non possiamo continuare ad esaurire i nostri sforzi, a pensare esclusivamente problematiche interne dei nostri Istituti (ridimensionamento, fusione di province, calo numerico…) se questi problemi, se diventano l’unica nostra preoccupazione, diventano anche le nostre sabbie mobili, nelle quali, con l’intento di salvarsi, ci si agita dimenandosi, ma inevitabilmente si viene tratti nel fondo.
L’altra suggestione che merita una particolare menzione è la capacità di cogliere l’emergenza educativa come una feconda opportunità per un radicale risanamento della razionalità all’interno della vita consacrata. Un rinnovato bisogno di ricomprendere il rapporto persona, comunità, servizio dell’autorità e obbedienza. Accogliere la prospettiva educativa significa anche rivedere i moduli comunicativi delle nostre comunità con la Chiesa locale e con il territorio, con la cultura del nostro tempo, diffondendo la fiduciosa speranza che in ogni momento della storia Dio educa il suo popolo ma soprattutto con la chiarezza che «consacrati e consacrate manifestino, con delicato rispetto unito a coraggio missionario, che la fede in Gesù Cristo illumina tutto il campo dell’educazione, non pregiudicando, ma piuttosto confermando ed elevando gli stessi valori umani» (Orientamenti, n. 97) . In un cantiere di riflessione e di ulteriore impegno come questo, non va assolutamente sottovalutato il rischio di “ulteriori sbilanciamenti” sul versante delle risposte efficientiste da offrire. Non per nulla il Servo di Dio Giovanni Paolo II° aveva sentito il bisogno di ricordare che «tutta la fecondità della vita consacrata dipende dalla qualità della vita fraterna in comunità».