Giovanni Paolo II in Ecclesia in Africa, l’esortazione apostolica inviata
alla fine del Sinodo speciale dei vescovi per l’Africa del 1994, aveva
raccomandato ai vescovi del mondo intero di assicurare alle chiese d’Africa la
loro collaborazione solidale nell’ambito della comunione delle chiese e tra le
chiese. La richiesta non è rimasta inevasa e il Simposio delle conferenze
episcopali d’Africa e Madagascar (SECAM) e il Consiglio delle conferenze
episcopali d’Europa (CCEE) hanno iniziato una collaborazione che ha portato
ormai a qualche riunione comune in vista di concretizzare questo impegno di
comunione e di solidarietà. Ad un primo seminario inaugurale, svoltosi a Roma
nel 2004, sul tema Comunione e solidarietà tra l’Africa e l’Europa, hanno fatto
seguito altri tre seminari comuni a Elimina, in Ghana nel 2007, a Liverpool nel
Regno Unito nel 2008 e, infine, a Abidjan, in Costa d’Avorio nel 2010. Nel corso
di quest’ultimo incontro di riflessione comune, che si è svolto dal 10 al 14
novembre 2010, allora ancora abbastanza in pace, i vescovi del SECAM e della
CCEE hanno affrontato il tema, molto sentito per le sue implicazioni pratiche,
Nuova situazione della missione ad gentes: scambio di sacerdoti ed operatori
pastorali” e “Formazione e vocazioni. Si tratta, come è facile capire, di due
temi che stanno a cuore a tutti i vescovi dell’Africa e anche d’Europa, due temi
collegati tra di loro, perché lo scambio di sacerdoti, che è ormai prassi
consolidata, deve avvenire nelle migliori condizioni possibili, con delle
persone ben formate che possano inserirsi nelle chiese dove arrivano, senza
richiedere particolari attenzioni che difficilmente potrebbero avere, e dando un
contributo di qualità alle comunità nelle quali si inseriscono più o meno
temporaneamente.
Un clima di scambio fraterno
Il seminario, a detta dei partecipanti, si è svolto «in un clima di scambio
fraterno di esperienze pastorali» ed ha permesso di consolidare la «comunione e
la solidarietà pastorali tra l’Africa e l’Europa». Si è concluso con un
Messaggio rivolto ai vescovi, ai sacerdoti, ai religiosi e alle religiose e a
tutto il popolo di Dio d’Europa e d’Africa. Il testo si apre con uno sguardo
alle mutate condizioni della Chiesa in Europa e in Africa «che hanno suscitato
nuove sfide per la missione evangelizzatrice che Gesù Cristo ha affidato alla
sua chiesa». Il Messaggio non fa l’elenco delle nuove sfide, ma queste sono note
a tutti. Il Vecchio Continente sta passando attraverso una specie di inverno
prolungato, caratterizzato e anche causato dal processo di secolarizzazione, che
ha portato a un raffreddamento del clima cristiano, a una forma di crisi di fede
che ha ridotto il fervore cristiano e, di conseguenza, anche le vocazioni
presbiterali e religiose con una conseguente drastica caduta delle vocazioni
missionarie. Il continente africano vede le comunità cristiane in forte
crescita, caratterizzate dalla giovinezza e da una fioritura di vocazioni
presbiterali e religiose che provoca sentimenti di invidia alle comunità
d’Europa, ma che deve essere aiutato in questo momento di sviluppo tumultuoso
affinché la quantità non vada a scapito della qualità. Il processo di
globalizzazione fa in modo che queste situazioni interagiscano a livello di
conoscenza ma anche di scambio che non dovrebbe tuttavia essere, si passi la
parola, selvaggio, ma ordinato e coordinato.
In materia di scambio di personale, infatti, le esperienze sono molte, buone e
meno buone. Testimoni qualche anno fa ne aveva parlato, in seguito a un
documento uscito dalla Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli,
preoccupata per i problemi che questo tipo di scambio (che scambio non era …)
stava facendo emergere. Il fatto che siano oggi i vescovi del SECAM e della CCEE
a trattarne, dimostra che la consapevolezza del problema è arrivata a loro e
che, almeno, ne parlano apertamente e senza complessi da una parte e dall’altra,
per trovare delle soluzioni che siano valide e fruttuose per tutti. Non è un
mistero che in questi ultimi decenni si sono moltiplicati i casi di preti e
religiosi africani (e anche di religiose africane) che non tornano più a casa
dopo aver finito gli studi in Europa e che ci sono altri preti o religiosi/e
africani mandati dai loro vescovi o superiori/e “in missione” in Europa,
ufficialmente per entrare nel ministero ecclesiale, ma in realtà per cercare
mezzi di sussistenza oppure per … scaricare altrove problemi che non riescono a
risolvere a casa propria. Va anche detto con molta chiarezza che il tema
«scambio di personale» riguarda, seppure in quantità minore, anche i sacerdoti e
operatori pastorali che dall’Europa vanno in Africa e che si trovano in
condizioni simili a quelle degli africani in Europa.
Nel loro Messaggio i vescovi affermano con chiarezza che «la Chiesa in Africa ha
ancora bisogno di missionari» anche se «dovrebbe essere essa stessa missionaria
visto che vi sono ancora milioni di persone in attesa della Buona Notizia di
Gesù Cristo». È un dovere che deriva dalla stessa natura di ogni chiesa, anche
se fondata da poco e bisognosa a sua volta di aiuti da fuori (Ad gentes 19). Per
questo il seminario di Abidjan chiede alle chiese locali in Africa di «ascoltare
le loro reciproche richieste circa il bisogno di missionari, il sostegno per la
missione e di correre in soccorso le une delle altre qui in Africa come in
qualsiasi altra parte». Nello scambio del personale missionario, deve stabilirsi
una «maggiore cooperazione» tra i vescovi che mandano e quelli ricevono il
personale, sia tra le chiese in Africa, sia tra le chiese in Africa e quelle
d’Europa, questo soprattutto nel campo della formazione al presbiterato e per i
diversi ministeri. Questo deve tradursi in accordi e contratti scritti,
accuratamente elaborati, che prendano in considerazione, per quanto possibile,
«tutto ciò che risulta essere necessario per il benessere dei sacerdoti nello
spirito della più grande comunione e solidarietà».
Ci sono situazioni molto delicate
Il problema affrontato dai vescovi risponde a situazioni molto delicate, perfino
paradossali, di preti e religiosi/e che, sono lasciati soli, arrivano in Europa
senza essere invitati da nessuno e che finiscono per dover andare a cercarsi dei
vescovi benevoli, adattandosi, per sopravvivere, a situazioni che non si
addicono non solo a dei sacerdoti e dei religiosi, ma neppure a delle normali
persone umane. Le conseguenze di questa condizione non è necessario descriverle,
tanto sono evidenti. Eppure … Il problema si pone, dall’altra parte, anche nel
caso di sacerdoti o religiosi europei che in Africa non sanno più se sono
desiderati o se la loro presenza è valida solo nella misura in cui portano degli
aiuti materiali per una missione che invece dovrebbe essere caratterizzata da un
progetto spirituale ed evangelico; sacerdoti che, mandati in Africa dai vescovi
o con il consenso dei loro vescovi, si trovano soli senza quei sostegni di cui
ogni persona consacrata ha bisogno per poter sopravvivere.
Per questo è molto apprezzabile il fatto che i vescovi abbiano allargato il
problema dello «scambio»” a quello della «formazione» – iniziale e permanente
aggiungeremmo noi – di questi preti, religiosi/e e operatori pastorali. La loro
solitudine e il loro abbandono sono stati denunciati già molte volte in passato
a proposito dei preti fidei donum prima edizione. Perché è accaduto spesso che
queste persone, che pure partono di solito armate di propositi apostolici e
santi, finiscono poi per essere abbandonate a se stesse, richieste di un lavoro
impegnativo, ma lasciate senza indicazioni pastorali e, peggio, senza sostegni
spirituali a livello personale e comunitario. Figli di nessuno, diceva molto
schiettamente un prete fidei donum in Africa, visto che il vescovo da dove era
venuto non lo poteva seguire perché lontano e già preoccupato abbastanza con i
problemi della sua chiesa locale, e il vescovo che l’aveva accolto non osava
entrare nei problemi del prete, ritenuto diverso per cultura e spiritualità, dal
clero locale. La stessa cosa avviene con i preti africani che si trovano nelle
chiese d’Europa, costretti a un lavoro, ritmi e cultura diversi e, soprattutto,
esposti alla seduzione di un mondo, quello occidentale, lungamente atteso come
una terra promessa “in cui scorre latte e miele” di diversa natura da quello
biblico!
Benvenute quindi queste puntualizzazioni e queste proposte che tutti speriamo
non siano come i propositi che si fanno alla fine degli esercizi spirituali che
ripetono sempre le stesse cose e lasciano, purtroppo, troppo spesso, il tempo
che trovano.