Il 25 marzo 2011 ricorreva il quindicesimo anniversario della pubblicazione di “Vita consecrata”. Il dicastero vaticano per la VC, prima ancora della nomina del suo nuovo prefetto, aveva pensato di celebrare l’evento con un apposito simposio. È quanto, in effetti, è avvenuto a Roma, nella gremitissima aula magna dell’università lateranense. Forse, più che il semplice anniversario dell’esortazione apostolica, il punto di maggior richiamo era dato, come ha sottolineato il rettore dell’università, mons. Enrico Dal Covolo in apertura del simposio, dal primo incontro pubblico del nuovo prefetto, mons. João Braz De Aviz, fino ad oggi arcivescovo di Brasilia, con il suo “nuovo” mondo della VC.
Nel suo breve saluto iniziale, mons. De Aviz ha ricordato di aver incominciato a conoscere e ad amare la VC fin dai primi anni del seminario minore, grazie alla testimonianza di un gruppo di missionari del Pime, espulsi dalla Cina e in attesa di iniziare la loro nuova missione in Brasile. Dopo quel primo impatto diretto con il mondo missionario, l’esperienza del movimento dei Focolari ha ulteriormente contribuito a sensibilizzarlo alla molteplicità dei carismi della VC.
Ha candidamente confessato che la nomina ai vertici del dicastero per la VC gli è giunta del tutto inaspettata. Quando il Segretario di Stato, il card. Tarcisio Bertone, gli ha comunicato questa decisione del papa, si è permesso di chiedere se per caso non avessero sbagliato persona, dal momento che lui non apparteneva a nessun ordine religioso. Nessun problema, si è sentito rispondere, perché «a Roma queste cose non contano».
Fin da questo incontro, il nuovo prefetto ha dimostrato di saper apprendere molto in fretta le coordinate fondamentali del suo nuovo incarico. Il mondo della VC, ha detto, con un milione circa di consacrati, costituisce uno straordinario angolo di visuale e di comprensione di gran parte della Chiesa. Anzi, «penso che questa sia la parte più preziosa della Chiesa oggi». Nell’opera dei fondatori e delle fondatrici è facile vedere la continuità dell’annuncio evangelico nella storia. L’invito a seguire Gesù attraverso l’esercizio dei consigli evangelici non va assolutamente inteso come un “comandamento”, ma come una risposta libera e personale ad una proposta di vita. Se Dio è amore, i consacrati, attraverso la ricchezza dei loro carismi, non hanno altro compito che realizzare e testimoniare con la vita la loro passione per Cristo.
Come prefetto del dicastero non può non sentirsi, insieme a tutti gli ordini e congregazioni religiose, a servizio del Santo Padre, in una prospettiva aperta al mondo intero. Concludendo il suo saluto, mons. De Aviz si è augurato di poter crescere in una reciproca conoscenza, affrontando, quando sarà il caso, anche le situazioni difficili, sempre però animati e guidati da uno spirito di comunione e dalla passione per Cristo.

Internazionalità e multiculturalità

Dopo il prefetto, hanno preso la parola i suoi più diretti e immediati collaboratori, il segretario mons. Joseph Tobin e i due sotto-segretari, sr. Enrica Rosanna e p. Sebastiano Paciolla. Ognuno si è sostanzialmente limitato a commentare singoli punti di “Vita consecrata”. Mons. Tobin ha ripreso il tema della internazionalità e della multiculturalità della VC. Pensando alla nuova geografia che si sta da tempo disegnando anche in questo campo, ha detto, «siamo sfidati a leggere con occhi nuovi ciò che lo Spirito sta compiendo nella Chiesa».
Oggi le realtà fondamentali della VC vanno pensate in una prospettiva interculturale in vista di una sempre più piena convivialità delle differenze. Ma proprio questa molteplicità e diversità culturale dei carismi esige un più attento discernimento. Non è prudente, ad esempio, dar vita a una comunità di formazione in un determinato territorio, senza prima avervi inculturato il proprio carisma. È forse il caso di dire che in questi ultimi 15 anni di VC, «il tema della multiculturalità ha subìto una forte accelerazione» grazie anche alla riflessione maturata in seno agli organismi internazionali dei superiori e superiore generali.
Si è andati prendendo consapevolezza del fatto che i flussi culturali, le missioni etniche ecc. di questo nostro tempo, hanno finito con il ridisegnare, insieme a una nuova geopolitica e ad una nuova geoeconomia, anche una nuova geografia umana, interculturale e internazionale. Le diverse identità culturali dei singoli popoli si sono dovute confrontare con una situazione del tutto imprevista e inaspettata.
La VC non può rimanere estranea a questi nuovi dinamismi internazionali, a queste sfide che mettono inevitabilmente in discussione la propria identità e il modo stesso con cui è stata vissuta fino ad oggi l’evangelizzazione. Anche partendo semplicemente dalla logica tracciata dall’esortazione apostolica, è possibile oggi ridisegnare una nuova strategia della missione degli istituti religiosi.
L’internazionalità della VC va costantemente rapportata al “filo rosso” dell'universalità della Chiesa e del mistero della comunione ecclesiale. Questa comunione «non è uniformità, ma dono dello Spirito che passa anche attraverso la varietà dei carissimi e degli stati di vita».
La dinamica dell'inculturazione, ha concluso mons. Tobin, «richiede spoliazione delle proprie sicurezze culturali e grandi capacità di confronto e di valutazione dei fondamenti della sequela Christi». Non c’è inculturazione senza testimonianza evangelica, senza, anzi, le possibili “rotture” proprie del messaggio evangelico. la internazionalità è oggi una delle sfide più grandi di fronte alle quali si trova la VC.

Una fedeltà creativa in corso d’opera

Sr. Enrica Rosanna ha incentrato le sue riflessioni sulla fedeltà creativa di cui si parla al n. 37 di Vita consecrata. Sono ben note, ha esordito, le molte analisi sulla VC. Se per gli uni i consacrati sono dei “malati terminali”, per gli altri sono degli “inesperti” incapaci di far giungere a maturazione il proprio carisma attraverso una sintesi feconda tra la cultura in cui vivono e l’identità storicamente vissuta dall'istituto. In realtà, invece, ieri come oggi, i consacrati continuano ad essere uomini e donne che credono nella “sequela Christi”. Proprio dal n. 37 dell’esortazione apostolica viene una spinta a intraprendere, inventare, camminare con convinzione nella santità facendo del carisma una fonte di vita anche per tutta la Chiesa.
Il cammino compiuto dalla VC in questi ultimi anni, «è stato un'avventura appassionante che ha prodotto intuizioni, germogli, frutti». Certamente la VC è cambiata in questi anni. «Facendo un bilancio penso di poter dire che, nella sua dolorosa potatura ancora in atto, sia cambiata in meglio. Siamo cresciuti nella comunione ecclesiale, nella identità carismatica, nella lettura dei segni dei tempi, nel discernimento verso nuovi luoghi di missione. I progetti pastorali delle Chiese locali, l’opzione per i poveri, l’impegno per la giustizia, la pace, l'integrità del creato, sono tutti elementi costitutivi dei progetti fatti propri anche dai consacrati. È stato riscoperto il valore dell’obbedienza, sono stati rinnovati tutti i progetti formativi, la spiritualità è sempre più biblica e liturgica, il ritorno alle fonti dei vari carismi è stato il punto di partenza per una loro sempre più feconda attualizzazione. Mistica e profezia «appartengono al codice genetico dell'identità ecclesiale della VC e della sua missione». Si è più chiaramente compreso che «senza riletture nutrite di sapienza e senza coraggio creativo, i carismi diventano sterili».
Le interpretazioni carismatiche più innovative oggi è facile coglierle soprattutto nei giovani consacrati appartenenti a culture diverse da quella occidentale. È la conferma, questa, che «la spiritualità della VC ha bisogno di vivere in un permanente atteggiamento di esodo». Si tratta non solo di recidere legami troppo vincolanti, ma anche di sapersi collocare «in posti di avanguardia evangelizzatrice per manifestare il progetto di Dio e interpellare la società». La fedeltà creativa esige un continuo rinnovamento spirituale apostolico. «Non avremo nulla di nuovo da offrire alla nostra società e al dialogo con tutti se non ci lasciamo come impregnare nella fedeltà dal carisma dei nostri fondatori». Anche solo in questi ultimi anni non sono mancati esempi concreti e significativi di fedeltà creativa. Il congresso internazionale del 2004, “Passione per Cristo. Passione per l’umanità”, è stato forse il caso più esemplare di fedeltà creativa.
Per essere creativi nella fedeltà sono necessari alcuni fondamentali passaggi: lasciarsi guidare dallo Spirito in attento ascolto della Parola, incrementare una spiritualità e una comunione sempre più profonda a tutti i livelli, vivere la propria missione con un’apertura a 360 gradi alle attese del mondo, fare della multiculturalità il nuovo paradigma di vita sia per le comunità che per gli istituti. Il passaggio da una situazione di omogeneità culturale occidentale alla condivisione dei valori di altre culture, riscoprendo nuove modalità di preghiera, di vita comunitaria, di uso del denaro e di esercizio dei consigli evangelici, diventa così la conferma più evidente delle tante frontiere aperte lungo le quali oggi la VC è stimolata a rinnovare la propria fedeltà creativa.

Sono troppe le nuove forme di VC?

È un dato di fatto che su queste frontiere oggi sembrano assestarsi con più vivacità alcune nuove forme di VC. Anche per questo, forse, a p. Sebastiano Paciolla era stato chiesto di fare il punto della situazione, soprattutto da un punto di vista giuridico, a proposito di queste nuove realtà. Lo ha fatto affermando da subito che l’espressione “nuove forme di VC”, può risultare non solo “ambigua”, ma anche “equivoca”. Sotto questa espressione, infatti, si trova una molteplicità di soggetti che si rifanno tutti a Vita consecrata: associazioni di fatto, gruppi di fedeli con vita comune, associazioni di fedeli private e pubbliche, porzioni di movimenti ecclesiali, associazioni pubbliche in itinere, istituti religiosi diocesani di nuova erezione, a volte anche nuovi istituti pontifici e addirittura nuove forme di VC vera e propria. Perfino nella stessa istruzione apostolica sono rintracciabili le radici di una certa ambiguità. Riferendosi, infatti, alle nuove associazioni è stato introdotto al numero 62 il termine di vita evangelica, senza specificarne il contenuto e il valore giuridico.
Anche in riferimento all’intervento di p. Paciolla è quanto mai opportuno attendere la pubblicazione degli Atti del simposio assicurata in tempi ravvicinati. Basti solo ricordare in questa sede l’affermazione conclusiva del suo discorso, quando ha detto che, dopo un’attenta verifica dei dati in possesso del dicastero, sono solamente 31 le realtà che si possono giuridicamente qualificare come “nuove forme”, o meglio ancora, come “nuove famiglie di VC”.
L’impegno del dicastero nei prossimi anni potrebbe essere quello di approfondire meglio queste realtà, magari partendo da quanto era già stato affermato nella Plenaria del 2005, allorché si decise di escludere dalle nuove forme tutte quelle che comprendono la vita matrimoniale, quelle che prevedono la effettiva convivenza di uomini e donne e quelle che contemplano forme temporanee di consacrazione.
Rimane comunque il fatto che le nuove forme non hanno mai soppiantato quelle precedenti. E questo potrebbe essere veramente un “segno dello Spirito” se, come afferma Vita consecrata 5, rifacendosi a Lumen gentium 43, la VC «appare come una pianta dai molti rami che affonda le sue radici nel Vangelo e produce frutti copiosi in ogni stagione della Chiesa».