Il 24 marzo scorso è stata celebrata la 19ª Giornata di preghiera e di
digiuno in memoria dei missionari martiri, ispirata al martirio, avvenuto il 24
marzo 1980, di mons. Oscar Romero, arcivescovo di San Salvador. Il Centro
missionario diocesano di Bologna nel 2011 ha voluto dare dato risalto all’evento
con un incontro dedicato ai “Cristiani oggi in Egitto e in Medio Oriente”. Vi
hanno partecipato l’illustre islamologo gesuita Samir Kalhil Samir e Giorgio
Bernardelli, giornalista di Mondo e Missione mensile del Pime (che ha curato la
mostra itinerante “Giusti dell’islam” sulle storie dimenticate di musulmani che
salvarono la vita ad alcuni ebrei durante il nazismo).
Bernardelli ha sottolineato che in quest’area del mondo il martirio dei credenti
assume oggi una configurazione inconsueta. Non si tratta di chiese giovani, ma
di comunità dalla lunga tradizione con una molteplicità di riti. Siamo veramente
nella terra delle nostre radici, dove l’annuncio del Vangelo diventa oggi
problematico in modo particolare.
Il martirio lungo un secolo
Il Novecento ha superato in persecuzioni i primi secoli del cristianesimo e
l’area mediorientale ne porta i segni più drammatici. All’inizio del secolo,
mentre era in atto il genocidio armeno, si compivano i massacri delle bande
curde (avanguardia dell’esercito turco) ai danni della popolazione assira dello
Hakkari, ai confini tra impero ottomano e Persia. Cent’anni dopo non pare aver
fine il massacro dei cristiani in Iraq: l’assalto terroristico contro la chiesa
siro-cattolica di Bagdad (31 ottobre 2010), che provoca 46 vittime tra cui i due
giovani sacerdoti, è l’apice di una serie di attentati mai interrotta; i
terroristi sparano colpi di mitra contro il Crocefisso e dicono: “Ditegli di
salvarvi!”. Molti episodi di martirio precedono la caduta di Saddam Hussein
(vedi nel 2002 lo sgozzamento di una monaca caldea della congregazione del Sacro
Cuore, e l’omicidio nel 2003 di un tassista padre di cinque bambini convertitosi
dall’islam) e la seguono (ricordiamo: la decapitazione di un prete siriaco
ortodosso nella chiesa di Sant’Efrem a Mosul e l’omicidio di un pastore
protestante nel 2006; le pugnalate che tolgono la vita a due anziane religiose
caldee a Kirku e l’assassinio a sangue freddo del sacerdote caldeo Ganni, 35
anni, insieme a tre suddiaconi a Mosul, nel 2007; la morte dopo sequestro
dell’arcivescovo caldeo Rahho nel 2008).
Il martirio è realtà quotidiana anche per i cristiani di Egitto. Il 2011 si è
aperto con l’attentato alla chiesa dei Santi di Alessandria (23 morti e 77
feriti); nel 2010 tre uomini avevano aperto il fuoco sui fedeli che uscivano
dalla messa di Natale a Nagaa Hammadi nell’Alto Egitto. Il patriarca Shenouda
III conta dal 1861 mille ottocento omicidi di cristiani. La lunga guerra del
Libano (1975-1990) ci fa assistere, tra l’altro, a massacri dei drusi ai danni
dei civili cristiani, allo sgozzamento di anziani monaci maroniti, al macabro
trascinamento del corpo di un gesuita per le strade di Beirut. Dopo la guerra
l’odio prolunga i suoi effetti: una suor è strangolata nel 2000, una missionaria
americana è uccisa a colpi di pistola nella clinica di Sidone dove assisteva i
malati.
La Repubblica sciita dell’Iran innesca poi un persecuzione contro la gerarchia
protestante composta in gran parte da convertiti all’islam: nel 1990 è impiccato
il pastore Soodman; un convertito al cristianesimo, dopo nove anni di prigione è
condannato a morte per apostasia, viene liberato per le pressioni internazionali
ma finisce assassinato nel 1994; nello stesso anno viene trovato ucciso un
pastore presbiteriano e l’anno dopo la stessa sorte tocca al suo successore. Un
altro pastore protestante viene trovato impiccato a un albero nel 1996 mentre
nel 2005 è pugnalata a morte la guida spirituale di una chiesa indipendente
composta da ex musulmani come lui.
Non stupiscono pertanto che ci siano, come riporta Bernardelli, alcune zone
dell’Iraq dove il rischio di un’estinzione totale è molto concreto. Però nel
panorama di questa regione c’è anche il Golfo Persico dove – per via
dell’immigrazione dei lavoratori asiatici – i cristiani oggi aumentano: in un
paese come il Bahrein, ad esempio, oggi sono circa il 10% della popolazione. Ci
saranno dunque sempre dei cristiani in Medio Oriente; il punto vero è quale
spazio ci sarà per una loro presenza che non sia quella del ghetto. Intanto
consideriamo che dall’inizio del 1900 a oggi la percentuale dei cristiani è
passata dal 58% al 38% in Libano, dal 18% allo 0,1% in Turchia, dal 10% al 5,5%
in Siria e dal 9,5% al 2% in Giordania.
Cristiani, cittadini del Medio Oriente
Una considerazione a parte merita la situazione dei cristiani in Israele. Il
conflitto tra israeliani e palestinesi si gioca anche sui numeri dei cristiani.
Israele indica il dato secondo cui i cristiani non sono mai stati così tanti. Il
nostro giornalista considera che in valore assoluto è un dato reale, ma aggiunge
che sono tanti in Galilea: a Gerusalemme, al contrario, non sono mai stati così
pochi e ogni casa del quartiere cristiano della Città Vecchia deve essere difesa
con le unghie. In Terra Santa si è passati da un 11,5% di cristiani nel 1914 a
un 2% di oggi. Dall’altra parte, in Palestina, Abu Mazen non manca di dare
segnali di attenzione verso i cristiani (vedi il restauro della Basilica della
Natività a Betlemme). Ma è altrettanto vero che il radicalismo islamico c’è. “Il
punto vero è che i cristiani vivono sulla propria pelle le contraddizioni di
questo conflitto, esattamente come gli altri. Noi a volte abbiamo la tentazione
di pensare che ci vorrebbe una soluzione per aiutare i cristiani della Terra
Santa. Ma l’unica soluzione per i loro problemi è una pace giusta tra israeliani
e palestinesi, attenta ai bisogni di tutti. Finché non ci si arriverà i
cristiani non potranno che continuare a subirne le conseguenze”.
L’intervento su questo punto di Samir è condanna dura di una politica dei
“sogni” (sia di Israele che dei partiti palestinesi radicali) che non potrà che
perpetuare sofferenze, a meno che non ci si decida finalmente a creare due stati
liberi e sovrani in Palestina.
Dentro questo scacchiere molto complicato, possiamo comunque dire che, sul seme
dei martiri cristiani antichi o contemporanei, ogni comunità cristiana, con
costi immensi, comunque ritrova il senso profondo della vita secondo il Vangelo
e spesso il coraggio di una memoria attiva, non rassegnata, capace di continuare
il cammino con più slancio.
Per questo motivo sia Bernardelli che p. Samir hanno indicato un concetto chiave
scaturito dal recente Sinodo per il Medio Oriente: i cristiani sono cittadini
del e per il Medio Oriente, chiamati per vocazione a vivere fianco a fianco con
i loro fratelli musulmani. «Il problema principale della vita quotidiana, ha
spiegato il giornalista, credo sia quello di una libertà religiosa ristretta a
mera libertà di culto. Gli spazi per un’espressione pubblica della propria fede
sono ovunque molto ristretti. Poi, in alcune situazioni, ci sono anche
discriminazioni molto concrete a livello sociale, come testimonia il caso dei
copti in Egitto».
Dio però ha messo i cristiani in queste terre e anche qui tutte le persone hanno
il diritto di ascoltare il Vangelo! Lo stesso diritto l’hanno i 15 milioni di
musulmani presenti oggi in Europa. Ma la loro presenza la leggiamo come
invasione o come provvidenza?
Il Sinodo del M. O. inizia ora!
Il mondo cattolico medio-orientale si caratterizza per una grande diversità di
lingue, di culture e di riti, che però sono diventati sempre più una trincea da
difendere. Comunione e testimonianza è il binomio più citato; ma la fede non è
solo questione di sopravvivenza o di resistenza. La Chiesa necessita della
missione per ritrovare il senso della propria fede: nonostante le leggi
anti-proselitismo in molti paesi, la logica interna del Vangelo è un lasciarsi
conquistare prima che un conquistare. Cristo converte i cuori anche grazie alla
testimonianza degli uomini.
Non esiste una soluzione globale al problema dei cristiani in Medio Oriente. Il
mondo cristiano, a leggere bene dentro le parole di p. Samir, in oriente non sta
solo scomparendo, si sta anche trasformando. Le comunità cattoliche conoscono,
in alcuni paesi, un incremento numerico grazie alla recente immigrazione
africana e asiatica o dal sud est Europa: si tratta di un’umanità estranea alle
rivendicazioni etnico-confessionali!
Qui si radica l’appello più innovativo che viene dal Sinodo (in cui un ruolo
importante ha avuto proprio p. Samir): «Dio vuole che noi siamo cristiani nel e
per le nostre società del Medio Oriente». I cristiani devono lavorare per un
concetto forte di “cittadinanza non discriminatoria”, nella quale nessuno debba
scegliere tra lealtà civile e fedeltà alle proprie convinzioni religiose. Non
cittadini o credenti ma cittadini e credenti, nel rispetto dell’autonomia tra
religioni e stato ma anche favorendo un dialogo continuo tra le parti sui
fondamenti del vivere comune e sulla dignità della persona.
Cristianofobia o Beatitudini?
Fa parte di questo dialogo tendere l’orecchio sempre a ciò che accade nel mondo
islamico. Tra i materiali distribuiti nell’incontro bolognese c’è quello
relativo al "Documento per il rinnovamento del discorso religioso" (apparso il
24/1/2011 sul sito on line della rivista egiziana Yawm al-Sâbi, “Il Settimo
Giorno”). A segnalarlo al di fuori del mondo arabo e a evidenziarne l'importanza
è stato proprio p. Samir. Egli ha tradotto e commentato le parti essenziali del
documento in due servizi pubblicati sull'agenzia on line "Asia News" del
pontificio Istituto per le missioni estere. Lì si spiega che il documento è
stato scritto seguendo le indicazioni di 23 pensatori musulmani egiziani,
indicati nome per nome. Il documento è in 22 punti telegrafici, che delineano un
programma di riforma dell'islam: in sintesi, da una sua pratica superficiale ed
esteriore a una più autentica ed essenziale.
Si va infatti dal “riesaminare le raccolte delle Hadith (le frasi attribuite
dalla tradizione a Maometto) e i commentari del Corano, per purificarli” (1) al
“trovare una nuova pratica del concetto di mescolanza fra i sessi” (3); dal
“mettere a punto la visione islamica riguardo alla donna e trovare forme
convenienti per il diritto matrimoniale” (4) alla necessità di “spiegare il
concetto islamico di jihâd (la guerra santa interiore ed esteriore), e precisare
norme ed obblighi che la regolano”(6);
dal “separare la religione dallo stato” (8) al purificare il patrimonio dei
primi secoli dell’islam (salafismo), eliminando i miti e le aggressioni contro
la religione” (9); dal “precisare la relazione che deve esistere fra membri
delle religioni attraverso la scuola, la moschea e la chiesa (13) al
“riconoscere il diritto delle donne di accedere alla presidenza della
Repubblica” (16); dal “separare il discorso religioso dal potere e ristabilire
il suo legame con i bisogni della società” (21) al “migliorare il legame fra la
da’wah (appello alla conversione all’islam) e la tecnologia moderna, le catene
satellitari e il mercato delle cassette islamiche” (22).
Ricaviamo da questi ultimi dati un nostro particolare avvertimento nella
Giornata dei martiri: il termine cristianofobia rischia di diventare una
bandiera identitaria. Se ci impelaghiamo in un labirinto fatto di cristianofobia,
islamofobia e antisemitismo, dimentichiamo che i cristiani sono cittadini come
gli altri e vogliono vivere in pace con tutti. Anche nella persecuzione più
feroce, diceva Berardinelli, si raccolgono dai cristiani tante testimonianze di
solidarietà nei loro confronti ricevuta da persone di buona volontà delle altre
religioni.
Amare i nemici, pregare per chi ci perseguita non è “buonismo”, ma affrontare
l’ingiustizia seguendo la logica del Vangelo. Le Beatitudini non consentono di
incancrenirsi nella logica del “mondo che ce l’ha tanto con noi cristiani”.
Mario Chiaro