L’esperienza relazionale di una persona rappresenta un aspetto fondamentale per definire il suo equilibrio psicologico e nello stesso tempo manifesta il suo progresso nella carità, che è l’essenza della santità . È facile comprendere, quindi, come il modo con cui viviamo i rapporti interpersonali possa essere spesso oggetto del nostro esame di coscienza quotidiano e uno degli aspetti in base ai quali misuriamo il nostro progresso spirituale.
L’esperienza relazionale di ciascuno riguarda naturalmente diversi ambiti: famigliare, comunitario, amicale, educativo…; essa è condizionata da fattori ereditari e da un’infinità di esperienze ambientali sperimentate nel corso della vita, ma nello stesso tempo è legata alla cura e all’impegno che ciascuno mette nello sforzo di migliorare continuamente il proprio modo di rapportarsi con le persone che incontra. L’obiettivo di tale sforzo potrebbe essere ben riassunto dall’aforisma riportato all’inizio come sottotitolo: è un buon programma di vita, che richiede lucidità interiore, umiltà, autodominio, perseveranza.
Nella riflessione che segue sono richiamate alcune condizioni che possono facilitare il progressivo raggiungimento di questo obiettivo.

Tenere fisso lo sguardo su Gesù


C’è anzitutto la necessità di un criterio per stabilire la qualità ideale del modo di vivere le relazioni interpersonali. Questo criterio non può essere semplicemente il galateo (comunque già di per sé utile), che è legato ad una determinata cultura e alla mentalità del tempo. Per i cristiani il criterio ultimo per stabilire la bontà delle proprie relazioni è Gesù Cristo. Le nostre relazioni interpersonali sono buone nella misura in cui esprimono quei sentimenti che sono del Signore Gesù e ne imitano gli esempi.
Gesù appare, infatti, una persona nella quale l’umanità ha raggiunto il suo vertice; in lui si trova tutto ciò che fa grande l’uomo : magnanimità e umiltà, fortezza e dolcezza d’animo, libertà assoluta e disponibilità totale per Dio e per i fratelli, forte senso dell’amicizia e capacità di solitudine, comunione profonda con Dio e comunione con i poveri e i peccatori, conoscenza dell’animo umano, elevatezza di pensiero e semplicità nell’esprimersi. Una personalità straordinaria per quello che è stato e per quello che ha insegnato. Non si trova in lui alcuna forma di tattica o forme di astuzia. Non fa mai violenza alle persone, rispetta la libertà. Più che un organizzatore, egli irradia potere e fascino e le persone lo cercano.
Il Vangelo presenta Gesù in molte forme di rapporti umani e la gamma delle persone con le quali si relaziona è molto ampia: uomini e donne, adulti e bambini, semplici e dotti, uomini per bene e peccatori, persone importanti e gente del popolo. È come Mosè l’uomo “dei grandi numeri” (incontra le folle), ma è anche capace di incontri personali e “riservati”. Va verso le persone con cuore aperto e disponibile, non ha una casa propria; é pieno di inesauribile desiderio di aiutare chi è nel bisogno, si muove a compassione. Nello stesso tempo attorno a Lui si trova uno spazio di solitudine estrema: nessunolo conosce e lo comprende fino in fondo (ciò deve essere stato motivo di profonda sofferenza), non si abbandona alla confidenza, non si consiglia mai.
In Gesù si trovano diversi tipi di sentimento: mitezza e umiltà, calma continua, compassione e sollecitudine, gioia e dolore, irritazione e dolcezza. Si commuove e piange. Non è mai freddo o chiuso e presenta una calda umanità. Persona di pace, mai affannato o preoccupato, non ci sono tracce di labilità psicologica. Non c’è in lui la malinconia, che è una forma diffusa di patologia religiosa; dà l’impressione di perfetta salute ed equilibrio psicologico; è padrone di se stesso. Quello che più colpisce in Lui sembra essere soprattutto la sua bontà: di fronte al dolore si muove facilmente a compassione e mostra particolare predilezione verso i poveri, gli ammalati, i bambini, i peccatori.
Molto attivo e impegnato, è nello stesso tempo capace di riposarsi. Non cerca l’applauso o lo spettacolare. Dà prova di essere audacemente libero da interessi personali, dalla legge, dalla famiglia, dalle cose. Non si lascia condizionare dai giudizi altrui; è determinato nel perseguire i suoi obiettivi e chiaro nelle sue idee.

Condizioni per un cordiale rapporto con le persone

Avere persone che ci accolgono e ci vogliono bene è qualcosa che dipende da noi molto più di quanto non si pensi. Ciò avviene nella misura in cui facciamo attenzione ad alcune condizioni particolari. Ne richiamo qualcuna.

Personalità sufficientemente matura ed equilibrata
Si intende con questa espressione un “normale funzionamento psichico”. Esso comporta diversi aspetti e qualità che possono essere progressivamente migliorati tramite un paziente e costante impegno di lavoro su se stessi (ascesi). Essi sono come condizioni di base che rendono possibile un incontro positivo con gli altri. Se ne possono citare alcune come esempio:
comprensione di sé (capacità di essere in contatto con i propri vissuti),
sicurezza emotiva e accettazione di sé,
percezione realistica di sé e della realtà in genere,
progressivo superamento dell’atteggiamento egocentrico (narcisismo) e tolleranza delle frustrazioni,
accettazione della realtà.
Alcuni processi che non favoriscono, invece, un sereno e cordiale rapporto interpersonale possono essere: tendenza accentuata alla negazione e alla razionalizzazione, fuga dalla realtà, impulsività incontrollata, bisogno compulsivo (cioè incontrollabile) di approvazione, accentuato narcisismo, tendenza ad una visione negativa di sé.

Cura della vita interiore

La relazione con l’altro è arricchente e gratificante nella misura in cui siamo persone interiormente ricche e sensibili. Il nostro andare incontro alle persone deve nascere da motivazioni nobili e valide; non deve nascere da un bisogno compulsivo di contatti umani, né dalla paura della solitudine, né dall’ansia, né da vanità o egoismo, ma da un cuore buono e sensibile, desideroso di dare e ricevere. Occorre ritrovare continuamente l’interiorità se si vuole che le nostre relazioni siano ricche e significative per sé e per gli altri. Afferma J. Ratzinger: «La capacità di interiorità, una maggiore apertura dello spirito, uno stile di vita che sappia sottrarsi a quanto è chiassoso e invadente devono tornare ad apparirci méte da annoverare tra le nostre priorità… Siamo onesti: oggi vi è un’ipertrofia dell’uomo esteriore e un indebolimento preoccupante della sua energia interiore» . Tutto ciò rappresenta una premessa indispensabile per sottrarsi alla banalità di tante conversazioni, alla insignificanza e alla superficialità di tanti incontri, al parlare vuoto e al pettegolezzo . È sempre attuale l’ammonimento biblico: “Tra gli insensati non perdere tempo, tra i saggi invece fermati a lungo” .

Darsi del tempo
Evitare che la nostra vita assuma un ritmo frenetico e rallentare il ritmo della propria esistenza, darsi del tempo ci mettono in condizione di essere più attenti alle persone, disponibili ad ascoltare (cosa piuttosto rara…). Ciò suppone la capacità di stabilire priorità nella nostra vita, programmare con intelligenza le nostre attività, considerare l’attenzione e il rispetto delle persone come valore primario. «Viviamo in una società in cui ogni spazio, ogni momento sembra debba essere “riempito” da iniziative, da attività, da suoni; spesso non c’è il tempo neppure per ascoltare e per dialogare… Non abbiamo paura di fare silenzio fuori e dentro di noi» . Silenzio, solitudine, quiete: sono altrettante vie per penetrare in quella profondità che chiamiamo anima e sono premesse perché l’incontro umano si faccia comunicazione profonda, condivisione di vita, sensibilità e delicatezza.
«È in un’atmosfera di lentezza che si elaborano le emozioni calme che penetrano nell’anima e la fanno espandere» . Un modo di voler bene alle persone che amiamo è anche questo: essere noi stessi un po’ più calmi e tranquilli, ricordando quanto troviamo nell’Imitazione di Cristo: «L’uomo di pace è più utile dell’uomo di molta dottrina» .

La relazione con Dio
Il dialogo con Dio arricchisce la nostra vita spirituale e di conseguenza anche il nostro dialogo con le persone. Un antico monaco, Doroteo di Gaza, ha questa suggestiva intuizione: «Pensate a un cerchio tracciato per terra. Il cerchio è il mondo e il centro è Dio. I raggi sono le vie degli uomini: quanto più essi avanzano, tanto più si avvicinano a Dio e più si avvicinano anche tra di loro. E viceversa». E Ravasi così commenta: «Quanto più gli uomini si avvicinano a Dio, tanto più diventano solidali tra loro, e quanto più si stringono nell’amore tra loro, tanto più scoprono Dio vicino» . Si tratta, quindi, di coltivare «uno sguardo contemplativo. Questo nasce dalla fede nel Dio della vita, che ha creato ogni uomo facendolo come un prodigio... È lo sguardo di chi vede la vita nella sua profondità, cogliendone le dimensioni di gratuità, di bellezza, di provocazione alla libertà e alla responsabilità. E’ lo sguardo di chi non pretende di impossessarsi della realtà, ma la accoglie come un dono, scoprendo in ogni cosa il riflesso del Creatore e in ogni persona la sua immagine vivente... Questo sguardo non si arrende sfiduciato di fronte a chi è nella malattia, nella sofferenza, nella marginalità e alle soglie della morte; ma da tutte queste situazioni si lascia interpellare per andare alla ricerca di un senso e, proprio in queste circostanze, si apre a ritrovare nel volto di ogni persona un appello al confronto, al dialogo, alla solidarietà» .

Imparare dall’esperienza
Un criterio per renderci conto della qualità del nostro stile relazionale è anche questo: se le persone che ci vivono accanto si trovano abitualmente bene con noi. Pietro diceva a Gesù: “Tutti ti cercano” . La persona cresce e matura attraverso quello che quotidianamente può imparare dalla propria esperienza, anche nel campo delle relazioni interpersonali. Non è raro, ad esempio, il caso in cui qualcuno ci dà, in modo più o meno esplicito e diretto, delle “informazioni” su come si sente stando con noi (con battute, osservazioni, critiche…). Se vogliamo sfruttare questa fonte di informazioni è importante che evitiamo atteggiamenti difensivi quando ci vengono fornite e, anziché metterci a discutere o a trovare giustificazioni, cerchiamo di capire che cosa ci voglia dire, facendo ad esempio domande del tipo: “che cosa ti fa dire questo?”, “quando soprattutto hai questa impressione?”.

Da dove (ri)cominciare


Sentendoci stimolati e invogliati a migliorare il nostro modo di relazionarci con le persone, da dove cominciare o ri-cominciare?
Guardini ricorda un episodio personale: quando andavo ancora a scuola... una degnissima donna mi ha detto un giorno: «ricordati che c’è non solo il grande amore del prossimo, ma anche il piccolo! Per quello grande arriva senza dubbio il tempo, quando ci capiterà di dover aiutare qualcuno in un grande bisogno o di dover essere fedeli fra grandi difficoltà. Ma per quello piccolo il tempo c’è sempre, è l’amore di tutti i giorni. Si chiama cortesia» .
È utile parlare della cortesia, virtù tanto importante nella totalità dell’esistenza: essa rimanda a tanti piccoli gesti quotidiani, spesso inattesi quanto graditi, espressione della stima e del riguardo per la persona umana. Essa rende piacevole la convivenza umana e impedisce che essa si trasformi in lotta per l’esistenza: «un fare e rifare di continuo leggera la vita, la quale viene messa in crisi da tante e spesso così strane minacce: ecco la cortesia» . In un tempo come il nostro, tutto teso a “guadagnare tempo” e a tutto calcolare per ottenere il massimo di efficienza, è lecito pensare che qualche beneficio ne venga alla nostra esistenza, ma la cortesia rischia di morire. Essa, infatti, si accompagna a calma, valorizza ciò che può apparire superfluo e non funzionale, ama piccoli e discreti “cerimoniali”, non sopporta la frenesia.
La persona cortese rivolge lo sguardo sull’altro, ne coglie la sensibilità, ne conosce i bisogni e i desideri – come poeticamente dice Dante -, sa le sue paure e i suoi imbarazzi, conosce le stanchezze dell’altro e le rispetta. La cortesia è capace di prevenire, sorvola o ignora ciò che dispiace all’altro, crea spazio libero attorno a lui, lo difende da una vicinanza incombente; sa creare una giusta distanza senza che questa appaia distacco; si insinua con garbo e delicatezza nello spazio dell’esistenza altrui, ama sorprendere e seguire vie indirette. La cortesia non confonde familiarità con eccesso di confidenza (nel linguaggio come nei gesti) ed evita un egualitarismo che sa di indelicatezza e di scarso riguardo.
La cortesia è bella e ingentilisce la vita: è una specie di arte dei piccoli gesti. Virtù forse soprattutto femminile.

In conclusione: La capacità di un cordiale rapporto con le persone può essere frutto di buona educazione ma è – deve essere – anche conquista di chi ama coltivare se stesso. Occorre vigilare per non lasciarsi andare a poco a poco al ripiegamento su se stessi, magari per stanchezza o paura o delusione; occorre voler comunicare e superare le barriere che quotidianamente possono sorgere. Esiste il rischio che nelle comunità religiose come nei seminari si avverta una sensazione di estraneità reciproca e di diffuso individualismo, che riportano alla mente le parole di Pirandello (L’uomo solo): «E tanta era la loro solitudine, che, pur così vicini, parevano l’uno dall’altro lontanissimi».