“La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana” è il
tema del prossimo sinodo dei vescovi che si terrà dal 7 al 28 ottobre. Per
suscitare la discussione su questo argomento a livello di Chiesa universale sono
stati pubblicati i Lineamenta che il Segreteria generale del Sinodo ha
provveduto a distribuire agli organismi interessati perché possano promuovere la
riflessione nei singoli paesi (diocesi, parrocchie, congregazioni, movimenti,
associazioni, gruppi dei fedeli, ecc.) e far pervenire le risposte entro il 1°
novembre 2011.
Alla scelta di questo argomento si era giunti attraverso le risposte a una
richiesta del Segretario generale del Sinodo dei vescovi, mons. Nikola Eterović,
ai 13 Sinodi delle chiese orientali cattoliche sui iuris, alle 113 Conferenze
episcopali, ai 25 dicasteri della Curia romana e all’Unione dei superiori
generali, affinché segnalassero per iscritto tre temi di rilevante importanza
pastorale. La maggioranza degli episcopati aveva proposto la questione della
trasmissione della fede. A conferma di questo orientamento è venuta la decisione
del papa di erigere un nuovo organismo, ossia il pontificio Consiglio per la
promozione della nuova evangelizzazione (21 settembre 2010).
Rilancio della “nuova evangelizzazione”
«Sono stato trovato da quelli che non mi cercavano, mi sono manifestato a quelli
che non chiedevano di me» (Rm 10, 20): in questo versetto dell’apostolo Paolo si
condensano le ragioni della prossima Assemblea generale. In un periodo così
differenziato di cambiamenti e trasformazioni è utile per la Chiesa istituire
spazi di ascolto e di confronto reciproco, affinché l’esercizio del
discernimento, che siamo chiamati a vivere, si mantenga a un livello alto di
qualità.
Chiudendo i lavori dell’Assemblea speciale del Sinodo dei vescovi per il Medio
Oriente, (10-24 ottobre 2010), Benedetto XVI aveva messo il tema della nuova
evangelizzazione al primo posto nell’agenda della Chiesa. «Spesso è stato
evocato l’urgente bisogno di una nuova evangelizzazione anche per il Medio
Oriente… Per questo… ho deciso di dedicare la prossima Assemblea generale
ordinaria, nel 2012, al seguente tema: Nova evangelizatio ad christianam fidem
tradendam – La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana».
D'altronde, dal Vaticano II la nuova evangelizzazione si è proposta con sempre
maggiore lucidità come lo strumento grazie al quale misurarsi con le sfide di un
mondo in trasformazione, e come la via per vivere l’essere radunati dallo
Spirito Santo per fare esperienza del Dio Padre, testimoniando e proclamando a
tutti la Buona Notizia di Gesù Cristo. «Potremo noi salvarci se, per negligenza,
per paura, per vergogna – ciò che s. Paolo chiamava “arrossire del Vangelo” – o
in conseguenza di idee false, trascuriamo di annunziarlo?». La domanda con cui
si chiude l’Evangelii nuntiandi aiuta a puntare sulla centralità del compito
dell’evangelizzazione: questa è la via per interrogarci oggi sulla qualità della
nostra fede, sul modo di essere discepoli di Gesù inviati ad annunciarlo al
mondo e di vivere la chiamata a fare discepoli persone da tutte le nazioni (cf.
Mt 28, 19s). Si tratta di una domanda della Chiesa su di sé che le fa cogliere
il fatto che il problema dell’infecondità dell’evangelizzazione è un problema
ecclesiologico che riguarda la capacità o meno della Chiesa di configurarsi come
vera comunità fraterna, corpo e non macchina o azienda.
Introdotto da Giovanni Paolo II durante il suo viaggio apostolico in Polonia, il
termine “nuova evangelizzazione” è stato da ripreso e rilanciato soprattutto nei
discorsi alle chiese di America Latina: «La commemorazione del mezzo millennio
di evangelizzazione avrà il suo pieno significato se sarà un impegno vostro come
vescovi, assieme al vostro presbiterio e ai vostri fedeli; impegno non certo di
ri-evangelizzazione, bensì di una nuova evangelizzazione. Nuova nel suo ardore,
nei suoi metodi, nelle sue espressioni».
Una Chiesa fatta di “cortili dei Gentili”
Questo concetto di “nuova evangelizzazione” è stato rilanciato anche nelle
Assemblee sinodali continentali in preparazione al Giubileo del 2000 e diventa
sinonimo di rilancio spirituale, avvio di percorsi di discernimento dei
mutamenti, rilettura della memoria di fede, assunzione di nuove responsabilità
ed energie in vista di un annuncio contagioso del Vangelo.
Per scacciare ogni timore di favorire in tal modo uno strisciante proselitismo,
è intervenuto il papa nel suo viaggio nella Repubblica Ceca: «Mi viene qui in
mente la parola che Gesù cita dal profeta Isaia, che cioè il tempio dovrebbe
essere una casa di preghiera per tutti i popoli. Egli pensava al cosiddetto
cortile dei gentili, che sgomberò da affari esteriori perché ci fosse lo spazio
libero per i gentili che lì volevano pregare l’unico Dio, anche se non potevano
prendere parte al mistero, al cui servizio era riservato l’interno del tempio…
Io penso che la Chiesa dovrebbe anche oggi aprire una sorta di “cortile dei
gentili” dove gli uomini possano in una qualche maniera agganciarsi a Dio, senza
conoscerlo e prima che abbiano trovato l’accesso al suo mistero, al cui servizio
sta la vita interna della Chiesa».
La nuova evangelizzazione è dunque un’attitudine, uno stile audace che permette
di leggere e decifrare i nuovi scenari per trasformarli in luoghi di
testimonianza e di annuncio del Vangelo. Scenari nuovi individuati e descritti
più volte: si tratta di scenari sociali, culturali, economici, politici,
religiosi. Lo strumento della nuova evangelizzazione deve aiutare a superare il
livello emotivo del giudizio difensivo e di paura, per cogliere in modo
oggettivo i segni del nuovo insieme. Questa è la forma che il “martirio”
cristiano assume nel mondo d’oggi, accettando il confronto anche con recenti
forme di ateismo aggressivo o di secolarizzazione estrema, il cui scopo è
l’eclissi della questione di Dio dalla vita dell’uomo.
Ripartire dal primo annuncio
La “nuova evangelizzazione” in questo contesto chiede di saper discernere i
segni dello Spirito all’opera in vista di una fede adulta e consapevole. Oltre
ai gruppi di recente nascita, un grande compito spetta alla vita consacrata
nelle antiche e nuove forme: infatti tutti i movimenti di evangelizzazione nei
duemila anni di cristianesimo sono legati a forme di radicalismo evangelico. In
questo contesto va inserito il dialogo con le grandi tradizioni religiose, in
particolare orientali.
Queste nuove condizioni della missione ci fanno intuire il bisogno di un lavoro
di costruzione di un nuovo modello di essere Chiesa, che eviti il settarismo e
la “religione civile”, e permetta in un contesto post-ideologico di continuare a
delineare il volto di Chiesa “domestica, popolare”. Nessuno è fuori da un simile
programma: le antiche chiese cristiane con il problema del pratico abbandono
della fede da parte di molti; le nuove chiese alle prese con percorsi di
inculturazione che chiedono verifiche per aprirle alla novità del Vangelo; tutte
le comunità cristiane impegnate nell’esercizio di una cura pastorale sempre più
difficile da gestire e incapace di comunicare le ragioni per le quali è nata.
Ebbene, trasmettere la fede significa creare in ogni luogo e in ogni tempo le
condizioni perché avvenga l’incontro tra gli uomini e Gesù Cristo. La Chiesa
stessa prende forma a partire dalla realizzazione di questo compito di annuncio
del Vangelo. Assunto a pieno titolo nel lavoro di riprogettazione in atto degli
itinerari di introduzione alla fede, il primo annuncio si dirige ai non
credenti, a quelli che vivono nell’indifferenza religiosa. Esso ha la funzione
di annunciare il Vangelo e la conversione, in genere, a coloro che tuttora non
conoscono Gesù Cristo. La catechesi, distinta dal primo annuncio del Vangelo,
promuove e fa maturare questa conversione iniziale, educando alla fede il
convertito e incorporandolo nella comunità cristiana.
L’oblio del discorso su Dio si può trasformare così in un’occasione di annuncio
missionario. La vita quotidiana deve suggerirci dove identificare quei “cortili
dei gentili” entro i quali le parole cristiane diventano udibili e significative
per l’umanità. E proprio la necessità di un discorso su Dio porta come
conseguenza la necessità di un discorso sull’uomo: esiste infatti un vincolo
forte tra iniziazione alla fede ed educazione. E qui sta l’emergenza educativa:
non siamo più capaci di offrire alle nuove generazioni quanto è nostro compito
trasmettere loro. L’emergenza educativa fa perciò crescere la domanda di
educatori che sappiano essere testimoni credibili di valori su cui si può
fondare l’esistenza personale e il progetto della società umana. La Chiesa
possiede in merito una grande tradizione di scuole, istituti d’educazione,
risorse pedagogiche, persone specializzate, vari ordini religiosi maschili e
femminili, in grado di offrire una presenza significativa nel mondo della scuola
e dell’educazione. Dopo un appropriato discernimento di tale realtà, la Chiesa è
chiamata a riportare come dono alla società questa sua tradizione educativa,
trovando il suo posto nello spazio pubblico, riproponendovi la questione di Dio,
fondamento di ogni educazione cristiana.
Alla luce di tutto ciò, il Documento preparatorio del Sinodo conclude affermando
che «la nuova evangelizzazione è soprattutto un compito e una sfida spirituale.
È un compito di cristiani che perseguono la santità». Per questo motivo è utile
riproporre alcune domande dei Lineamenta che esigono dalla VC risposte nuove,
esaurienti e stimolanti.
La presenza di istituzioni cattoliche nel mondo della scuola come aiuta a
rispondere a questa sfida? In che modo queste istituzioni riescono ad avere voce
dentro la cultura e la società? In che modo le grandi istituzioni culturali
(università cattoliche, centri culturali, centri di ricerca) che la storia ci ha
lasciato in eredità riescono a prendere la parola nei dibattiti che interessano
i valori fondamentali dell’uomo (difesa della vita, della famiglia, della pace,
della giustizia, della solidarietà, del creato)? Quanto queste istituzioni
riescono a immaginarsi… come luoghi in cui i cristiani vivono l’audacia di
imbastire forme di dialogo che intercettino le attese più profonde degli uomini
e la loro sete di Dio; e di porre dentro questi contesti la domanda su Dio?
In che modo questo accento della “nuova evangelizzazione” ha aiutato la
revisione e la riorganizzazione dei percorsi di formazione dei candidati al
presbiterato? Come le diverse istituzioni deputate a questa formazione (seminari
diocesani, regionali, gestiti da ordini religiosi) hanno saputo rileggere ed
adeguare le loro regole di vita a questa priorità?