Da tempo, almeno in seno all’Unione dei superiori generali (USG), stava
maturando l’idea di un confronto sulla teologia della vita religiosa apostolica
(VRA). Dall’idea si è passati ai fatti con il seminario teologico “Identità e
specificità della VRA”, svoltosi a Roma, presso il centro di spiritualità della
Compagnia di S. Teresa di Gesù, dal 7 al 12 febbraio u.s. Promotrici
dell’iniziativa sono state le due Unioni dei superiori e delle superiore
generali (USG-UISG), gli stessi organismi che nel novembre del 2004 avevano
organizzato congiuntamente il congresso internazionale “Passione per Cristo.
Passione per l’umanità”. Non è un caso, se, in questo seminario, è stato
espressamente evocato più volte, quasi a sottolinearne una ideale continuità,
proprio quel congresso.
Il seminario teologico ha avuto, in ogni modo, una sua specifica ragion
d’essere, anche se è vero che al termine dei lavori, forse, molti si attendevano
qualcosa di più sulla specificità teologica della VRA. Fin dal suo saluto di
benvenuto, però, il presidente USG, don Pascual Chavez, aveva messo le mani
avanti: «Non attendiamoci, ad ogni costo, delle conclusioni premature». È solo
un «punto di partenza, non un punto di arrivo», gli aveva fatto eco il
segretario p. David Glenday. È questa la ragione per la quale, al termine dei
lavori, non ci sono stati documenti conclusivi. Le varie suggestioni emerse
dalle quattro relazioni di fondo, da tutta la serie di comunicazioni, dai
confronti ai tavoli di lavoro, dai vari gruppi di studio e dalle quotidiane
assemblee generali serviranno, invece, come punto di partenza della prossima
assemblea di maggio dell’USG per un confronto più aperto con tutti i superiori
generali (e nella prima giornata anche con una rappresentanza di superiore
generali) sulle tematiche di questo seminario .
La sfida della globalizzazione
Il primo relatore a prendere la parola è stato il superiore generale dei Verbiti,
p. Antonio Pernia. Gli era stato chiesto di affrontare il tema delle sfide e
delle opportunità per la VR provenienti dal mondo e dalla Chiesa di oggi. La
sfida più grande, ha esordito, è quella della globalizzazione, che sta oggi
imponendo «un sistema economico, un’ideologia politica, una visione filosofica,
un sistema di valori culturale e una mentalità “religiosa” comune o uniforme».
Inevitabili le ripercussioni sulla VR soprattutto europea e nord americana. I
dati più evidenti del preoccupante stato attuale della VR, sono quelli
dell’inarrestabile diminuzione dei religiosi/e da una parte, e della percezione
di una sempre più evidente irrilevanza della loro vita dall’altra. Il diffuso
pessimismo sul futuro della VR, accompagnato spesso dalla convinzione che ormai
i religiosi «appartengono al passato, mentre il futuro appartiene ai nuovi
movimenti laicali», non è un fatto incoraggiante. Certi tentativi, inoltre,
tendenti, più o meno inconsciamente, ad “addomesticare” la VR, considerando i
religiosi come una semplice “forza lavoro” o come “dipendenti” della Chiesa
gerarchica, vanno, ahimè, nella stessa direzione. Così facendo, purtroppo si
rischia di svuotare la VC del suo carattere specifico di “dono carismatico” e di
“voce profetica” nella Chiesa.
Perché meravigliarsi, allora, di una caduta in verticale dell’importanza che la
VR sta subendo nelle società avanzate dell'Europa occidentale e del Nord
America? Questa crisi, però, che presto potrebbe raggiungere le sponde
dell’Africa e dell’Asia, è aggravata dal processo di de-occidentalizzazione
della Chiesa. Da tempo è in atto lo spostamento del “centro di gravità” di tanti
istituti religiosi dal Nord al Sud. La crescente multiculturalità delle comunità
religiose incide anche senza volerlo sulla vita di preghiera, sulla vita
comunitaria, sull’uso del denaro, sulla interpretazione vissuta dei voti!
Infatti, cosa può significare la povertà volontaria, «quando uno è costretto a
vivere in condizioni di povertà tutta per tutta la vita… oppure quando trova più
soldi o comfort nella comunità religiosa che non nella sua famiglia o nel suo
villaggio?». Cosa significa l’obbedienza quando si appartiene a una cultura in
cui «una persona non può mai decidere da sola… o quando è culturalmente
incarnata l’obbedienza ai propri anziani?».
Da tempo, inoltre, l’Europa, è sempre meno la fonte primaria delle vocazioni
missionarie. L’immagine del «missionario bianco che va in terre lontane ad
evangelizzare e a vivere tra gli indigeni», è sempre più lontana dalla realtà.
Mentre oggi si parla di missione vera e propria in tutti e cinque i continenti,
nello stesso tempo sono sempre più attuali certi interrogativi che p. Pernia ha
sentito il dovere di porre ai suoi ascoltatori: «Cosa significa inviare
missionari provenienti da paesi non cristiani, come l’India o l’Indonesia, nei
paesi cattolici, ad esempio, come l’America Latina? Questi missionari non
dovrebbero rimanere piuttosto nel proprio paese e evangelizzare lì le “genti”,
invece di correre a riempire le parrocchie cattoliche in America Latina? Che
cosa c’è di veramente nuovo in questo fenomeno? Non stiamo forse semplicemente
sostituendo il personale missionario europeo con i missionari asiatici o
africani, mentre le modalità con cui si svolge missione restano sostanzialmente
quelle di sempre?».
Le principali opportunità
A fronte di tutte queste sfide, le principali opportunità che la situazione
odierna può offrire alla VR sono soprattutto quelle della interculturalità
all’interno degli istituti religiosi, della collaborazione inter-congregazionale
e del crescente coinvolgimento di un laicato sempre più preparato e motivato.
La semplice presenza o la pacifica coesistenza di membri di diverse nazionalità
e culture all’interno di una congregazione o di una comunità, non può certamente
bastare. Una vera comunità interculturale è tale quando interagiscono tre
aspetti essenziali: il reale riconoscimento e la concreta visibilità delle
“altre” culture, il rispetto delle differenze culturali e non l’assorbimento
delle culture minoritarie nella cultura dominante, infine, la promozione di una
sana interazione tra le diverse culture con un reciproco arricchimento delle une
nei confronti delle altre.
L’interculturalità, come la collaborazione tra congregazioni diverse e quella
tra le congregazioni e i laici, oggi non sono semplicemente una “strategia”
missionaria. È una esigenza irrinunciabile di fronte alla piena consapevolezza
del fatto che essere missionari oggi, significa «condividere la missione di Dio
con tutti gli altri che sono chiamati da Dio allo stesso modo». La
collaborazione, quindi, è la “vera essenza” della missione. «Collaboriamo l'un
l'altro non solo perché vogliamo essere più efficaci nella missione, ma, prima
ancora, perché (siamo) convinti che l’agente primario della missione è lo
Spirito di Dio».
Anche qui, però, sorgono nuove domande con le quali il relatore, concludendo, ha
voluto sollecitare il dibattito tra i suoi ascoltatori: «La VR appartiene alla
dimensione “carismatica” piuttosto che alla dimensione “gerarchica” della
Chiesa? Le “nuove comunità” possono rappresentare uno sviluppo genuino di VR
oggi? Fino a che punto il cambiamento di paradigma della missione, da missio
Ecclesiae a missio Dei, riesce a incidere concretamente nella VR di oggi? Di
fronte alle nuove esigenze della società odierna, dove dovrebbero realmente
ri-situarsi i religiosi?». Ancora: «L’attuale teologia dei consigli evangelici,
pensando soprattutto all’emergere delle culture non occidentali (in particolare
dell'Africa e dell'Asia), è ancora adeguata ed appropriata oggi? Quali nuove
interpretazioni dei consigli evangelici emergono dalle crisi ecologiche,
finanziarie, politiche e dagli abusi sessuali del nostro tempo? In che modo,
soprattutto i giovani possono incontrare Dio? Che cosa significa il fenomeno dei
“credenti senza appartenenza” nella VR? Un carisma religioso può essere vissuto
oggi senza una consacrazione religiosa per tutta la vita?
Consapevolezza storica e vita religiosa
Anche alla teologa statunitense Mary Maher, superiora generale delle suore di
Notre Dame, era stato chiesto di mettere in evidenza le principali acquisizioni
nella teologia della VRA e le non poche questioni ancora aperte. Lo ha fatto, ha
detto espressamente, «in veste di superiora generale che è anche teologa, e non
il contrario». Augurandosi di poter dare un contributo significativo ai lavori
del seminario, ha iniziato il suo intervento ricordando che anche in una
questione così delicata come la teologia della VCA – una “realtà derivata”
rispetto alla teologia di Dio e dell'azione di Dio nella storia, della
cristologia, della teologia del mondo, della ecclesiologi, della teologia della
missione, della “sequela Christi” nella teologia biblica e nella spiritualità -
è di fondamentale importanza il punto di partenza. «Credo, ha detto a questo
riguardo, che la VRA sia una vocazione ecclesiale» e non una questione di ordine
giuridico o di semplice collocazione dei religiosi nel contesto delle diverse
vocazioni nella Chiesa. Per tutta una serie di ragioni (non solo ecclesiali, ma
anche culturali, sociali e politiche), non si è ancora giunti ad una chiara
definizione di VRA , specialmente per le donne.
La dinamica dell’essere chiamati e inviati, che potrebbe sembrare specifica dei
religiosi, è propria della vita di tutti i cristiani battezzati. È la dinamica
propria della Chiesa. Questa, infatti, «è il popolo radunato, strutturato,
animato dallo Spirito Santo e inviato ad annunciare la Buona Novella al mondo
intero». Nessuno dei due poli della communio e della missio è più importante
dell'altro. L’uno non può esistere o funzionare senza l'altro. Questi due
concetti, però, hanno assunto storicamente connotazioni diverse. Ed è proprio
questo riferimento alla storia che consente alla relatrice di parlare di una
“chiave” del tutto particolare per capire e chiarire l’identità della VRA nella
Chiesa e nel mondo oggi. È la chiave della “consapevolezza storica” propria
dell’epoca moderna e postmoderna con tutte le sue “enormi implicazioni” sulla
teologia, la vita, la preghiera e la prassi non solo della Chiesa, ma anche
della VRA. Questa, infatti, «è inestricabilmente connessa con il modo in cui la
Chiesa comprende se stessa e la sua missione, la sua evangelizzazione e il
nucleo centrale della sua fede nel potere salvifico della vita, morte e
resurrezione di Cristo». Il sapersi appropriare di tutto questo in maniera
storicamente consapevole, è una sfida fondamentale per la Chiesa e per il
presente e il futuro del ministero dei religiosi apostolici nel mondo. Lo aveva
chiaramente compreso Paolo VI quando, nella Evangelica Testificatio, si era
posto l’interrogativo bruciante del come far penetrare il messaggio evangelico
nel mondo. «Cari religiosi e religiose, secondo le modalità che la chiamata di
Dio richiede dalle vostre famiglie spirituali, voi dovete seguire con occhi bene
aperti le necessità degli uomini, i loro problemi, le loro ricerche,
testimoniando in mezzo a loro, con la preghiera e con l’azione, l’efficacia
della buona novella d’amore, di giustizia e di pace... Una tale missione, che è
comune a tutto il popolo di Dio, è vostra ad un titolo particolare» (52).
Questo appello implica necessariamente che anche la VRA sia chiamata ad aiutare
la Chiesa ad affrontare le esigenze del mondo contemporaneo, i grandi bisogni
dell’umanità di oggi. «Quanto inchiostro è stato versato sulla questione se la
VRA sia una vita vissuta ai margini o nel cuore della Chiesa!». Non potrebbe
darsi che proprio dal cuore della Chiesa i religiosi apostolici siano inviati
“ai margini”, “in prima linea”, sugli “avamposti” di una Chiesa che,
diversamente, come aveva affermato Benedetto XVI in Portogallo nel maggio del
2010, potrebbe rischiare anche di morire?
Nuove prospettive teologiche
Partendo da Paolo: «È stato Dio infatti a riconciliare a sé il mondo in Cristo»
(2 Cor. 5,19), Mary Maher si è soffermata su quattro elementi significativi
senza i quali «non ci può essere un adeguato fondamento teologico per la VRA
oggi». Anzitutto c’è sempre più bisogno di prospettive teologiche sulla storia.
«Ritengo che tra il mondo contemporaneo e la prospettiva della tradizione di
fede che ci sta a cuore sia possibile una relazione reciprocamente critica e
illuminante insieme». In una teologia “realmente” cattolica dovrebbe esistere
sempre una stretta correlazione con il mondo contemporaneo. «Ciò che viene
scoperto in una relazione reciprocamente critica illumina entrambe le realtà,
genera nuove intuizioni e invita a convertirsi a nuovi modi di pensare e di
agire. Io credo che sia sempre stato così e credo che sarà così anche per noi
oggi».
In questa correlazione, i religiosi apostolici sono «chiamati da Dio a seguire
Gesù Cristo». La VR, infatti, consiste nell’essere «afferrati” dal Dio vivente.
«Diventiamo religiosi perché Dio ha preso possesso di noi in un modo così
misterioso e affascinante che non possiamo fare altro che rispondere con tutta
la nostra vita. Se mettiamo al primo posto qualcosa di diverso da questo, non
stiamo parlando della VRA». Questa, infatti, «consiste principalmente
nell’essere chiamati, attirati, attratti dal Dio vivente per seguire Gesù Cristo
in una comunità di discepoli che sono inviati nel mondo per servire e operare
nel suo nome».
Grazie al contributo degli studi biblici si è progressivamente passati da un
modello “astorico” (contrassegnato dalla enfatizzazione della trascendenza e
della santità di Dio e dell’imitazione delle virtù di Cristo), a un modello
“storico” di santità incentrato sulla vita e sul ministero di Gesù. Lo studio
biblico, in questo senso, ha dischiuso una “ricchezza enorme” sia per la
preghiera che per la varietà di ministeri, permettendo alla Chiesa di parlare
della “opzione preferenziale per i poveri" e dell’azione in favore della
giustizia come “costitutiva del Vangelo”. In maniera ancora più profonda, questo
modello storico «ci ha offerto una comprensione percettiva del significato della
morte e della risurrezione di Gesù Cristo, non come qualcosa di astratto, voluto
da Dio fin dall'eternità, ma come generato da decisioni concrete e dai
comportamenti della sua vita».
Altro elemento significativo del quadro teologico per la VRA è quello della
necessità di solide prospettive teologiche sulla situazione del mondo di oggi.
C’è bisogno, cioè, di comprendere il perché non si debba più “fuggire dal
mondo”. È fuori dubbio, osserva Maher, che negli ultimi decenni si è verificata
«una grande crescita nella preghiera, nella professionalità, nello sviluppo
umano e nel fare propria la chiamata del Vangelo». Non sono sicuramente mancati
errori e “vicoli ciechi” nel rapportarsi in modo diverso con il mondo. Ma
proprio per questo si avverte il costante bisogno di una conoscenza più
approfondita, anche a livello teologico, «della situazione mondiale in cui siamo
chiamati ad operare». Non è difficile trovare in molte comunità religiose
attuali prospettive pre-moderne, moderne e postmoderne.
Il mondo occidentale odierno viene spesso descritto come "incontrollabile",
"imprevedibile", "caotico", "pluralista", "relativistico" o addirittura
"insignificante". Ai livelli più profondi della spiritualità «siamo sfidati ad
avere il coraggio di abbracciare il futuro a cui Dio ci chiama nonostante
l’incertezza irrisolvibile e la comprensione parziale della nostra situazione
nel mondo. “Rischiare nella speranza” è davvero un percorso “postmoderno” verso
la santità».
Insieme ad una nuova riflessione teologica sul mondo attuale, s’impone anche
l’esigenza di una nuova e più approfondita teologia della missione. Grazie
soprattutto al Vaticano II, la missione, più che un’attività della Chiesa, è
vista come un attributo di Dio. «È nella natura di Dio essere missionario,
essere in relazione, per effondere l'amore». Conseguentemente la Chiesa, in
quanto partecipa alla “missio Dei”, «esiste perché esiste la missione, non
viceversa». La chiesa, in altre parole, «è parte della missione di Dio nel
mondo, ma non è tutta l’opera di Dio nel mondo». Qui, però, ha concluso Maher,
si entra «nel cuore della nostra fede e del nostro essere. Lo Spirito Santo
continua in ogni tempo ad aiutare la Chiesa a scoprire, apprezzare e vivere la
sua profondità».
L’opzione preferenziale per i poveri
Il terzo contributo sulla teologia della VRA è stato quello di Camilo Maccise,
ex superiore generale dei carmelitani scalzi ed ex presidente USG.
Impossibilitato a partecipare ai lavori a causa delle cagionevoli condizioni di
salute, ha demandato la presentazione della sua relazione al confratello p.
Miguel Marquez, provinciale spagnolo di Castiglia. Camilo Maccise è sicuramente
un’autorevole “memoria storica” delle vicende più significative della VC di
questi ultimi decenni. Nessuno meglio di lui, forse, poteva parlare delle
acquisizioni, dei fondamenti teologici e, soprattutto, dello sviluppo storico
della VRA. Sapendo quanto possono incidere le circostanze storiche sullo
sviluppo della riflessione teologica, non dovrebbe sorprendere il fatto che vi
siano state anche “diverse teologie” della VRA, inizialmente abbastanza
frammentarie e successivamente sempre più sistematiche: da Tommaso d’Aquino al
concilio di Trento, alla costituzione conciliare Lumen gentium, al congresso
internazionale del 1993, al sinodo del 1994 e alla relativa esortazione
apostolica Vita consecrata del 1996, al congresso internazionale del 2004.
Le conclusioni del congresso del 1993, osserva Maccise, hanno avuto un sicuro
influsso sul documento post-sinodale Vita consecrata. Proprio in quella
occasione, infatti, era stato detto con molta chiarezza che «il modello
tradizionale (di VC) sta attraversando una crisi. Il suo universo simbolico sta
scomparendo di fronte alla nuova cultura che si sta diffondendo e di fronte alle
culture straniere in cui si inserisce. La forma storica assunta fino ad ora
sembra ormai superata e vicina alla fine. Si mettono in discussione le sue
strutture, i suoi simboli, la sua teologia. Si intuiscono molte cose, ma non si
riesce a definirle. È necessario accogliere o ricreare un nuovo modello, che
ancora non esiste».
Grazie, comunque, a una cristologia rinnovata, si è giunti a individuare nella
sequela di Gesù «la possibilità e la necessità di unire mistica e profezia»,
sempre più convinti che «non si può trascurare la ricerca di Dio nell’orazione
come fonte e sostegno dell’azione apostolica». I religiosi evangelizzano
testimoniando la presenza di Dio nella storia attraverso una vera fraternità,
uno stile di vita più semplice e più vicino alla gente, nell’accoglienza
solidale e in un continuo esercizio di discernimento comunitario nella
preghiera.
La radicalità della consacrazione religiosa passa, soprattutto, attraverso la
riscoperta della dimensione apostolica dei voti. Il voto di povertà non porta
solo alla condivisione dei beni e a lavorare per la giustizia, ma vede nell’uso
dei beni materiali un possibile «luogo d’incontro con Dio e con i fratelli». La
castità consacrata al servizio del Regno, mentre annuncia l’alleanza liberatrice
tra Dio e l’umanità e la chiamata alla fraternità, nello stesso tempo «denuncia
tutto quanto si oppone alla solidarietà universale deformando il senso e le
esigenze dell’amore autentico». La stessa obbedienza religiosa, se vissuta nella
sua dimensione di ricerca comunitaria della volontà di Dio, può diventare una
via risolutiva nei rapporti umani «tra una libertà individualista ed un’autorità
totalitaria».
In questo modo i voti possono assumere una valenza profetica all’interno del
progetto di Dio, fino a riscoprire in maniera più convinta la dimensione
evangelica della opzione per i poveri, una opzione che va vissuta a partire da
quanti sono vittime, spesso, di una “povertà inumana”. Qualunque sia la loro
situazione morale e personale, come si legge nel documento di Puebla, «è sempre
l’immagine di Dio viene schernita”. Questa opzione solidale e non paternalistica
«dev’essere attuata da tutte le persone consacrate, qualsiasi lavoro svolgano».
Anche se non sempre è possibile un effettivo “inserimento” tra i poveri,
certamente, tutte però devono far propria l’opzione evangelica per i poveri.
Nel suo compito di evangelizzazione, la VCA deve saper affrontare alcune sfide
che hanno incidono, anche senza volerlo, sulla riflessione teologica».
L’impegno, ad esempio, per la giustizia e la solidarietà con i poveri, per
motivi evangelici, porta «a scoprire l’ingiustizia della società… e le cause
strutturali degli squilibri sociali». La povertà e l’ingiustizia appaiono sempre
più come il risultato delle “libere decisioni” di quanti emarginano le persone
mettendo al centro il guadagno economico, manipolando l’opinione pubblica e
chiudendo loro la via del “sapere”. Rientra nell’identità propria della VCA
“farsi voce di chi non ha voce”, aiutando i poveri e gli emarginati a prendere
coscienza della loro dignità.
Nella piena consapevolezza che l’opzione per la giustizia ha motivazioni
evangeliche, la VCA deve affrontare anche «la sfida dell’impegno socio-politico,
cercando, nello stesso tempo, di non assolutizzare idee o metodi o di essere
oggetto di strumentalizzazioni». Grazie alle tante riflessioni di questi anni, è
stato possibile individuare nuovi percorsi per un impegno autentico ed
evangelico. Naturalmente è importante distinguere tra politica in senso lato,
quella attenta al bene comune, ai valori fondamentali della giustizia, della
pace, dell’uguaglianza, della libertà, dei diritti umani, e politica di partito.
Solo nel primo caso si può parlare di “dimensione politica” dell’amore
cristiano, finalizzata alla trasformazione delle strutture ingiuste a favore
degli oppressi.
Deserto, periferie e frontiere
Grazie alla radicalità della sequela espressa anche nell’esercizio dei consigli
evangelici, i religiosi hanno sempre potuto garantire la loro presenza nel
deserto, lì dove non c’è nessun altro, nella periferia, lì dove non c’è nessun
potere ma solo impotenza, nella frontiera, lì dove i rischi di ogni genere sono
maggiori, spesso anche per l’immobilismo della Chiesa nel denunciare con maggior
energia le strutture di peccato.
Ancora nel 1997, in un congresso internazionale di giovani religiosi e
religiose, era stato direttamente affrontato il tema della inculturazione come
via privilegiata per salvaguardare l’unità nella diversità. In questi ultimi 30
anni, «abbiamo assistito ad un profondo cambiamento riguardo al tema della
cultura e della inculturazione, in relazione alla evangelizzazione e alla VR».
Lentamente, a partire dalla seconda metà degli anni settanta, «i concetti di
adattamento e di adeguamento del messaggio evangelico ai diversi popoli e
culture, sono stati sostituiti dal concetto di inculturazione». Nel
post-concilio si è, così, reso possibile, non senza difficoltà e tensioni, «il
cammino dell’unità nella diversità all’interno della Chiesa», un cammino che,
come è stato ripetutamente affermato nel sinodo sulla VC, ha direttamente
chiamato in causa i religiosi anche nel dialogo ecumenico ed interreligioso.
Altri importanti “segni dei tempi” che non possono non rientrare in una
rinnovata teologia della VCA sono quelli della condivisione del carisma con i
laici e della sempre più indispensabile intercongregazionalità fra i diversi
istituti religiosi. Grazie all’ecclesiologia conciliare si è compresa in maniera
sempre più chiara la complementarità delle differenti vocazioni nella Chiesa.
L’obiettivo fondamentale a cui tendere e che necessita di un’adeguata
formazione, sia dei religiosi che dei laici, è quello di una piena condivisione
del carisma, della spiritualità e della missione in piena corresponsabilità
ecclesiale come risposta alle attese del mondo.
Anche la mutua collaborazione fra i diversi istituti di VC, è un urgente
obiettivo tutt’altro che raggiunto. Alcune preziose linee guida a questo
riguardo erano già state chiaramente indicate da uno specifico documento ancora
del 1998. L’argomento è stato ripreso anche nei più recenti forum con i quali si
è voluta riaffermare l’esigenza della intercongregazionalità a partire sempre
«da una chiara identità carismatica di ogni istituto religioso». Da un punto di
vista prettamente teologico quest’auspicata collaborazione «affonda le sue
radici nel carisma comune ricevuto dallo Spirito per testimoniare ed annunciare
il Vangelo, lasciandosi contestualmente interpellare dalla società». Sarebbe
sicuramente più facile comprendere allora come tutti i carismi siano sempre
necessariamente a servizio della Chiesa e del mondo. È fondamentale sapere
sempre coniugare memoria e futuro. Una sapiente rilettura del passato e,
insieme, una non meno urgente visione di futuro del proprio carisma, ha concluso
Maccise, non potranno arricchire la riflessione teologica della vita religiosa,
in generale, e di quella apostolica, in particolare, assicurandole un “dinamismo
più efficace” in ordine al servizio che è chiamata ad offrire oggi sia alla
Chiesa che al mondo.
Teologia e nuove esperienze
Nell’articolazione dei temi di questo seminario teologico, era parso quanto mai
opportuno inserire anche una riflessione a tutto campo sulle nuove esperienze di
VCA. Lo ha fatto la teologa brasiliana Vera Ivanise Bombonatto, delle suore
paoline, secondo la quale l’attuale panorama di queste nuove realtà «si presenta
multiforme, complesso e poliedrico, rendendo quasi impossibile un’analisi
dettagliata». Esse, infatti, abbracciano una pluralità di gruppi religiosi
formati, spesso, da uomini e donne, coniugati e celibi, giovani e famiglie che,
almeno in Brasile dove se ne contano 500 circa, attualmente sembrano
attraversare una fase di grande sviluppo.
Tra i fattori che interagiscono fra loro non facilitando l’analisi di queste
nuove esperienze, la relatrice ha sottolineato, anzitutto, il loro carattere
teologale. Anche questi «sono luoghi della manifestazione di Dio, espressioni
della presenza dinamica dello Spirito che agisce nella storia e che, nella sua
libertà e bontà, suscita nuove forme di vita evangelica». Come tali, pertanto,
«non possono essere oggetto di un’analisi basata esclusivamente sui parametri
della logica umana». Inoltre è innegabile la varietà e insieme la diversità di
carismi, forme ed espressioni. Basti pensare a certe espressioni di forte
radicalismo, specialmente nel vissuto della povertà, di accentuate
manifestazioni di identità pre-conciliare, accompagnate dall’ostentazione di
segni esteriori quanto mai evidenti. Ciò che colpisce, comunque, ed è un
fenomeno senza eguali nella storia della VCA, insieme alla quantità, è anche una
data di nascita generalmente molto recente di queste realtà.
Sono la conferma della perenne novità dello Spirito che, nel corso dei secoli,
continua a suscitare nella Chiesa espressioni molteplici dell’unico comandamento
dell’amore. Quando si parla di una loro novità, più che alla comparsa di
esperienze che prima non esistevano, spesso ci si riferisce, invece, «alla
quantità, alle forme, alle diverse espressioni ed al grado di visibilità che
questo fenomeno assume in una società globalizzata e caratterizzata come la
nostra». Lo scenario pluralistico di queste nuove esperienze induce a pensare, a
volte, ad un “nuovo paradigma”, quasi fosse portatore di una nuova visione della
vita e del mondo. Imparare a convivere con queste nuove realtà può diventare non
solo «una sfida per la Chiesa, per il cristianesimo stesso, per la VC», ma anche
«un’importante provocazione per la riorganizzazione della nostra stessa vita
comunitaria». Anche la loro semplice presenza nella Chiesa e nella società di
oggi è un’ulteriore conferma di quello che la relatrice ha chiamato il paradigma
della complessità. Oggi «la società è in crisi, la Chiesa è in crisi, la VCA è
in crisi. I nostri problemi e le nostre sfide, le nostre insicurezze e le nostre
incertezze, le nostre utopie e le nostre conquiste non possono essere concepite
come se fossero separate l'una dall'altra».
A questo punto, però, potrebbe sorge una domanda: dal punto di vista teologico,
in rapporto alla VCA tradizionale, qual è la vera novità di queste nuove
esperienze? Vera Bombonatto ne enumera diverse. È fuori dubbio, anzitutto, una
loro forte esperienza spirituale, una relazione personale, comunitaria e
sacramentale con Dio, non immune, a volte, da una certa enfatizzazione delle
forme esterne, dalla lettura della Parola di Dio tendenzialmente
fondamentalista, da un culto mariano molto devozionale, da un comportamento
morale piuttosto rigido, particolarmente in tutto ciò che attiene alla
sessualità. Anche se non mancano, a volte, “reminiscenze medievali” nella loro
visibilità esteriore, il carisma, la spiritualità, la vita comune di queste
nuove esperienze conferiscono ai loro membri «un forte senso di identità e di
appartenenza».
Nuova autocoscienza ecclesiale
Esiste, inoltre, un nuovo modo di vivere la propria consacrazione religiosa,
grazie al quale ci si sente “riconosciuti” e facenti parte di un ben determinato
“gruppo”, che, mentre da una parte toglie dall’anonimato, dall’altra garantisce
una visibilità nella Chiesa e nella società. Una della più rilevanti novità,
però, è quella data dal fatto che «non si tratta di religiosi che professano i
voti, ma di laici, a volte di intere famiglie, che assumono l’impegno di vivere
l’obbedienza, in un mondo che esalta la libertà, la povertà, in una società
profondamente consumistica, la castità, in un tempo che predica l'erotismo e
l'individualismo». Il problema vero, semmai, è quello di preparare «persone
mature, capaci di assumere per tutta la vita gli impegni evangelici, senza
scoraggiarsi di fronte alle crisi personali e comunitarie».
Ai fini di una radicalità evangelica di queste nuove esperienze, è determinante
la figura del fondatore, solitamente un laico, visto come un leader carismatico
e profetico, ancora vivente nella maggioranza dei casi. Non c’è bisogno di
scomodare Max Weber per capire come tra il leader e la sua comunità circoli «una
linfa feconda intessuta di amore reciproco, grazie al quale la profezia impregna
il comportamento e spinge alla donazione totale della propria vita a favore
della missione».
In queste nuove fondazioni è presente, inoltre, una nuova autocoscienza
ecclesiale evidenziata, spesso, da una piena comunione tra «uomini e donne,
sacerdoti e laici che si uniscono e partecipano dello stesso carisma e della
stessa missione, realizzando la realtà battesimale». Tutti, anche se in grado
diverso, dice Bombonatto, non solo sono sacerdoti, profeti e re, ma, «cercano di
vivere questa ecclesiologia in strutture semplici ed essenziali, senza la
preoccupazione per la visibilità esteriore di case, mezzi ed opere». La
flessibilità l’agilità istituzionale, il forte senso comunitario con il primato
della comunione sul fare, il fervore missionario con il ricorso anche ai media
come strumenti di evangelizzazione, sono altri aspetti rilevanti nella vita di
queste nuove fondazioni.
Una maggior considerazione di quanto sta avvenendo in queste nuove esperienze,
potrebbe stimolare le congregazioni tradizionali a ripensare alcuni elementi
fondamentali della loro vita. «Il compito, ha concluso Bombonatto, è enorme e
solamente religiosi/e profondamente radicati in Dio Trinità, aperti all’azione
dello Spirito, consapevoli della propria vocazione, umanamente equilibrati,
professionalmente preparati, sensibili al grido dei poveri e capaci di donare la
vita fino al martirio, potranno collaborare perché la VCA viva una nuova
primavera».