La VC femminile degli Stati Uniti sta attraversando una fase difficile a motivo della visita apostolica intrapresa nel 2008 dal card. Franc Rodé ex prefetto della Congregazione per gli Istituti di vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica. Si tratta di un’indagine volta a verificare la “qualità di vita” delle religiose stesse, ma accolta dalla base con un certo disagio, e che recentemente p. Tobin, nuovo segretario della Congregazione in una intervista rilasciata a National National Catholic Reporter ha dichiarato di volerla condurre con la massima trasparenza. In questo contesto, merita particolare attenzione una ricerca condotta dal Center for Applied Research in the Apostolate (CARA) della Georgetown University sulle consacrate che hanno emesso la professione perpetua nel 2010.
 

Il rapporto CARA
“The Profession Class of 2010: Survey of Women Religious Professing Perpetual Vows”, è una inchiesta su base statistica commissionata dall’episcopato americano, nella fattispecie dal segretariato del Clero, della Vita Consacrata e delle Vocazioni, i cui risultati sono stati presentati alle superiore maggiori delle due conferenze di VC statunitense (Leadership Conference of Women Religious e Council of Major Superiors of Women Religious) lo scorso 2 febbraio.
Attualmente negli Stati Uniti vi sono circa 60.000 religiose per un totale di 583 congregazioni religiose. È stato chiesto a ciascuna superiora maggiore di fornire informazioni sullo stato anagrafico della propria congregazione, tramite mail. Contattate dal Centro di Ricerca CARA, hanno risposto 311 superiore maggiori. L’84% di loro ha dichiarato di non aver avuto nel 2010 nessuna professione perpetua, il 13% una, il 3% due o più. Il rapporto di fatto, riguarda 52 fra congregazioni e monasteri. In termini numerici, all’indagine hanno risposto praticamente 68 religiose professe di voti perpetui nel 2010, per una percentuale pari all’86%.

Il volto interculturale
L’età media delle professe perpetue si aggira attorno ai 43 anni, con un significativo ringiovanimento rispetto al 2009. Dal punto di vista etnico, l’identità segue la composizione della popolazione americana, ma con una lieve accentuazione per la provenienza asiatica (19%) e spagnola (10%). Il 71% delle professe sono native degli Stati Uniti, mentre il resto proviene da 18 diverse nazionalità (in particolare Messico, Filippine, Nigeria). La natura multietnica e multiculturale già in atto negli anni di formazione iniziale ci fa intuire come la VC futura non potrà non valorizzare con più determinazione il fenomeno interculturale, in tutti i suoi risvolti relazionali e religiosi.
Famiglia e consacrazione
Un aspetto importante per comprendere la natura e l’identità futura delle religiose è il loro background familiare: il 99% delle professe perpetue proviene da una famiglia con fratelli e sorelle (il 44% con 5 o più, mentre solo l’1% ha dichiarato di essere figlia unica). Dal punto di vista religioso, un’alta percentuale (87%) appartiene a famiglie cattoliche e il restante 13% ha le sue origini nella tradizione protestante (la cui “conversione” al cattolicesimo di solito è avvenuta nella maggiore età).
Le figure parentali sembrano aver avuto un ruolo di primo piano nel percorso di fede. L’81% delle professe ha affermato di avere genitori entrambi cattolici, il 9% solo la madre e il 4% solo il padre. Il rapporto annota come un piccolo ma significativo 6% non ha avuto genitori cattolici. In più, il 55% delle professe ha avuto nella propria famiglia un parente sacerdote o consacrato/a. Dal rapporto emerge come la scelta di consacrazione è segnata profondamente dal contesto familiare, specialmente là dove la famiglia ha più di un figlio e vi è la presenza di qualche parente già consacrato.

Gli ambienti educativi
Oltre la famiglia, scuola e parrocchia rappresentano due contesti insostituibili nel cammino vocazionale. Una novità riguarda il luogo e grado di istruzione. Metà delle intervistate ha compiuto le scuole elementari in una scuola cattolica (51%), il 25% ha frequentato le scuole superiori gestite da istituzioni cattoliche. Un quarto di loro possiede una laurea (26%). Ma accanto alla formazione scolastica, non secondario è il ruolo della parrocchia. Il 59% delle professe afferma di aver partecipato a programmi di educazione religiosa nella propria parrocchia e il 16% ha partecipato costantemente a cammini formativi volti ad assumere impegni ministeriali nella comunità parrocchiale o diocesana.
Tre riflessioni si impongono dalla lettura di questi dati. Il primo concerne il ruolo della scuola cattolica. Indubbiamente, accanto alla famiglia l’educazione cattolica americana possiede ancora un peso rilevante in materia di formazione e accompagnamento dei giovani e delle giovani e questo, nonostante i pesanti scandali sulla pedofilia che hanno sconvolto le comunità diocesane statunitensi. In secondo luogo il servizio della e nella parrocchia. Per le professe, la parrocchia rappresenta un formidabile strumento di formazione. Infine, è nell’ambito parrocchiale che per una buona percentuale di loro è iniziato il servizio pastorale, dimensione che diventa imprescindibile in molti istituti religiosi. Vi è un ulteriore elemento da non sottovalutare e che segnerà anche l’identità della VC statunitense nel suo futuro: l’alto grado di istruzione universitaria. Se questa tendenza diventerà ordinaria per le candidate alla VC, si potrebbe prospettare in un futuro prossimo una più accentuata valorizzazione di donne consacrate nelle istituzioni ecclesiali e formative. Con una positiva ricaduta su tutta la compagine ecclesiale.

Passi verso l’appartenenza
Prima di entrare in un istituto religioso, il 94% delle professe intervistate ha affermato di aver svolto un’esperienza di lavoro nei settori più disparati. La maggior parte di esse ha condotto esperienze lavorative nel campo educativo (16%) e nel mondo della salute come assistenti sanitarie (16%), ma l’elenco abbraccia un’estesa categoria di professioni che vanno dall’impiegata, all’assistente sociale a quella di avvocato, di operatrice finanziaria e di mansioni in ambito governativo.
A questo punto, sorge spontanea una domanda: perché e come le giovani hanno scelto di consacrarsi e appartenere a un istituto piuttosto che ad un altro? Il processo di avvicinamento e di scelta non è stato improvviso, ma è passato attraverso una serie di piccoli passi. Fra i più marcati sicuramente l’aver partecipato ad esperienze in gruppi giovanili o averne assunto la diretta responsabilità (38%), o il confronto con adulti in corsi di esercizi spirituali (30%); ma anche il servizio ai poveri come, per esempio, nella Società di San Vincenzo de’ Paoli, gioca un ruolo rilevante. L’85% delle religiose ha svolto un’esperienza ministeriale presso la propria comunità cristiana o in ambito liturgico (lettrici della Parola, coro, comunione ammalati) o nella catechesi, o nel servizio di carità. Il 15% di loro ha lavorato negli ospedali o nelle carceri. La scelta di consacrarsi si è sviluppata non solo operando nel sociale, ma dando spazio al silenzio.
La preghiera è una dimensione centrale nel cammino di discernimento. Il 74% delle professe ha ritenuto fondamentale la partecipazione a corsi di esercizi spirituali. Alcune esperienze di preghiera personale o di gruppo individuate dalle professe perpetue sono: il rosario (65%), l’adorazione eucaristica (64%) la direzione spirituale (57%) la pratica della lectio divina (25%). C’è da chiedersi come mai l’Eucaristia non rientra fra i pilastri della vita spirituale e la recita del rosario prevalga sull’ascolto della parola di Dio e la direzione spirituale.

Il desiderio di scegliere la VC


Il desiderio di vita consacrata mediamente sorge all’età di 20 anni. Nel prendere in seria considerazione la vocazione, per la stragrande maggioranza delle professe (87%) è stato essenziale l’incoraggiamento di qualche persona. Al primo posto stanno le consacrate dell’Istituto contattato (52%), seguono gli amici (44%), il parroco (39%). Con una notevole distanza si posizionano la madre (26%) e il padre (16 %). Il 66% delle professe sono state scoraggiate a considerare la vocazione, almeno una volta. I genitori rappresentano pure la principale fonte di scoraggiamento (51%).
Ma quando e come si viene a conoscenza dell’Istituto in cui ci si consacra? Metà delle suore intervistate hanno risposto di aver conosciuto la famiglia religiosa circa due anni prima del loro ingresso; il 24% un anno. Ciò è avvenuto grazie ad un sacerdote o al consigliere spirituale (33%). Per il 19% di loro il materiale informativo sull’Istituto, o il lavoro sponsorizzato o compiuto dall’Istituto (16%) hanno costituito un’importante fonte di informazione. Ovviamente, l’amicizia con una consacrata o lo stesso parente che appartiene all’istituto (16%) o la collaborazione nel lavoro (10%) sono ulteriori elementi di discernimento nella scelta di appartenenza. Le attività vocazionali invece sono state poco determinanti (7%) e gli incontri vocazionali pressoché inutili (1%).

Alcune conclusioni

Tutto questo che cosa può suggerire? Il rapporto CARA contiene indicazioni di grande interesse per superare l’attuale preoccupazione o affanno circa la crisi vocazionale che molti Istituti religiosi femminili e maschili stanno respirando. Come dimostra la testimonianza delle professe, l’aver incontrato consacrate realizzate e con una positiva percezione del proprio istituto è uno dei più fecondi stimoli vocazionali. Certamente anche la famiglia e le istituzioni educative hanno un ruolo altrettanto primario. Le persone consacrate non possono non entrare in relazione con le famiglie del proprio territorio. Per questo, più che di pastorale vocazionale si dovrebbe puntare maggiormente sull’accompagnamento della pastorale familiare e scolastica. Così pure isolarsi dal tessuto parrocchiale nuoce a una sana consapevolezza del nostro essere consacrati. Infine, si è visto come forti esperienze di preghiera (esercizi spirituali), proposte di cultura religiosa seria, impegno sociale e caritativo sono un traino per compiere scelte più radicali. In fondo, si tratta di credere con più convinzione a quanto già si sta facendo.