II 14 marzo del 1843 è nato a La Capelle, nel Nord della Francia, Leone Dehon, il fondatore (dal 1878) degli attuali 2200 dehoniani presenti in una trentina di province religiose dell'Europa, dell'America del Nord e dell'America Latina, dell'Africa, dell'Asia. Oggi c'è una ragione in più per ricordare questo anniversario. In una delle domande che Peter Seewald ha posto a Benedetto XVI nel recente libro-intervista "Luce del mondo”, anche senza nominarlo, c'è un esplicito riferimento proprio a p. Leone Dehon. Dopo aver ricordato che Benedetto XVI è stato il primo papa «a invitare un rabbino a parlare di fronte al sinodo dei vescovi» e prima di sottolineare come abbia «visitato più sinagoghe di qualsiasi altro papa» e come abbia riconosciuto, secondo quanto afferma il quotidiano "Süddeutsche Zeitung", «l'origine ebraica del cristianesimo come nessun altro papa prima di lui»; prima, ancora, di chiedere se il "primo atto" quale successore di Pietro, e cioè la sua lettera alla comunità ebraica di Roma, fosse «un gesto simbolico che voleva essere indicativo di una nota dominante del suo pontificato», Peter Seewal ricorda come Benedetto XVI abbia di fatto «sospeso il processo di beatificazione di un sacerdote francese al quale erano stati attribuiti discorsi antisemiti» .
Nella sua breve risposta, Benedetto XVI non accenna direttamente a nessuno dei singoli eventi evocati dall'intervistatore, men che meno alla sospensione del processo di beatificazione del sacerdote francese. Semplicemente si limita a ricordare come sin dagli anni della sua formazione teologica e soprattutto, dopo quanto accaduto nel Terzo Reich, non solo sia stato «spinto a guardare al popolo d'Israele con umiltà, vergogna e amore», ma anche come per il suo annuncio della fede cristiana fosse «essenziale questo intrecciarsi, amorevole e comprensivo, di Israele e Chiesa, basato sul rispetto del modo di essere dell'altro e della rispettiva missione».
Era troppo aspettarsi almeno una parola, da parte del papa, nei confronti di quel sacerdote francese di cui Giovanni Paolo II, ritornato alla “casa del Padre” il 2 aprile 2005, aveva già deciso il giorno nel quale lui stesso avrebbe presieduto il rito della beatificazione? Come ben sappiamo, proprio quel giorno, il 24 aprile 2005, piazza San Pietro era gremita di fedeli accorsi da tutto il mondo per la solenne celebrazione di inizio pontificato di Benedetto XVI.

Situazione ecclesiale non favorevole


Sono ormai passati più di quattro anni da quando, il 3 novembre 2006, il Segretario di Stato, il card. Tarcisio Bertone, informava ufficialmente il superiore generale dei dehoniani del "lungo dilata" imposto alla beatificazione del loro fondatore, dopo aver ponderato a lungo, nelle sedi appropriate, la questione. I dehoniani hanno vissuto e stanno vivendo questi anni con una sofferta serenità. Su invito del loro superiore generale, p. José Ornelas Carvalho, stanno, anzi, valorizzando questa "sospensione" per una riscoperta della loro spiritualità apostolica a partire proprio dall’eredità del fondatore.
Lo hanno fatto, in particolare, promuovendo, il 21-22 settembre 2007 a Parigi, un seminario di studio, con la partecipazione di un buon numero di esperti, non solo dehoniani, sul tema specifico dell'antisemitismo cristiano in riferimento al caso di Leone Dehon . Nella sintesi conclusiva, il promotore dell'incontro, Yves Ledure, aveva affermato che la "critica del giudaismo" di Leone Dehon non solo occupa una parte molto limitata dei suoi scritti sociali, ma soprattutto è percepita «in base all'immagine che ne ha il cattolicesimo francese e più in generale la sua epoca, con i suoi pregiudizi, i suoi clichés, le sue ambiguità». È la sua aperta denuncia delle tante forme di ingiustizia sociale, economica, finanziaria del tempo, a far ricadere su di lui le accuse di antigiudaismo.
Successivamente, nel corso del XXII capitolo generale (maggio-giugno 2009) è stato fatto nuovamente, da parte del superiore generale e del postulatore della causa di beatificazione, il punto dell’intera vicenda, senza che sostanzialmente emergesse “nulla di nuovo” rispetto a quanto era già noto. Mentre il postulatore, p. Evaristo Martinez De Alegria, ha ricostruito le fasi principali del caso, dall'apertura del processo di beatificazione (1952), alla decisione vaticana della sua sospensione, il superiore generale, una volta ancora, nella sua relazione generale fatta in capitolo, ha cercato di aiutare i suoi confratelli a cogliere il senso di fondo di quanto successo.
Dai contatti avuti negli ambienti vaticani, dopo la comunicazione ufficiale del "lungo dilata" imposto alla beatificazione di p. Dehon, ha detto, «abbiamo ricavato l'idea che non era il momento di insistere». Non era solo una questione di "opportunità". La situazione ecclesiale e internazionale, in quel momento, «non era per nulla favorevole». Del resto, quando, per questioni del genere, si ricorre all'autorità suprema della Chiesa, «lo si deve fare solo se ci sono buone prospettive per una risposta positiva».
In tutte le fasi di questa vicenda, ha aggiunto, «abbiamo cercato di presentare, con tutta onestà, con convinzione e in spirito ecclesiale, le motivazioni che, secondo verità e ragione, riteniamo utili alla comprensione dei fatti e alla interpretazione dei testi». Senza il minimo rancore di fronte alla decisione della Chiesa, «comprendiamo anche le difficoltà che possono provocare i testi di p. Dehon, soprattutto se letti al di fuori di una loro necessaria contestualizzazione». Però, nello stesso tempo, «deploriamo le numerose prese di posizione non del tutto oneste e fondate, come pure certe ingiustificate manovre di pressione e di manipolazione demagogica dell'opinione pubblica».
Ma non è assolutamente questo il cammino che i dehoniani, in futuro, intendono percorrere. Se e quando p. Dehon sarà finalmente beatificato, «lo sarà per volontà di Dio e per quello che è stato e continua ad essere, presso Dio, per noi e per la Chiesa». Di certo, la sua beatificazione non potrebbe essere fatta dipendere «dalla qualità di vita di quanti ne stanno patrocinando la causa».
Il cammino interno dell’istituto, è quello di una sempre più approfondita conoscenza della persona, dell'opera e del pensiero di p. Dehon. Sono molteplici le ragioni per le quali si dovrebbe incrementare questo percorso. «Contrariamente a quanto alcuni hanno pubblicamente insinuato, ha ribadito p. Ornelas, la nostra congregazione non ha mai occultato nessun documento per timore di possibili polemiche». Indipendentemente dalla beatificazione o meno di p. Dehon, ha concluso, «abbiamo il dovere di approfondire e di trasmettere anche a tutta la Chiesa il dono che lo Spirito le ha fatto attraverso p. Dehon».

Reciproca stima tra Dehon e Toniolo

Il 14 genaio u.s., è stato firmato il decreto di beatificazione del professor Giuseppe Toniolo (1845-1918). Questo fondatore delle “Settimane sociali dei cattolici italiani”, non era solo un contemporaneo di p. Dehon – nato due anni prima (del Toniolo) e deceduto sette anni dopo – ma, conosceva molto bene il sacerdote francese. Ambedue erano reciprocamente informati di quanto facevano, l’uno in Italia, l’altro in Francia, per la promozione delle classi sociali meno abbienti. Uno dei testi maggiormente sub judice all’origine della sospensione della beatificazione di p. Dehon, è la sua terza conferenza romana dell’11 febbraio 1897, tenuta, come le altre quattro, sui problemi sociali del momento, alla presenza anche di alcuni cardinali, presso la (demolita) sede degli Agostiniani dell’Assunzione, in piazza dell’Ara Coeli.
Dalla corrispondenza intercorsa fra il Toniolo e p. Dehon e da una nota di cronaca di Civiltà Cattolica (6 marzo 1897), si apprende che, proprio in quei giorni, Giuseppe Toniolo promuove una serie di incontri, su problematiche analoghe, con gli universitari a palazzo Sinibaldi e con gli ecclesiastici a palazzo Lante.
Nell’agosto successivo, inoltre, Giuseppe Toniolo invia in omaggio a p. Dehon una copia della sua nuova pubblicazione “La democrazia cristiana”. In tutta risposta, p. Dehon - anch’egli uno dei promotori della nascita della democrazia cristiana in Francia - ringrazia vivamente il Toniolo dell’omaggio, augurandosi, anzi, di vederlo quanto prima tradotto anche in francese. «Questo libro, scrive p. Dehon, contribuirà molto a placare le controversie sollevate in Italia, in Francia, in Belgio e in Germania. Ella ha pienamente dimostrato ciò che è sostanziale nella democrazia razionale e cristiana, cioè la cura principale dei poveri, come risultato del regno della giustizia e della carità».
Nella parte bibliografica del numero (citato) di Civiltà Cattolica viene, inoltre, recensita la quarta edizione francese del “Manuel social chrétien”, pubblicato ancora nel 1894, a cura della commissione degli studi sociali della diocesi di Soissons, sotto la direzione del canonico Dehon. Il volume - nel quale vengono anticipati in gran parte anche i contenuti delle conferenze romane del Dehon - è stato vivamente apprezzato e raccomandato da numerose autorità ecclesiastiche. Fra le tante, il card. Langénieux, ne sottolinea «la chiarezza della dicitura e la rara precisione dei concetti» pienamente conformi agli insegnamenti di Leone XIII, «su cui fondasi tutto il lavoro».
Nella seconda edizione italiana del “Manuale sociale cristiano” (1902), tradotto dal canonico pistoiese Roberto Puccini, la prefazione è di Giuseppe Toniolo. Dopo averne posto in evidenza il taglio sociologico, così continua: «quando (il testo) trapassa a dire dei fattori più deleteri del malessere sociale odierno, parla con rude franchezza (di cui dobbiamo sapergli grado), della frammassoneria e del giudaismo o semitismo. Se infine discorre dei rimedi (e di quelli buoni, razionali e storici) affronta ed illustra piuttosto largamente e colla genialità francese, che rende lucidi i quesiti più aggrovigliati, i temi complessi e delicati della funzione sociale delle classi, della loro organizzazione, dello Stato e della Chiesa». Leggendo un volume del genere, conclude Toniolo, il pubblico «si abitua, meglio che ad intendere, a sentire col cuore, che la soluzione dei grandi problemi sociali più che nei calcoli della ricchezza, sta nel responso delle grandi verità dell’etica e del sovrannaturale».
Anche alla luce di questo reciproco e contemporaneo riconoscimento del proprio impegno sociale, nel pieno rispetto di ogni superiore decisione, sorge spontanea una domanda: «Uniti in vita nell’annuncio e nella promozione delle grandi verità etiche e soprannaturali in risposta ai problemi sociali del tempo, in Francia come in Italia, perché p. Dehon e Giuseppe Toniolo non potrebbero esserlo anche nel momento della loro beatificazione?».