Circa due anni fa, il ministro generale dei cappuccini, fra Mauro Jöhri aveva scritto una lettera circolare dedicata alla formazione iniziale, intitolata Ravviviamo la fiamma del nostro carisma, per attirare l’attenzione su un punto cardine della vita di consacrazione, ossia sul dono di se stessi. In quella lettera aveva insistito in maniera tutta particolare sul cammino che deve compiere chi abbraccia questo genere di vita, affinché esso non rimanga a livello di parole ma diventi l’atteggiamento che permea tutte le azioni. «In questo senso, scriveva, quando parlo di “formazione”, mi riferisco a una dimensione che va ben oltre il fatto di trasmettere alcuni contenuti o informazioni circa la nostra vita. Si tratta di una vera e propria “iniziazione”. La trasmissione dei valori raggiunge il suo scopo solo al momento in cui tali valori sono integrati al punto da orientare ogni scelta e ogni gesto».
Fra Jöhri ha scritto ora una seconda lettera, che è come la continuazione del discorso proposto nella prima, dedicata alla formazione permanente e intitolata Alzati e cammina. La lettera si apre con l’interrogativo: «formarsi continuamente – perché?». La sua risposta è: per una «questione di fedeltà». È da questa affermazione che si muovono le sue riflessioni.


«Avendo risposto alla chiamata del Signore e avendo abbracciato la vita religiosa nel nostro Ordine, ciascuno di noi ha dichiarato di voler fare della sua vita un dono, un dono da attualizzare continuamente. Non mancano di certo i momenti in cui tutto ci pesa e nei quali, senza volerlo, ci capita di ripiegarci su noi stessi e di ritirarci dall’agone. Capita a tutti! Però, qualora dovesse capitare troppo sovente, diventando un’abitudine, impercettibilmente abdicheremmo da quanto abbiamo promesso e la nostra consacrazione finirebbe per assumere l’aspetto di un albero rinsecchito, che non dà frutto! In questo senso credo proprio che valga anche per noi ciò che André Louf afferma del monachesimo: «È una realtà incarnata nell’umanità e nel tempo, e dunque attraversata da dinamiche che la tirano verso il basso» . Una ragione in più per rimanere vigilanti.
È importante che ognuno dedichi del tempo per ritemprare le energie. Tempo di silenzio, tempo per se stessi. Tempo però finalizzato a vivere bene e meglio quanto abbiamo promesso. Il nostro ragionamento dovrebbe essere questo: Proprio perché i miei fratelli mi stanno a cuore e perché desidero che trovino in me un buon compagno di viaggio, di tanto in tanto faccio qualcosa per me!
La formazione permanente ha a che fare in primo luogo con la volontà di rinnovarsi in ciò che sta al cuore della nostra scelta di vita di consacrati: il dono di noi stessi! In secondo luogo essa deve prestare attenzione all’aggiornamento professionale, perché la missione affidataci venga svolta con la necessaria competenza. Questo aspetto è consequenziale al primo. Le nostre Costituzioni così si esprimono: «La formazione permanente, quantunque riguardi in modo unitario tutta la persona, ha un duplice aspetto: la conversione spirituale mediante un continuo ritorno alle fonti della vita cristiana e allo spirito primitivo dell’Ordine e il loro adattamento ai tempi; e l’aggiornamento culturale e professionale...» (Cost. 41, 2).

Ad ogni età la sua sfida

«La formazione permanente ha a che fare con la nostra consacrazione e con il suo divenire. Ciascuno di noi, da attento osservatore di ciò che avviene attorno a sé e all’interno di se stesso, prima o poi giunge alla conclusione che la vita lo chiama sovente a compiere un nuovo passo. Si direbbe quasi che esistano delle tappe e che a ciascuna di esse sono legate delle sfide specifiche. C’è chi le affronta con agilità, ma anche chi fatica parecchio o chi addirittura si rifiuta di compiere il passo che gli è richiesto di compiere. Il paragone più evidente mi sembra essere quello della vecchiaia e con essa la capacità di accettare serenamente i limiti dati dal logoramento del nostro organismo. Accogliere la vecchiaia sapendo andare incontro al ridimensionamento delle attività e alle tante limitazioni che questa comporta, fa parte di ciò che tutti prima o poi saremo chiamati a compiere. È fuori di dubbio che c’è anche chi invecchia male, chi non è disposto a lasciare nulla di ciò che ha sempre fatto o chi rimpiange quando aveva 40 anni e non riesce a portare uno sguardo pieno di gratitudine su quanto gli è stato concesso di compiere in tutti i suoi anni di vita. Esistono persone che si sentono diminuite dal fatto di non essere più in grado di svolgere tutta quella gran mole di attività che sempre ha svolto. In questo senso è evidente che la vita chiama ognuno personalmente a compiere un passaggio, non ovvio né tanto meno facile.
Di passaggi in questo senso ve ne sono certamente molti altri. Accenno qui brevemente ad alcuni tra i più importanti. Per chi ha terminato la formazione iniziale e specifica è ovvio che deve poter passare a una fase in cui gli è data la possibilità di realizzare dei progetti, di impegnarsi a fondo e di sentirsi vivo attraverso l’attività. Deve poter mettere in pratica ciò che ha imparato! Avvertendo l’esigenza di immergersi nell’attività e qualora ciò non gli fosse concesso, si sentirebbe come derubato di qualcosa di vitale e che gli appartiene. A questa fase con il passare del tempo, sentirà l’esigenza interiore di passare da una molteplicità di attività a una scelta mirata di attività particolarmente significative. Subentrerà il desiderio di mettere la propria vita al servizio di una causa che abbia senso e per la quale valga la pena impegnarsi con tutte le proprie forze. È il momento dei grandi disegni, quando si è disposti a donarsi fino in fondo per una causa. A chi si butta a capofitto in un progetto di vasta portata prima o poi – la cosa è inevitabile – non saranno risparmiate anche le delusioni. Dovrà fare i conti con la realtà umana, anche la propria, segnata da molti limiti. Chi impara ad accettare progressivamente la realtà così com’è, senza disperare, e prosegue il cammino nonostante tutto, compie un passo importante verso una più grande maturità umana».

«Attraverso questi passaggi – prosegue fra Jöhri – la persona si arricchisce interiormente, acquista una saggezza di vita, che prima o poi vorrà mettere a disposizione degli altri. Vivrà questa fase della vita con un senso di profonda soddisfazione. Di fatto, non siamo “consacrati” unicamente per noi stessi, ma per portare il nostro contributo all’umanizzazione del mondo e per affrettare la piena realizzazione del Regno. Giunti sulla soglia dei 60 anni e avendo ormai oltrepassato la metà del tempo messo a nostra disposizione, abbandoniamo i grandi progetti per metterci al servizio di chi si trova in quella fase. La nostra attenzione si concentrerà sui bisogni delle persone con le quali condividiamo la vita e mobilitiamo la nostra creatività per contribuire alla riuscita del progetto di qualcun altro. Ci rallegriamo di veder crescere una causa e di vedere le persone avanzare nella realizzazione dei loro progetti».

Facciamoci aiutare

A questo scopo, «è fondamentale poter ricorrere a persone che ci siano di aiuto nell’affrontare ogni tappa di questo lungo e affascinante cammino di vita. Qualcuno che ci permetta di fermarci e di portare lo sguardo sul cammino compiuto. La vita è dono ed essa richiede di essere vista e apprezzata in tutta la sua ricchezza. Tutto quanto è dono di Dio e lo è anche tutto ciò che mi è dato di vivere e di compiere. Perciò va restituito al datore di tutti i doni. Ma è anche vero che non posso restituire se non ciò di cui sono cosciente e di cui mi rendo conto. La formazione permanente deve aiutarci a crescere in queste dimensioni. È la vita stessa che ci forma e ci chiede di cambiare, di adeguarci. Sovente, senza una presa di coscienza chiara, senza la consapevolezza di mutamenti avvenuti attorno e all’interno di noi stessi, non riusciamo a compiere speditamente e con leggerezza determinati passaggi. Ecco perché abbiamo bisogno gli uni degli altri e perché a volte fa bene incontrare chi ha una preparazione specifica in questi campi e può facilitarci il cammino. Si tratta di un vero e proprio apprendimento che incide sulla nostra vita e che contribuisce a farci sentire bene per ciò che siamo, felici di essere arrivati al punto dove siamo e desiderosi di partire per una nuova tappa».

Quanto è stato tratteggiato fin qui «fa parte in primo luogo di un percorso antropologico dove l’essere umano è chiamato ad attraversare le varie tappe della vita come un cammino di crescita che avrà termine solo con l’arrivo di sorella morte. Un cammino che prevede due componenti fondamentali: quella di un progressivo distacco e quella di spazi di interiorizzazione sempre più ampi. Il passare da una molteplicità di realizzazioni a pochi progetti significativi, l’abbandonare progressivamente le attese riposte nei propri confronti come nei confronti degli altri per un’accettazione della realtà delle cose e delle persone così come sono, comporta una lunga serie di distacchi. Abbandono le attese proiettate sia sugli altri sia su di me per ritrovarmi tra le mani un quadro assai più aderente alla realtà sia altrui che mia. Permetto sia a me stesso sia al mio fratello di non essere perfetto o di mancare di coerenza. Quel giorno che sarò capace di fare questo avrò acquistato una ricchezza che prima non avevo né potevo avere. Di pari passo con questo progressivo distacco, cresce l’esigenza di disporre di tempi più lunghi per soffermarsi sull’insieme delle cose e del loro fluire. C’è un cammino di interiorizzazione che si compie e richiede di essere ampliato. La vita del nostro serafico padre San Francesco è un’illustrazione oltremodo pertinente di quanto appena descritto: si ritirava sovente in luoghi appartati e vi trascorreva molto tempo in preghiera».

La fede che cambia

«La stessa vita di fede di ciascuno come pure la nostra vocazione, sono chiamate a percorrere il cammino di una costante e profonda trasformazione. Il nostro modo di credere e di vivere la consacrazione a 60 anni (prendo questo riferimento perché è quello che più mi conviene) è ben diverso da come lo era al momento in cui avevamo la metà degli anni. Dopo una fase segnata da grandi entusiasmi e dalla volontà di cambiare radicalmente tutte le cose, siamo passati progressivamente per la fase di un vero e proprio ridimensionamento. Vi sono dei limiti nei fratelli con i quali condivido la vita e ce ne sono anche in me. Forse sono anche caduto, letteralmente caduto da cavallo come san Paolo e ho fatto l’esperienza di essermi allontanato dal sentiero che avevo scelto. Forse sono passato per un periodo di vera e propria accidia in cui tutto sembrava diventare insipido. Credevo di aver smarrito la bussola. Ma è pure vero che lungo questo cammino accidentato ho incontrato il Signore che mi ha rivolto l’invito: “Alzati, e cammina!” Mi rendo conto che la mia fedeltà aveva vacillato e solamente grazie all’intervento del Signore ho potuto riprendere a camminare speditamente».

«Certo, dopo aver vissuto tutto ciò, mi sento più fragile e vulnerabile, ma sono certo di aver sperimentato sulla mia pelle cosa significhi essere un peccatore e un peccatore riconciliato! Non intendo affermare con ciò che il Signore non fosse stato presente anche prima nella mia vita, intendo soltanto dire che la consapevolezza della sua presenza oggi è diversa e certamente più profonda. E mi rendo conto anche che il mio stesso modo di credere ha subito un cambiamento. Infatti, a differenza di un tempo, ora sono molto più incentrato sulla fiducia incondizionata da riporre in Dio che sulla ripetizione di singoli contenuti. Sono diventato meno formale e vedo come è cresciuta la dimensione relazionale. Nessuno di noi è esente da questi percorsi di maturazione. Può darsi ci sono state delle crisi in campo affettivo, e di conseguenza ci siamo allontanati dalla fraternità forse perché ci ritenevamo incompresi. Grazie al fratello che ha avuto la bontà di richiamarci amorevolmente, abbiamo ritrovato il cammino e gliene siamo grati e non manchiamo di ringraziare Dio per le persone che ci ha fatto incontrare. Tutto ciò ci ha formato e continua a formarci».

«Benché si tratti di dimensioni che, con modalità sempre diverse, toccano ciascuno di noi, generalmente tendiamo a farne un mistero. Non dovremmo giungere piuttosto ad aprirci di più fino a farne l’oggetto di uno scambio fraterno che potrebbe avvenire anche all’interno dei nostri capitoli locali? Beati coloro che hanno trovato un buon accompagnatore spirituale e una fraternità rispettosa e accogliente nei confronti di tutti e di tutto! Sono poi così certo che alcune cose siano capitate solo a me per cui non ne potrò mai parlare con i fratelli, pena il perdere la faccia? Visto e considerato che condividiamo tutti la stessa fragile umanità, cosa ci vorrebbe per compiere un ulteriore passo gli uni verso gli altri per giungere a una più grande e reciproca apertura? Perché un tale tipo di scambio sia possibile, è evidente che va creato un clima di rispetto reciproco profondo dove il singolo possa sentirsi accolto, e mai giudicato o peggio ancora, condannato»…

«La vita fraterna ci mette in condizione di lavorare su noi stessi e questo ci rende normalmente più comprensivi e anche più disponibili nei confronti degli altri. Di questo tipo di trasformazione lenta e progressiva potranno approfittare tutte le persone che avranno a che fare con noi. Per questo amo insistere perché nessuno si dispensi dalla fatica del vivere comune. Giustamente le costituzioni affermano che essa favorisce molto la formazione permanente. Questo ci aiuta a crescere verso un tipo di relazioni che possano dirsi realmente “redente” e che sono frutto sia della grazia che dell’impegno di ciascuno dei membri della fraternità. Lavorare su se stessi costa molta fatica, eppure è una condizione indispensabile per raggiungere una più grande maturità umana, specie nei rapporti con gli altri. Quante volte mi capita di accusare gli altri del mio stare poco bene! Agendo in questo modo, senza nemmeno rendermene conto, attribuisco agli altri un potere enorme nei miei confronti e indolente mi piace stare nel ruolo della vittima. Tutti i nostri tentativi di cambiare gli altri sono tempo perso! Le relazioni in seno a una fraternità migliorano dal momento in cui qualcuno inizia a lavorare su se stesso senza pretendere che gli altri facciano lo stesso. Constatando il cambiamento, anch’essi inizieranno a cambiare».

Il luogo privilegiato della formazione permanente, sottolinea fra Jöhri, è “il modo di vivere quotidiano» Infatti «la prima scuola di formazione è l’esperienza di ogni giorno della vita religiosa nel ritmo normale di preghiera, di riflessione, di convivenza e di lavoro».
«Lo stesso concetto viene ribadito con forza da Amedeo Cencini in una sua pubblicazione recente sulla vita consacrata. Scrive: “La formazione permanente, come ormai dovrebbe essere chiaro per tutti, non consiste nei corsi straordinari o nei tre giorni o nelle settimane di aggiornamento culturale, pastorale, una tantum, e neppure negli incontri spirituali periodici; consiste, anzitutto, nell’azione del Padre che a ogni istante cerca di plasmare in noi l’immagine del Figlio, e nella conseguente e costante disponibilità ad accogliere quest’azione del Padre. Dunque formazione permanente è già in sé dinamica relazionale, rapporto con Dio; ma non solo con lui, perché se la cosa è nelle sue mani allora ogni situazione di vita, ogni circostanza, ogni stagione esistenziale, ogni evento, positivo o negativo – dal nostro punto di vista – soprattutto ogni contesto umano, ogni comunità, accogliente o meno, ogni persona, ogni confratello, santo o peccatore che sia, ogni relazione diventa mediazione di questa volontà del Padre di formare nel discepolo i sentimenti del Figlio”».

Per un cammino dinamico di formazione permanente

Secondo fra Jöhri, «un cammino dinamico di formazione permanente dovrebbe contribuire oltre alla crescita del singolo frate anche a quella di una fraternità tutta intera. Esige pertanto “un progetto unificatore” e “una progettualità costruttiva”».
«A volte – sotolineA – incontrando le singole fraternità avverto come un senso di grande frammentazione. Siamo tutti impegnati su qualche fronte, perché c’è chi fa il parroco, chi si occupa della portineria, chi esce per l’insegnamento, ma è come se mancasse l’elemento che tiene il tutto unito. Si direbbe che è venuto meno il senso della nostra comune missione. Facciamo molte cose perché vanno fatte, ma si direbbe che abbiamo perso la coscienza di possedere un carisma specifico e con esso il mandato di contribuire attivamente alla trasformazione di questo mondo in un mondo più fraterno. Faccio un esempio. Proprio perché ci sta a cuore la vita fraterna in quanto tale, in tutte le nostre attività dovremmo promuovere la collaborazione, mettere altri in condizione di sperimentare quanto sia benefico essere solidali e sentire il sostegno che ci viene dagli altri. Potremmo agire in modo più efficace facendo nostro un semplice motto come questo: “Impegniamoci a creare un mondo più fraterno!”. In questo caso ogni membro della fraternità dovrebbe sentirsi impegnato a tradurre in pratica l’imperativo espresso nel motto sopracitato e questo nell’ambito dei suoi impegni specifici. Sono convinto che ciò finirà per incidere sia sul modo di svolgere il lavoro pastorale sia sul modo di accogliere chi bussa alla porta sia sullo stesso modo di insegnare. Saremmo impegnati su vari fronti ma sempre animati da una profonda comunione tra noi. Ci sentiremmo portatori di un messaggio e di un modo di fare, protesi a raggiungere una trasformazione della realtà ovunque si è e in qualsiasi attività che compiamo. Perché ciò possa avvenire è necessario il parlarsi più spesso, facendo del Capitolo locale un luogo di dialogo e di progettazione di come realizzare i nostri comuni intenti».

«Agendo consapevolmente in modo da perseguire un unico scopo diventa anche più facile entrare in dialogo comunicandosi le esperienze, le difficoltà incontrate lungo il cammino, le belle sorprese e via di questo passo. Voglio dire che sia come singola Circoscrizione sia come fraternità locale abbiamo bisogno di vivere una progettualità costruttiva, profondamente consapevoli di avere qualcosa di valido da portare alla gente che incontriamo. Perché ciò avvenga è opportuno che durante i Capitoli provinciali e locali si rifletta su di un aspetto specifico della nostra missione e si giunga a formulare un motto che orienti il nostro agire, così che diventi l’elemento dinamizzante e motivante dell’impegno sia della fraternità che del singolo. Di tanto in tanto dobbiamo pur porci la domanda “Cosa vogliamo vivere? Cosa vogliamo portare agli altri? Come intendiamo essere presenti nella chiesa e collaborare all’avvento del Regno?”.
Dobbiamo osare di darci delle risposte concrete, formulando una frase che sia sostenuta da un verbo dinamico e volto a cambiare qualcosa…».
«È necessario, poi, disporsi ad affrontare insieme le nuove sfide e ciò richiede agilità e disponibilità al cambiamento, al “ridimensionamento”. Le statistiche ci dicono che da qualche tempo la maggior parte dei frati vive al sud del mondo e mentre l’età media dei frati nell’emisfero sud è generalmente al di sotto dei 50 anni, nell’emisfero nord è esattamente il contrario. Ciò significa che il nord, se vuole mantenere una certa agilità, è chiamato a ridimensionare presenze e attività, mentre il sud si trova a dover cercare nuovi spazi di presenza e di attività per le giovani forze. Serve inoltre un discernimento accurato nell’ammissione alla nostra vita e sono anche da ricercare fonti di sostentamento che permettano di andare verso una maggior autonomia economica. L’elevato numero di vocazioni alla nostra vita richiede un accompagnamento formativo adeguato. Le sfide sono diverse e ogni area è chiamata a fare la sua parte. Constatiamo per esempio che ridimensionare è tutt’altro che facile. Grazie all’età più avanzata raggiunta in genere dai frati e grazie alla possibilità di avere degli impiegati, riusciamo a protrarre di qualche decennio molte nostre presenze. Ma non è questa la soluzione, perché chiaramente rinviare non significa risolvere. Con il progetto della Solidarietà del personale abbiamo iniziato a promuovere in modo nuovo l’incontro e la collaborazione dei frati del sud con quelli del nord. Se un tempo il movimento era quello da nord a sud, oggi esso avviene in senso inverso. Ciò non significa però che il movimento da sud verso nord rispecchi in modo speculare quello di prima. Bisogna fare i conti con la dimensione del tempo trascorso e con i cambiamenti avvenuti a molti livelli sia su scala globale, ecclesiale e anche dentro il nostro Ordine. A differenza di allora, oggi è aumentata la consapevolezza delle differenze culturali e delle difficoltà che sorgono allorquando si intende formare delle fraternità interculturali. Che lo si voglia o meno, si tratta di processi in atto ed essi toccano in un modo o nell’altro tutte le realtà del nostro Ordine. Sia le singole Circoscrizioni sia ogni singolo frate sono chiamati a dar prova di una rinnovata capacità di adattamento e di apertura. La formazione permanente non può prescindere da questo. Essa è chiamata a favorire in ogni singolo come in intere Circoscrizioni una spiritualità di vera apertura o, in altre parole, l’“itineranza francescana”».

«Il frate cappuccino si definisce anzitutto per i luoghi da lui scelti. È colui che sa stare stabilmente e per lungo tempo alla presenza di Dio e che sa andare dove maggiore vi è il bisogno e nessuno è disposto ad andare. Così a suo tempo ci siamo messi a diposizione degli appestati, siamo partiti per le missioni che la Chiesa ci ha affidato lungo il corso dei secoli, siamo stati e continuiamo a essere vicini agli emigranti, rimaniamo in luoghi dai quali tutti se ne vanno perché le condizioni di vita diventano sempre più difficili e impossibili. In questo il nostro Ordine ha scritto e sta tutt’ora scrivendo pagine gloriose. Ma sappiamo che i luoghi dove maggiore vi è il bisogno si spostano continuamente e per poterci rendere disponibili per una nuova chiamata da parte del Signore, dobbiamo mantenerci svegli, con “i fianchi cinti” (Lc 12, 5), disposti a partire un’altra volta per nuove frontiere. La formazione permanente ci deve aiutare a vivere e a rinnovare continuamente la fedeltà a questi due luoghi. Essa ci abiliterà a vivere certi distacchi anche dolorosi senza troppi patemi d’animo. Perché ricordiamoci di questo: il nostro carisma non è legato a conventi e strutture plurisecolari bensì alle persone che lo incarnano nei luoghi di cui dicevo sopra: davanti a Dio e al servizio del più povero».

Questa disponibilità esige una “crescita spirituale” e richiede a ciascuno di «rimanere sempre in cammino». Infatti, «Chiamati ad essere pronti perché non sappiamo in che ora il Signore passa e ci chiama. Senza un profondo senso di apertura e di mobilità interiore, difficilmente avvertiremo che qualcuno sta bussando alla nostra porta e chiede di entrare per mettersi a mensa con noi . Considerando inoltre che le sue vie non sono le nostre vie e i nostri pensieri non sono i suoi, sarebbe imperdonabile permanere in un atteggiamento di immobilità interiore. Come permetteremo a Dio di entrare nella nostra vita, di manifestarci la sua alterità e di condurci su sentieri mai battuti finora, se permaniamo in un atteggiamento di comoda chiusura? L’incontro con il Dio vivo e vero comporta alle volte un cambiamento radicale di vita. Ne sa qualcosa San Francesco dal momento che Dio stesso lo condusse tra i lebbrosi. Gli cambiò letteralmente la vita! Ritengo sia compito centrale e peculiare della formazione permanente mantenerci aperti per questo incontro, sì sconvolgente ma sempre benefico».

Gli argomenti da trattare

Quali argomenti trattare nei vari percorsi di formazione permanente? La domanda è fondamentale se non si vuole rimanere nel vago, col rischio di vanificarla. Secondo fra Jöhri, esistono dei temi “obbligati” da affrontare con regolarità. Scrive: «Abbiamo un bel affermare che l’Eucaristia è il centro attorno al quale ruota tutta la nostra vita fraterna, ma se non ci soffermiamo ad approfondirne le varie dimensioni, se non ci interroghiamo mai sul nostro modo di celebrare, anche l’Eucaristia rischia di diventare da centrale a periferica. Ciò vale anche per la nostra vita di preghiera, sia per quella comunitaria che per l’orazione mentale. Di tanto in tanto un buon corso, con tanto di esercitazioni pratiche, sulla preghiera contemplativa non nuoce. Anzi è il caso di ricordare qui l’affermazione delle nostre Costituzioni: “L’orazione mentale è maestra spirituale dei frati (...).” La stessa cosa va detta per la parola di Dio così ricca di risvolti e proposte! Ma ci vuole chi di tempo in tempo ci permetta di accedere a quei tesori mediante approcci nuovi e competenti, prestando particolare attenzione alla Lectio divina. E non dovremmo nemmeno trascurare le scienze umane che ci possono essere di aiuto nell’impostare correttamente le relazione tra di noi. Tutti gli aspetti della nostra vita fraterna, senza esclusione, dovrebbero essere fatti oggetto di tanto in tanto di un approfondimento comune».

Ma avverte: «Attenti però a non soffermarci unicamente su argomenti legati alla nostra vita ad intra! Non possiamo rimanere indifferenti di fronte a ciò che travaglia interi popoli o gruppi di persone. Penso in particolare al dramma di coloro che sono costretti a lasciare i loro paesi per motivi di guerra o perché perseguitati o alla ricerca di un’esistenza più dignitosa. Infatti ogni qual volta ci siamo messi a servire gli emigranti, specialmente i più poveri e indifesi, ci siamo trovati al posto giusto. Per aprire gli occhi su quanto avviene sia su scala locale che globale, bisogna informarsi e chiedere l’intervento di chi si occupa di queste tematiche in maniera professionale… In questo contesto siamo anche chiamati a riflettere di tanto in tanto su come intendiamo vivere il nostro voto di povertà con tutte quelle implicazioni che esige il nostro vivere “senza nulla di proprio”.
La consacrazione ci chiama a svolgere le attività che ci vengono affidate in modo adeguato e professionalmente ineccepibile. Non basta essere stato ordinato sacerdote, e lo dico a modo di esempio, per essere di fatto un bravo cappellano di ospedale oppure un buon predicatore. Così come non basta avere avuto una preparazione di base per poter svolgere a tempo indeterminato un’attività. Non deve mancare il senso della professionalità e quindi il dovere di un aggiornamento adeguato e ricorrente. Vi sono dei luoghi dove molti di noi sono chiamati a servire costantemente come confessori. Il ministero della misericordia di Dio ha caratterizzato e segnato profondamente la vita di più di un santo cappuccino. Perché non incontrarsi di tanto in tanto per dibattere sulle problematiche che incontriamo o per apprendere gli uni dagli altri come migliorare il proprio servizio? Sovente manca qualcuno che dia l’avvio, l’animatore! Nel segno dell’obbedienza caritativa a ciascuno è dato di prendere l’iniziativa, e ciò per il semplice fatto che siamo fratelli».
Fra Jöhri termina la sua lettera rievocando tre episodi biblici: il colloquio di Gesù con Nicodemo, per sottolineare quanto sia importante “rinascere dall’alto”; le figure di Zaccaria ed Elisabetta di cui parla l’evangelista Luca: Zaccaria, il quale, per non aver creduto alle parole dell’angelo, rimase muto: «“Credere” e “nascere dall’alto”, scrive Jöhri, non sono dimensioni che possiamo dare per scontate per il semplice fatto che abbiamo abbracciato la vita religiosa»…. Infine, la figura di Giacobbe, che fuggì da casa per paura di Esaù, suo fratello, trascorse lunghi anni presso suo suocero Labano, e poi fuggì anche da quest’ultimo. Quando finalmente si decise di far ritorno da suo fratello, prima di attraversare il fiume Iabbok, si ritrovò a lottare con Dio durante tutta una notte e ne rimase segnato a vita (Gen 32, 23-32).
«Può darsi benissimo, conclude Jöhri, che anche tu sia permanentemente in fuga, che ti sia messo su di una strada che non è propriamente quella che il Signore aveva previsto per te. Fratello, è ora di far ritorno, di avanzare verso acque più profonde (Lc 5, 4), non temere perciò di incontrare “il Dio vivo e vero”, di lottare con lui e di affermare con il profeta Geremia: “Mi hai sedotto Signore, e io mi sono lasciato sedurre, mi hai fatto violenza e hai prevalso” (Ger 20, 7)! Lo scopo primario della formazione permanente deve essere proprio questo: riportarci sulla retta via o farci compiere decisamente un passo avanti nel nostro impegno di vita. È il Signore stesso che ti dice: “Alzati e cammina!”» (Mt 9, 5).