Da diversi anni si parla delle cosiddette “nuove comunità”, considerate da alcuni come il futuro della vita consacrata, e da altri, invece, come qualche cosa di confuso e incerto. Conviene quindi vedere da vicino quali siano le questioni, e ciò è reso possibile dalla recente pubblicazione degli atti del primo convegno sulle nuove forme di consacrazione svoltosi nell’ottobre del 2007 a Roma presso l’Università Urbaniana (R. Fusco – G. Rocca, edd., Nuove forme di vita consacrata, Roma, Urbaniana University Press, 2010; G. Rocca, ed., Primo censimento delle nuove comunità, Roma, Urbaniana University Press, 2010).

Riflessioni  e dati di fatto

Le questioni teoriche (di teologia, sociologia, diritto ecc.), abbondantemente trattate nel primo volume, non hanno portato a conclusioni univoche, perché gli Autori dei relativi saggi hanno manifestato chiaramente la diversità delle loro opinioni. Per i dati di fatto, invece, grazie al secondo volume degli atti del convegno sopra ricordato, si ha un lungo elenco di oltre 800 nuove comunità – la cui nascita può essere fatta risalire agli anni attorno al 1950 –, variamente distribuite in oltre 40 nazioni.
L’andamento statistico rivela che dai primi decenni, che raccolgono solo alcune decine di fondazioni, si passa a una continua crescita, che raggiunge l’apice nei decenni 1970-1980 (190 fondazioni) e 1980-1999 (222 fondazioni). Alle origini, cioè tra il 1960 e il 1970, appare forte il desiderio di tornare alla esperienza degli Atti degli Apostoli, e quindi alla comunità di vita, mettendo da parte le distinzioni di ordine, congregazione, istituto secolare, che precedentemente costituivano i pilastri della vita consacrata. Poco per volta, però, le nuove comunità si sono maggiormente strutturate, per cui è ora possibile indicarne le caratteristiche essenziali.

Le caratteristiche istituzionali

– Luogo di nascita. Le nuove comunità sono una novità del mondo occidentale, cioè di quel mondo che ha visto la crisi della vita consacrata, in particolare nella forma della congregazione religiosa.
– Clausura. Le nuove comunità non accettano più le norme della clausura così come sono fissate dal diritto canonico. Sembra loro, infatti, che non poche norme sulla clausura femminile (di quella maschile non si parla quasi mai) siano state imposte non tanto per favorire il silenzio e la quiete necessari alla contemplazione, quanto in base a particolari concezioni sulla donna, che si riteneva opportuno “proteggere”.
– Opera da svolgere. Le nuove istituzioni non affidano più l’opera solo a consacrati e consacrate, nella convinzione che tutti – in complementarità – debbano portare il loro contributo alle opere di Chiesa. In questo caso la differenza fondamentale è che gli istituti tradizionali mandano avanti le loro opere (scuole, ospedali ecc.) con l’apporto di laici stipendiati, mentre le nuove comunità si basano sui propri membri e collaboratori laici che vivono, tutti, lo spirito dell’istituto.
– Comunità miste, maschile e femminile insieme. È una caratteristica di moltissime comunità, non solo nello svolgimento delle opere, anche in quelle più propriamente pastorali, ma nella stessa vita quotidiana.
– Temporaneità dei voti. Alcune delle nuove comunità considerano l’impegno dei propri membri come un volontariato, da decidersi a livello privato, con voti rinnovabili anno per anno, oppure a tempo indeterminato, e scioglibili a livello personale, senza l’intervento di alcuna autorità esterna.
– Presenza di sposati. Essa è un dato piuttosto comune nelle nuove comunità .
– Autorità. Ci sono comunità che non si fanno problemi al riguardo e pongono tutti i membri su un livello paritario, valorizzando sacerdoti, laici e laiche consacrate, e accettando, di conseguenza, che al vertice della comunità possa esserci una donna.
– Ecumenismo. Alcune comunità accettano come membri anche appartenenti ad altre confessioni cristiane o mantengono stretti legami con altre confessioni.
– Diocesaneità. Essa si manifesta in due modi. Vi sono comunità che prevedono la possibilità di un apostolato sul territorio (Chiesa locale) e non sembrano interessate a fondare filiali, come regolarmente avveniva in passato. V’è poi un secondo movimento, tipico delle cosiddette “comunità consacrate a servizio della Chiesa locale”, che all’interno della diocesi favoriscono tutti i tipi di vita consacrata (a vita comune o individuale, ecc.), alle dirette dipendenze dell’Ordinario locale, svolgendo l’apostolato richiesto dall’Ordinario (nelle scuole, ospedali, organismi diocesani ecc.), o impegnando in altre attività secondo le proprie capacità. Ciò comporta un diverso modo di concepire la vita consacrata (in questo caso non servono fondatori e fondatrici), e tutto viene visto all’interno della Chiesa locale e del suo Ordinario.

Le critiche alle nuove comunità

Sono di diverso genere. In linea generale si dice che le nuove comunità non vogliono impegnarsi nelle opere tradizionali della vita religiosa, come l’insegnamento e la cura dei malati, e preferiscono un apostolato di carattere personale, più legato a missioni popolari, ritiri, esercizi spirituali. Ciò avrebbe l’effetto di diminuire la presenza della Chiesa in opere che rivestono una importanza sociale, anche come testimonianza di valori evangelici.
Si sottolinea poi che la “misteità”, cioè il fatto di vivere insieme, in stretta vita quotidiana tra uomini e donne, comporta necessariamente una notevole tensione psicologica per vincere le inevitabili difficoltà, e ci si chiede se valga la pena sostenere questo enorme dispendio di forze, che sarebbero più redditizie adottando la normale distinzione tra comunità maschile e comunità femminile.
Il fatto che non poche delle nuove comunità vengano dal Rinnovamento nello Spirito ha portato nelle nuove comunità i limiti che di solito si attribuiscono a questo movimento: esagerata insistenza sulle preghiere di guarigione, una spiritualità in cui larga parte ha il sentimento, scarsa conoscenza delle basi dottrinali della Chiesa.
Ci si chiede, infine, quale teologia della vita religiosa sia alla base di queste nuove comunità. Le congregazioni religiose dell’Otto-Novecento avevano come base l’apostolato, e gli istituti secolari un tipo di presenza nascosta nel mondo per lievitarlo. Le nuove comunità non hanno alcuno di questi due fulcri, e dicono di avere quello della vita comune, un po’ abbandonato dalle congregazioni religiose e in pratica inesistente negli istituti secolari.

Le questioni teoriche

Le questioni che si pongono per l’approvazione delle nuove comunità sono fondamentalmente di carattere giuridico, perché quelle teologico-spirituali sembrano facilmente superabili per il fatto che le nuove comunità riconoscono la validità dei tre voti di povertà, castità e obbedienza e, per quanto riguarda la spiritualità, accettano l’insegnamento ordinario della Chiesa, a volte con tinte un po’ “tradizionali”. Le difficoltà giuridiche si possono ridurre alle seguenti:
– possibilità o meno di approvare un unico istituto, maschile e femminile insieme, a vita consacrata;
– possibilità che l’autorità suprema possa essere affidata a una donna;
– possibilità di approvare un istituto che accolga anche membri appartenenti a diversi stati di vita (sposati);
– possibilità di riconoscere la temporaneità dei voti;
– presenza di acattolici all’interno delle comunità;
– necessità o meno di un intervento pontificio per l’approvazione delle nuove comunità;
incardinazione dei sacerdoti nelle nuove fondazioni.

La giurisprudenza della CIVCSVA

La Congregazione ha risolto molte di queste difficoltà:
– ha accettato la possibilità di approvare un istituto unico, maschile e femminile nello stesso tempo, retto da un unico corpo di regole;
– ha lasciato ai singoli istituti il compito di fissare le norme per regolare la loro vita quotidiana nel rispetto del loro apostolato e delle specifiche esigenze dei loro membri;
– ha accettato che l’istituto unico, maschile e femminile, possa essere governato da una donna;
– ha risolto il problema della incardinazione dei sacerdoti esigendo che, se a capo dell’istituto c’è una donna, il vicario generale sia un sacerdote, dal quale essi dipendono per il loro ministero;
– ha risolto il problema della presenza degli sposati nelle nuove comunità, regolamentato ufficialmente nel documento pontificio Vita consecrata, che ha escluso (art. 62) che gli sposati possano essere considerati membri a pieno titolo di un istituto di vita consacrata;
– non sono state affrontate, finora, le questioni della temporaneità dei voti e della presenza di acattolici. Al riguardo si deve però ricordare che non pochi istituti dell’Ottocento si reggevano su voti temporanei, e la Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari, che allora ne approvava le costituzioni, non li riconosceva però come “religiosi” in senso stretto. In altre parole, la Congregazione per gli istituti di vita consacrata potrebbe regolamentare la vita di questi istituti con voti temporanei, senza riconoscerli come istituti di vita consacrata. Per la presenza di acattolici all’interno di una comunità cattolica c’è il problema sociologico della appartenenza (fino a che punto una comunità può ancora essere detta cattolica se il numero dei suoi membri acattolici diventa maggioritario?) e quello della coerenza (pratiche cattoliche e pratiche acattoliche in una stessa comunità).

I dicasteri competenti

Attualmente le nuove comunità hanno ottenuto un’approvazione da quatto diversi organismi pontifici.
– Congregazione per gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica: a tutt’oggi ha concesso l’approvazione pontificia solo a sette “nuove comunità”, classificate nell’Annuario Pontificio come “Altri istituti di vita consacrata”, per distinguerli dagli istituti religiosi e dagli istituti secolari .
– Pontificio Consiglio per i Laici. Il primo istituto a chiedere di essere approvato dal Consiglio per i Laici sembra essere stato Seguimi nel 1984, approvato come associazione privata. Seguirono poi i Memores Domini (legati al movimento di Comunione e Liberazione) approvati anch’essi come associazione privata, pur avendo essi stabilito nei loro statuti che intendono vivere espressamente i consigli evangelici di povertà, castità e obbedienza; e tanti altri istituti ancora.
– Pontificia Commissione “Ecclesia Dei”. Costituita nel 1988 per facilitare il rientro nella comunità ecclesiale di sacerdoti, seminaristi, comunità e singoli in vario modo legati alla Fraternità sacerdotale fondata da mons. Marcel Lefebvre, la Commissione Ecclesia Dei ha concesso l’approvazione a diversi istituzioni .
– Congregazione del clero: nel 2008 papa Benedetto XVI ha concesso la possibilità ad alcune associazioni (quattro finora) di incardinare i propri sacerdoti, classificate nell’Annuario Pontificio del 2010 per la prima volta sotto la rubrica generale “Istituti di vita consacrata – Società di vita apostolica” .
Vedendo le cose dal punto di vista delle nuove comunità, si potrebbe dire che, grazie alla molteplicità di dicasteri che se ne sono occupati, esse si trovino avvantaggiate, perché in qualche modo ottengono una approvazione pontificia. Si sente tuttavia il bisogno di semplificare la materia.

Un tentativo di valutazione

Per tentare una valutazione, si potrebbe risalire a quanto Pio XII aveva detto circa la nascita degli istituti secolari, e cioè che il fine specifico (le opere) aveva creato il fine generico (la perfezione religiosa e i consigli evangelici) . Applicando questa analisi alla congregazione religiosa, ciò che ha maggiormente influito sulla sua nascita e sulla sua istituzionalizzazione non era la vita religiosa in se stessa, ma l’apostolato nelle sue varie forme. Se a questo si aggiunge che la società civile richiedeva allora il celibato per alcune professioni (in particolare per quella di infermiera e di maestra), e cioè non solo in Italia, ma anche in Francia, Belgio e un po’ in tutti i paesi cosiddetti occidentali, si ha un quadro più preciso dell’ambiente che ha visto la nascita della congregazione religiosa. In questa visione la congregazione religiosa diventava un mezzo, reso più vantaggioso dalla vita comune dei membri e dal regime di povertà, con notevole risparmio economico per la società civile.
Se questa considerazione risponde a realtà, l’attuale diminuzione del numero dei religiosi e delle religiose (membri di congregazioni religiose) è semplicemente la manifestazione del diverso modo con cui la società (Chiesa compresa) intende risolvere i propri problemi: un tempo, basandosi soprattutto su celibi e nubili; oggi, in un momento in cui alcuni traguardi dell’emancipazione (non solo femminile) sono stati raggiunti, chiedendo (e sopportandone il costo economico) che lo stato civile della persona non influisca più sull’attività o apostolato da svolgere. Ciò spiega l’avanzare dei laici e della famiglia, cioè di altre categorie di persone che intendono portare il loro contributo alla vita della Chiesa e della società. E ciò spiega, d’altro canto, perché le nuove comunità non intendano impegnarsi in opere scolastiche o assistenziali e prospettino un nuovo tipo di vita consacrata .

In conclusione, si può dire che nei profili delle nuove comunità è possibile leggere la storia di una grande avventura spirituale; osservare il loro cammino a volte rapido, a volte tortuoso, quasi in mezzo agli scogli; notare come nel loro movimento esse riescano a correggere alcuni loro errori, confermando che la radice da cui nascono è viva e feconda anche nei momenti di crisi. In altre parole, la vita religiosa in astratto non è mai esistita, ma si è sempre configurata secondo i tempi e i luoghi, purificando il proprio modo di manifestarsi con l’esperienza e il continuo confronto con le esigenze del Vangelo. Forse occorrerebbe un supplemento di riflessioni, cercando di andare oltre i due volumi sopra segnalati, e forse un altro convegno, con l’intento di chiarire la complessa materia.