I formatori e le formatrici che si occupano della formazione iniziale devono
tendere a formare persone adulte, umanamente mature, profondamente appassionate
di Cristo, e a risvegliare in loro una coscienza critica sulla realtà che esalti
il carattere profetico della vita consacrata. Lo scrive Patricia Villarroel,
SS.CC, del Consiglio di direzione della rivista Testimonio, bimestrale della
Conferenza dei religiosi/e del Cile (CONFERRE).
Formare anzitutto donne e uomini maturi e adulti. Non è facile, osserva la
Villarroel, definire la maturità umana e nemmeno parlarne in poche righe.
Possiamo tuttavia sottolineare alcuni tratti che devono essere tenuti presenti
in tutti i progetti formativi della vita religiosa: la capacità di farsi carico
dalla propria vita, la libertà interiore, la pace e la gioia di fronte alla
vocazione ricevuta, la responsabilità verso le opzioni che si assumono, lo
spirito di servizio, la capacità della rinuncia, la fede crescente nel Signore
della vita, lo sguardo pieno di speranza verso il futuro, l’amore generoso
specialmente verso i più poveri, la disponibilità a prestarsi nei piccoli
dettagli e anche nei grandi della vita quotidiana, quando il momento lo
richiede, il senso di appartenenza all’istituto, l’affetto e la lealtà verso i
fratelli e le sorelle. Sono qualità che gli altri hanno il diritto di attendersi
da uomini e donne consacrati perché esprimono il loro equilibrio umano e la
maturità della loro vocazione religiosa. Perché mostrano i valori del Vangelo,
rendendolo credibile come cammino di libertà, di gioia e di pienezza. Perché
senza di essi non è possibile camminare insieme come fratelli e sorelle, e
accompagnarli nelle loro difficoltà, nelle loro lotte e sofferenze.
Una formazione personalizzata
Non è superfluo ricordare le ferite che i giovani e le giovani portano con sé
quando giungono alle nostre comunità, e che sono le ferite della gente del
nostro tempo. Le famiglie disintegrate da cui provengono molti di essi o la
solitudine in cui sono cresciuti, o le esperienze affettive ed emozionali
vissute da alcuni, dovute a violenze, abusi, carenze o anche a rifiuti ed
emarginazioni, rendono necessario un tempo prolungato per ritrovare se stessi e
giungere alla guarigione personale. Un processo per riuscire a scoprire nelle
proprie storie il Dio che salva, Gesù che solleva e lo Spirito che fa sorgere
vita nella morte, con la sua grazia sovrabbondante.
Questo processo si realizza con una formazione personalizzata e con il suo
corollario, l’accompagnamento personale. Con una formazione centrata sulla
persona, che rispetti le individualità e accetti le differenze, che vigili
affinché ciascuno sviluppi ciò che è profondamente, senza modelli prestabiliti
né prototipi molto elaborati. Con una formazione che partendo dalle esperienza
di ciascuno incammini a scoprire l’amore di Dio che opera nella sua vita, che è
anche storia di salvezza.
L’accompagnamento personale
I giovani di oggi non sono diversi tra di loro più di quanto non lo siano tutte
le persone, nel loro carattere di essere individui unici e irrepetibili. Le
diversità di cultura, storia, realtà famigliare ci mostrano chiaramente questa
unicità. È sempre stato così, ma la formazione personalizzata prende sul serio
questa realtà attraverso l’accompagnamento personale. Non bastano infatti le
attività comuni, le conferenze del noviziato, i laboratori sulla spiritualità e
le riunioni comunitarie. Per accompagnare realmente la crescita umana dei
giovani, è fondamentale l’accompagnamento personale, seguire periodicamente
ciascuno, la conversazione privata, frequente e programmata, tra il formando e
il suo formatore.
La nostra società, oggi, è maggiormente plurale e diversa, non perché siano
aumentate le differenze tra le persone. C’è piuttosto il fenomeno della
globalizzazione che le seduce da tutte le parti: nel modo di vestire, di
parlare, con la musica, il modo di nutrirsi… Ma oggi siamo anche più sensibili
alle differenze. Abbiamo maggior coscienza del diritto a essere diversi e del
dovere di rispettare chi non è come noi. Nella vita religiosa noi riconosciamo
questo fatto come un valore. Comprendiamo la diversità come una ricchezza.
Sappiamo anche che i religiosi/e non si fanno in serie e che non c’è un modo
uniforme di essere consacrati. L’accompagnamento personale risponde a questa
sfida: ognuno cioè sia ciò che è, nella sua individualità, personalità e
vocazione perché deve rispondere alla chiamata di Dio e associarsi alla comunità
che lo riceve con tutto se stesso.
Il ruolo del formatore non è di minore importanza in questo. Egli accompagna un
processo che ha molteplici viavai, oscillazioni e sussulti. Deve avere un
atteggiamento accogliente e rispettoso e svolgere un compito che richiede tempo,
pazienza e preparazione.
Si tratta di un processo dura tutta la vita poiché implica un lavoro arduo di
conoscenza, di accettazione di sé, di stima per la propria famiglia della sua
storia, delle proprie radici culturali, implica l’accettazione delle debolezze e
dei limiti ed esige una progressiva integrazione di tutti questi aspetti, in
tutta la loro verità…
Profondamente innamorati di Cristo
Le persone consacrate hanno sempre coltivato una stretta relazione con il
Cristo. Si è parlato di relazione sponsale, imitazione, sequela radicale. Sono
tutte espressioni che rispondono a diverse epoche e sensibilità. Oggi mettiamo
l’accento sulla sequela appassionata di Gesù di Nazaret, perché è questo che
dinamizza la nostra opzione, mobilita tutte le nostre energie e ci pone sulle
orme del Maestro di Galilea, quale conosciamo nei vangeli dove ci ha lasciato i
suoi insegnamenti, la sua testimonianza e l’eredità della sua missione, e che,
nello stesso tempo riconosciamo vivo e presente nella comunità cristiana, nei
poveri di questo mondo, negli abbandonati e gli esclusi, con i quali si è
identificato durante la sua vita terrena.
La sequela appassionata impegna la vita intera e mantiene in un atteggiamento di
ricerca incessante, di ammirazione profonda, di dedizione incondizionata. Essa
ci fa vivere di quel fascino per Cristo che all’inizio del cammino ci ha spinto
a lasciare tutto per seguirlo più da vicino. Ci riempie di entusiasmo, di
ottimismo e di gioia; di vita in abbondanza.
L’esperienza di Dio si consolida attraverso una relazione personale con Cristo,
che bisogna far crescere e coltivare in maniera costante. Dobbiamo contemplarlo
con frequenza, a Nazaret, mentre percorre le strade della Galilea, prega il
Padre celeste al mattino presto, mentre conversa con la gente che incontra e la
guarisce; contemplarlo trasfigurato sul Tabor e crocifisso sul Golgota;
scoprirlo risorto dal sepolcro o sulla via di Emmaus. Solo allora lo scopriremo
nella nostra vita, nelle nostre strade e tra la nostra gente. Solo allora lo
vedremo risorto nei crocifissi del nostro tempo e mentre risana i feriti delle
nostre strade. Solo allora potremo seguirlo autenticamente nell’oggi della
nostra storia.
Lo scopo centrale della formazione è di giungere a configurarsi a Cristo: far
propri le sue parole, i suoi gesti, i sentimenti e le predilezioni del suo
cuore, imparare i suoi insegnamenti, vivere secondo il suo stile di vita.
Riuscirvi non è compito nostro, ma frutto della grazia. Tuttavia, la fede non ci
esime mai totalmente dalla responsabilità. La grazia richiede il nostro
consenso, la collaborazione e l’accettazione libera e volontaria, per entrare in
noi.
Non bisogna mai dimenticare che la ricerca di Dio, la relazione con Cristo e
l’accoglienza del suo Spirito non si raggiungono senza una vita di preghiera
costante. Trascorrere lunghi tempi in preghiera è la nostra collaborazione con
la grazia. Il rapporto con Gesù difficilmente matura senza di questo e la nostra
adesione a lui non può crescere. La lettura assidua dei vangeli, la
conversazione intima col Signore, il confronto di vita con la luce della sua
Parola sono compiti ineludibili di ogni religioso/a che voglia tenere accesa la
fiamma della sua passione per Gesù di Nazaret. È una esigenza vitale per tutti
coloro che sono in formazione.
Il tempo della formazione iniziale è il tempo di imparare, di porre, consolidare
e costruire i fondamenti per la vita futura. È il tempo di contemplare Gesù e di
lasciarsi pervadere da lui. Di lasciarci trasformare per imparare a guardare al
mondo con il suo sguardo. Il Gesù che avremo conosciuto è quello che poi
annunceremo, ma è anche quello che sapremo riconoscere là dove è presente oggi:
nel volto di tanti che attendono la nostra solidarietà, il nostro sostegno, il
nostro impegno a loro favore.
Ci sono troppi uomini e troppe donne nel nostro ambiente che vivono una vita
insignificante. Ci sono troppi giovani che si mostrano asettici di fronte ai
problemi degli altri, per i progetti comuni e la vita della società. In effetti,
la ricerca del piacere immediato, il bisogno di soddisfare subito le attrattive
denotano un’assenza di sogni, di progetti per il futuro. Molti oggi hanno poco
tempo per aprirsi alla trascendenza, per cercare il significato profondo delle
cose, per vivere in profondità. La società li trastulla con cose banali,
superficiali e triviali, e allora sorgono sentimenti di vuoto, di stanchezza, di
inconsistenza.
Per questa ragione, sottolinea la Villarroel, il mondo d’oggi ha bisogno di
testimoni viventi di Gesù di Nazaret. Uomini e donne appassionati e con il suo
stile di vita, entusiasti del Regno che egli ha annunciato, e infiammati della
sua proposta. I religiosi consacrano la loro vita per questo. Noi assumiamo
l’impegno pubblico di dedicare tutte le nostre energie, “tutto il cuore, tutta
l’anima e tutte le forze” per amare Dio, cercarlo, ascoltarlo nel suo Figlio
amato. La nostra missione consiste nel vivere come persone appassionate di Gesù
di Nazaret, donate, senza riserve, ai compiti del Regno.
Formare una coscienza critica
Un altro aspetto fondamentale della formazione iniziale, prosegue sempre la
Villarroel, è di formare una coscienza critica di fronte alla realtà. Il mondo,
la storia, la realtà concreta sono il luogo sicuro della manifestazione di Dio.
La storia della salvezza infatti, non è una storia parallela che si sviluppa
nella stratosfera. Nella nostra storia umana, l’unica, con le sue bontà e il suo
peccato, i suoi segni di vita e le sue realtà di morte c’è la presenza del Dio
vivo. È a partire di qui che egli ci chiama e ci salva.
La formazione alla vita religiosa deve insistere molto su questo. L’antico
concetto della fuga mundi non deve distoglierci. Dio si manifesta e ci parla
attraverso gli avvenimenti, buoni e cattivi, della vita quotidiana. Gesù è
presente in mezzo a noi nella comunità, nella storia e specialmente nel fratello
e nella sorella più abbandonati. Lo Spirito abita in noi e ci conduce, dal
profondo del nostro cuore, attraverso le strade reali e concrete della nostra
vita.
Insistere su questo vuol dire cercare i mezzi e le forme per sviluppare nei
giovani un atteggiamento di critica positiva di fronte alle realtà. Significa
incoraggiarli a seguire ciò che capita nel mondo, con l’interesse e la passione
di chi cerca di incontrare lì il Signore della vita. Vuol dire accompagnarli in
questa ricerca per far fronte insieme a loro allo scoraggiamento che allontana
dai bisogni del nostro mondo, mentre ronza in noi la tentazione di rifugiarci in
uno spiritualismo, così contrario all’esempio di Gesù. Ma significa anche creare
le condizioni affinché possano sognare e inventare cammini e risposte nuove a
ciò che vanno scoprendo. La realtà è la nostra fonte di ispirazione.
Per concludere, la Villarroel, spende una parola convinta sull’aspetto
interculturale della formazione. Le esperienze, in questo senso, nel nostro
mondo, considerato oggi come un “villaggio globale”, sono segni luminosi di una
globalizzazione positiva. In effetti, una comunità internazionale parla per se
stessa di fraternità e di solidarietà di impegno vicendevole e di
corresponsabilità globalizzata, valori che sono assenti nel mondo globalizzato
che ha posto le sue basi sulle relazioni commerciali ed economiche.
Le case di formazione internazionale, le esperienze formative
intercongregazionali e gli incontri interculturali che si moltiplicano tra i
religiosi/e, sulla linea di un profetismo che annuncia e anticipa un’altra
realtà possibile, sono un segno per tutti: per coloro che guardano da fuori, e
quelli che osservano da dentro. Oggi tocchiamo con mano una volta di più il
misterioso disegno di Dio che fa germogliare vita dalla nostra povertà poiché
nella nostra debolezza abita la forza di Cristo.