Abbiamo da poco tempo nelle mani gli Orientamenti pastorali della CEI
2010-2020 Educare alla vita buona del vangelo eppure, dando un’occhiata alle
modalità in cui essi iniziano ad essere divulgati, si conferma un dato acquisto
di fondo che ci tormenta da dopo il concilio Vaticano II: molte azioni pastorali
delle nostre comunità cristiane di fatto, anche inconsciamente, evidenziano una
sostanziale paura della società e quindi una paura dell’azione più propriamente
missionaria. C’è poi sempre qualcosa che rimanda la presa di coscienza di questa
forma di “paralisi”: un’emergenza di carità, una battaglia etica, una scadenza
devozionale, un piano caduto dall’alto
Anche l’agenda pastorale scaturita dopo il congresso di Verona (2006) – che pure
ha indicato con chiarezza i “percorsi di vita buona” che facilitano la prima
evangelizzazione in Italia (ambiti di vita affettiva, lavoro e festa, fragilità
umana, tradizione e cittadinanza responsabile) – ha bisogno di essere assimilata
nel suo spirito autentico perché rischia di essere strumentalizzata spostando
l’annuncio sul versante apologetico o moralistico (antico vizio di una
cristianità dal sapore di religione civile!). Il rischio incombente è pure
quello della cosiddetta lettura della situazione come “emergenza educativa”:
lettura che, per diversi aspetti, potrebbe rivelarsi un altro grosso alibi per
non affrontare i nodi dell’iniziazione e del primo annuncio e per chiudersi in
una ennesima enunciazione di bei principi dottrinali che generano solo altre
false sicurezze.
Metodo “comunione”
Questo rischio riguarda anche la VC, che sembra ancora, nel suo complesso, alla
ricerca di un salto di qualità in termini sia di significatività che di profezia
all’interno delle chiese locali. Eppure essa, prima ancora che per le sue
attività specifiche, «rappresenta una risorsa educativa all’interno del popolo
di Dio per la sua indole escatologica» (Vita consecrata 26). Una risorsa che
diventa segno della fede nel Dio uno e trino, il quale non ama né l’uniformità
né la pluralità dispersa. L’ideale trinitario è la pluralità unita nell’amore:
per questo motivo i religiosi che non si confrontano con ministri ordinati e coi
laici rischiano di perdere il riferimento a Cristo o di diventare spirituali
disincarnati; i preti che non fanno riferimento a religiosi e laici rischiano di
diventare professionisti del sacro o leader autoreferenziali; i laici che non si
aprono all’apporto di religiosi e preti rischiano di diventare mondani o di
perdere il legame concreto con Gesù.
In questa visione complessiva ripercorriamo in breve i lavori dell’annuale
convegno CISM-Area evangelizzazione (Sassone-Roma, 11-14 gennaio 2011),
attingendo soprattutto alla densa relazione di sintesi di don Bissoli.
L’obiettivo ultimo dell’incontro era quello di “approfondire un piano triennale
di nuova evangelizzazione con al centro la famiglia da parte di sacerdoti,
religiosi, laici a servizio delle comunità cristiane”. I contributi in questa
direzione sono stati affidati a relatori di rilievo: card. Ruini, mons. Tobin
nuovo segretario generale della Congregazione per IVC e SVA, i professori
Accorinti, Biemmi, Buffon, Colzani e Taccone. La riflessione ha toccato le
tematiche fondamentali di una missione adeguata all’oggi e al carisma delle
persone consacrate.
Anzitutto si tratta di annunciare l’evangelo inteso come visione cristiana di
vita da calare dentro un’opinione pubblica fortemente secolarizzata e soggetta
ai meccanismi psico-sociologici della cultura individualista e consumista.
Un’opinione pubblica che non rifiuta a priori la rivelazione cristiana, ma che
richiede una mediazione comunicativa adatta a un uditorio contrassegnato per un
verso dall’ignoto senso di Dio, per altro verso dalla ricerca di senso di un Dio
ignoto, in cui le parole migliori sono i fatti capaci di diventare parola
(relazione Accorinti).
Vangelo per la vita, vita aperta al vangelo
In questo quadro il card. Ruini, nello spirito della mediazione secondo il
“progetto culturale in senso cristiano”, ha detto che è indispensabile saper
coniugare dato evangelico e condizione della persona umana, perché vangelo e
vita si incontrino come vangelo per la vita e come vita aperta al vangelo.
L’umanesimo avulso dal vangelo rischia di sfociare in un tragico dis-umanesimo.
Riflettendo su questo binomio vangelo e cultura si evidenzia una particolare
esigenza che rende nuova la coscienza del missionario: Colzani l’ha chiamato
“dialogo interculturale” caratterizzandolo come attenzione ai contesti
socio-ecclesiali per un nuovo modo d’essere persone, come stima dell’altro in
quanto persona, come atteggiamento di dono e capacità di narrazione. In tal modo
si sono stati richiamati tutti gli elementi utili a costruire la mentalità
dell’evangelizzatore odierno.
Intervenendo più sul versante dell’operatività, il noto catecheta fratel Biemmi
ha innanzitutto richiamato la necessità di passare oggi dalla fede supposta alla
fede proposta: un “esodo” che rivela la necessità di un secondo annuncio dopo il
primo ampiamente dimenticato e che esige un’evangelizzazione che va
intelligentemente inserita entro “la prospettiva iniziatica secondo
l’ispirazione del modello catecumenale”. Ha richiamato poi il metodo di
evangelizzazione propria di Gesù: si tratta del “metodo della semina” abbondante
e non di quello della piantagione di alberi; si tratta di agire cioè “dislocando
la proposta di fede nei luoghi di vita della gente”. Da qui deriva che l’incipit
dell’evangelizzazione è l’amen finale del Credo, la testimonianza della vita
delle persone per giungere alla sorpresa della bella notizia di Gesù Cristo che
vuole la loro felicità.
Il campo si è ancora più approfondito entrando nell’area della vita dei
consacrati con l’intervento di p. Buffon. Egli ha ricordato soprattutto che
l’eredità conciliare si è oggi configurata come passaggio dal piano dell’agire a
quello dell’essere, dall’essere per all’essere con, invitando a elaborare stili
di vita e nuove metodologie apostoliche al fine di rinnovare un’immagine
dell’istituzione religiosa capace di reinventare la sua capacità d’essere segno
parlante.
Il segretario generale della CIVCSVA, mons. Tobin, ha tratteggiato un progetto
di evangelizzazione che si addice ai consacrati. «Con stile sapienziale condito
da humor alfonsiano-americano – commenta don Bissoli – ha prima enunciato alcune
sfide per l’evangelizzazione: un certo annuncio di Gesù non è più comprensibile
dalla gente perché non tocca la vita, il dono della salvezza non è più capito
come necessario (ma fuori della salvezza non vi è cristianesimo!); la presenza
in alcuni luoghi di evangelizzazione in cui i religiosi possono dare uno
specifico contributo (la periferia delle città, i giovani come ‘nuovi poveri)».
Mons. Tobin ha nel contempo indicato tre fattori di speranza: a) la
missionarietà, fattore costitutivo della Chiesa: finché vi sono missione e
missionari vi saranno vocazioni religiose; b) il seme evangelico ha prodotto la
vita dove non c’era: anche in una società secolarizzata dunque vi sono valori
dai quali ripartire quali solidarietà, volontariato, diritti umani, da collegare
con Vangelo e riflessione sociale della Chiesa; l’internazionalità degli
istituti religiosi capaci di formare una rete globalizzata, promuovendo dialogo
e scambio reciproco.
Tutti questi apporti sono confluiti nel lavoro dei gruppi articolati su tre
piste: come porre la parola di Dio all’opinione pubblica, quale proposta di fede
a gente secolarizzata, come ridare radici cristiane e senso di appartenenza a
Cristo alla società attuale.
Progetto Cism per la famiglia
La novità del convegno però, ha sottolineato sempre don Bissoli chiamato a
offrire le conclusioni, è consistita nel fatto che si è «voluto dare volto e
operatività al progetto di evangelizzazione triennale degli istituti religiosi
giocando sul mondo della famiglia, nel quale proprio i consacrati/e hanno
risorse non comuni di qualità comunicativa e di tempo a disposizione». Senza
famiglia l’evangelizzazione perde un luogo vitale e la famiglia senza Vangelo si
indebolisce.
Gli elementi più significativi del progetto sono stati illustrati dal
passionista p. Taccone. La famiglia è scelta pastorale di Dio: su questo punto
c’è bisogno di conversione; si richiede una maturazione di mentalità con
progettazione adeguata da parte degli istituti. La seconda convinzione riguarda
il progetto concreto basato su tre punti di vista interagenti: a) la missione
alla famiglia centrata su un gruppo parrocchiale dedito specificamente alla
famiglia sul territorio (missionari interni con l’appoggio di un gruppo esterno
specializzato di consacrati/e; b) la missione nella famiglia attraverso un
cammino di crescita a livello di coppia e a livello genitoriale); c) missione
della famiglia che si rende capace di servire il Vangelo: presenza attiva di
coppia per creare relazioni nel proprio contesto sociale, annuncio di coppia a
tutte le varie età in parrocchia; sussidi formativi che accompagnano incontri
periodici stabili per missionari interni ed esterni.
Il “progetto triennale” è stato accolto come proposta valida e coinvolgente. La
sua realizzazione dovrebbe avvenire attraverso mediazioni diverse come missioni
al popolo, iniziazione cristiana dei piccoli, missione ai giovani, scuola
cattolica, proposte di movimenti ecc. Siamo di fronte a un convegno-laboratorio
su un tema arduo e impegnativo, che richiede preparazione e formazione.
L’evangelizzazione (termine che qui possiamo ritradurre come “assunzione di una
missione”) è stata avvertita come vocazione radicale dell’essere religiosi/e. Se
non si è missionari non si è nemmeno religiosi genuini e fare missione alla
famiglia, nella e con la famiglia è anzitutto un dono di Dio, da accogliere
nella preghiera e nell’esperienza concreta.