«Nel prossimo mese di ottobre mi recherò pellegrino nella città di san
Francesco, invitando a unirsi a questo cammino i fratelli cristiani delle
diverse confessioni, gli esponenti delle tradizioni religiose del mondo e,
idealmente, tutti gli uomini di buona volontà, allo scopo di fare memoria di
quel gesto storico voluto dal mio predecessore e di rinnovare solennemente
l'impegno dei credenti di ogni religione a vivere la propria fede religiosa come
servizio per la causa della pace». Con queste parole Benedetto XVI lo scorso 1
gennaio, Giornata della pace, ha annunziato questa decisione, un gesto
coraggioso di fede e speranza che riempie di gioia coloro che hanno a cuore la
pace e il dialogo interreligioso, e che è quasi una promessa per consolare
quelli che soffrono a causa della loro religione. È anche un gesto profetico e
significativo, perché Benedetto XVI nel suo pontificato sembra accogliere,
giorno dopo giorno, con un cuore sempre più grande, le istanze che vengono dal
mondo. Credo che tutti noi, sicuramente noi missionari, ce ne rallegriamo,
sapendo che il primo incontro di Assisi del 26 ottobre 1986 fu per la Chiesa
tutta come una folata di vento di Pentecoste che aprì nuove speranze di pace e
inaugurò, ufficialmente, uno nuovo stile di rapporti con le altre tradizioni
religiose del mondo. Fu un gesto tanto nuovo che causò anche delle perplessità e
perfino delle critiche aperte in certi uomini della Curia Romana che obbligarono
Giovanni Paolo II a spiegarsi con questa in occasione dell’udienza di
presentazione degli auguri di Natale.
Si poteva pensare che dopo Redemptoris missio, Dialogo e annuncio e dopo un
secondo incontro di Assisi alla vigilia della guerra dell’Irak, quello sconcerto
fosse ormai rientrato e che ventiquattro anni di dialogo con le religioni non
cristiane, grazie anche alle puntualizzazioni di Dominus Jesus e delle Note
sull’evangelizzazione del 2007, avessero fatto ormai entrare il dialogo
interreligioso nella prassi ordinaria della Chiesa. Nessuno poteva immaginare
invece che la decisione di papa Ratzinger di recarsi ad Assisi suscitasse delle
resistenze di qualche gruppo: se il papa ha deciso di fare questo passo, vuol
dire che s’è reso conto che, non solo non ci sono più obiezioni dottrinali, ma
che ci sono ragioni positive per incoraggiare ogni possibile dialogo tra le
religioni mondiali le quali, per la pace nel mondo, possono fare molto e più di
quello che può fare la diplomazia mondiale.
Una incomprensibile reazione
Ma nella Chiesa cattolica persistono purtroppo persone e gruppi che non riescono
a entrare nella logica del Concilio, che ancora oggi credono che il Concilio sia
stato una sciagura per la Chiesa e che fanno dell’ortodossia (ma sarà poi
ortodossa … la loro ortodossia?) un mezzo per ricostruire la cristianità e
mantenere in piedi quel famoso castello, murato e chiuso, che il Card. Hume
aveva paventato in un famoso sogno dichiarato durante il Sinodo del 1983. La
prova di questa resistenza si trova in un articolo, apparso su Il Foglio dell’11
gennaio 2011, a firma di Francesco Agnoli, un noto tradizionalista di Trento, in
cui insieme ad altri cristiani chiede al Papa di “fuggire lo spirito di Assisi”
e di soprassedere alla sua decisione. Di articoli strani se ne leggono molti, ma
questo oltre che strano, ha il suono del campanello d’allarme nella Chiesa
italiana, il segno di un movimento integrista che sta crescendo anche nella
Chiesa italiana e del quale non ci si può non preoccupare.
Agnoli è l’espressione di una frangia della nostra Chiesa che in questi ultimi
anni si sta consolidando grazie anche alla politica di esclusione e di
intolleranza di una destra che usa la religione per consolidarsi al potere, con
la compiacenza (duole veramente dirlo) di certi ecclesiastici. Ora questa
frangia, che sarebbe bene dichiarasse le sue vere intenzioni, si mette anche a
fare la predica al papa. Scriveva a questo proposito Alberto Melloni sul
Corriere della Sera dell’11 gennaio 2011, che l’obbedienza dovuta al papa «può
essere offesa sia con la esplicita ribellione al suo ministero d’unità sia con
quello zelo untuoso e cortigiano che cerca di impossessarsi di qualche brandello
del suo magistero per bastonare coloro che la pensano diversamente». Questo è
ciò che appare nell’articolo del Foglio che è disgustoso per il suo genere
letterario fatto, cito ancora Melloni, “di adulazione intimidatoria” e di
“ricatto laudativo”. L’appello di quei zelanti cattolici, in cui si prega
Benedetto XVI di disertare l’incontro dei capi delle Chiese cristiane con i
leader delle religioni mondiali, richiama alla memoria del papa (!) “l’orrore
sincretistico” dell’incontro di preghiera del 1986, che aveva portato legna al
fuoco del relativismo e dato fiato a quei teologi cattolici, che sono in realtà
meno e meno seguiti di quanto non tema Agnoli, i quali non riconoscono a Gesù
Cristo il ruolo di unico Salvatore del mondo. L’articolo ricorda ancora con
disgusto e scandalo la profanazione delle chiese d’Assisi quando si sono visti
«i rappresentanti di tutte le religioni in un tempio cattolico con in mano un
ramoscello d’ulivo … la preghiera dei mussulmani in Assisi, città di un Santo
che aveva fatto della conversione degli islamici uno dei suoi obiettivi … i
polli sgozzati sull’altare di santa Chiara secondo riti tribali … e la testa di
Budda posta sopra l’altare della chiesa di san Pietro, sopra le reliquie di San
Vittorino» e richiama al papa, come se gli non lo avesse già fatto
pubblicamente, i recenti martiri per la fede.
Opposizione al dialogo interreligioso e al Concilio
Questi cattolici superzelanti, che ricordano quelli che fecero tanto tribolare
Paolo e certi ufficiali della curia romana che il Concilio non l’hanno mai
digerito, temono che il “pregare insieme” induca la convinzione che si preghi
“lo stesso Dio” solo con nomi diversi, e invitano il papa a non contribuire a
consolidare il relativismo che egli costantemente combatte e, con fine scelta di
argomenti, gli ricordano di aver lui stesso messo qualche puntino sugli i al
tempo del primo incontro di Assisi, quando era Prefetto della Congregazione
della dottrina della fede. Questo tentativo, che si rivela abbastanza rozzo e
non tiene conto dell’intelligenza e della preparazione teologica di questo papa,
di intimidirlo e impedirgli di andare ad Assisi, sembra tuttavia avere un
obiettivo ben chiaro. Agnoli e Compagni, visto che ormai il papa ad Assisi ci
andrà comunque, probabilmente si accontenterebbero di riuscire a svalutare agli
occhi della gente l’importanza di questo nuovo incontro e di minimizzare la
qualità della presenza del papa; basterebbe loro di ottenere che egli
annacquasse il suo discorso, in modo che nessuno lo potesse poi usare per
promuovere il dialogo interreligioso, che essi ritengono una sconfessione della
fede, mentre il papa lo ha ormai assunto come un punto forte della missione
della Chiesa, anche se da Prefetto l’aveva avversato. Gli estensori
dell’articolo sperano forse di estrapolare domani dalle affermazioni del papa ad
Assisi qualche possibile citazione da brandire come una clava contro quelli che
cercano di mantenere aperto il dialogo con il mondo delle religioni e con il
mondo tout court, questo mondo che sta voltando le spalle alla Chiesa e al quale
invece bisogna cercare di aprire le porte, certo non nell’indifferentismo e del
relativismo, ma in dialogo chiaro, coraggioso eppure benevolo, fatto senza
nascondere nulla, come insegnano Redemptoris Missio e Dialogo e annuncio, ma
anche senza demonizzare chi appartiene alle altre religioni e senza chiudere
loro pregiudizialmente le porte.
Dobbiamo una grande riconoscenza a Giovanni Paolo II per aver avviato gli
incontri di Assisi, che ogni anno vengono ripetuti, su scala minore ma con la
medesima finalità, dalla Comunità di S. Egidio, perché ha sciolto la rigidità
della Chiesa nel campo del dialogo con le grandi religioni. Queste non sono e
non possono essere considerate dei cammini di salvezza alla stessa maniera del
cristianesimo, ma questo non significa che non abbiano un valore e che dialogare
con esse sia solo una pericolosa deriva che conduce al relativismo. Ma siamo
ancor più grati a Benedetto XVI per aver ripreso con la sua autorevolezza lo
spirito di Assisi. La Chiesa e il mondo hanno bisogno di respirare l’aria aperta
e forte del dialogo e della carità universale, di questi gesti ecumenici che la
aprono al grande vento dello Spirito “che soffia dove vuole e come vuole” e che
è presente nel mondo anche fuori dei confini della Chiesa (si legga Redemptoris
missio n. 28). Le rivendicazioni identitarie che caratterizzano le frange
nostalgiche della Chiesa, oltre a negarne la cattolicità, le impediscono il
cammino di apertura verso una piena assimilazione del Concilio e verso il futuro
della Chiesa.
L’invito del card. Bagnasco
In vista di questo importante appuntamento di Assisi, il card. Bagnasco, nella
prolusione alla riunione del Consiglio permanente della CEI (Ancona, 24 - 27
gennaio 2011) ha detto: «Ci piacerebbe che i nostri fedeli mettessero fin d’ora
in moto il cuore e l’anima così da preparare spiritualmente e culturalmente
l’Italia ad accoglierlo come conviene. Per questa convocazione del Santo Padre,
le comunità parrocchiali e quelle religiose sono chiamate infatti a pregare in
modo speciale ci piacerebbe che i nostri fedeli mettessero fin d’ora in moto il
cuore e l’anima così da preparare spiritualmente e culturalmente l’Italia ad
accoglierlo come conviene. Per questa convocazione del Santo Padre, le comunità
parrocchiali e quelle religiose sono chiamate infatti a pregare in modo
speciale, sulla scia della giornata di preghiera indetta per domenica 21
novembre, affinché il Dio di ogni misericordia voglia far scendere da essa
frutti copiosi di concordia e di pace ».