Lo scorso 10 dicembre Benedetto XVI ha riconosciuto ufficialmente la verità
del miracolo ottenuto per l’intercessione del beato Guido M. Conforti e ha
deciso di procedere alla sua canonizzazione. La data non è stata ancora fissata,
ma tutto fa pensare che essa coinciderà con il mese missionario, il prossimo
ottobre 2011. Non c’è bisogno che i Missionari Saveriani dichiarino la loro
gioia e soddisfazione nel vedere riconosciuta la santità di colui che, non
potendo diventare missionario, si è impegnato con tutte le sue energie
spirituali e le risorse materiali a sua disposizione per fondare una famiglia di
missionari da inviare nel mondo in obbedienza al comando di Cristo: “Andate nel
mondo intero e predicate il Vangelo a ogni creatura”.
Nel 1895, quando non aveva che trent’anni ed era ancora un giovane insegnante e
formatore del seminario diocesano di Parma, Guido M. Conforti ebbe il coraggio
di pensare di dare vita a una congregazione missionaria che aveva allora come
orizzonte la lontana e immensa Cina che per più di cinquant’anni fu l’unico
campo di lavoro dei missionari saveriani. Dopo la definitiva chiusura di questa
nazione all’azione missionaria nel 1954, i figli di mons. Conforti si sono
dispersi nel mondo e oggi si trovano in Africa (Sierra Leone, Cameroun, Ciad,
Repubblica Democratica del Congo, Burundi e Mozambico), in America Latina
(Amazzonia nel nord del Brasile e Brasile del sud, Colombia e Messico) e in Asia
(Giappone, Indonesia, Bangladesh, Filippine, Taiwan e Cina) oltre che in Europa
(Italia, Spagna e Gran Bretagna) e in America settentrionale (USA). Lo scopo
unico della congregazione di mons. Conforti è quello di annunciare il Vangelo e
di fare del mondo una sola famiglia di figli di Dio.
Per noi missionari saveriani non ci poteva essere un regalo di Natale più
prezioso e più bello di questa decisione del papa di iscrivere mons. Conforti,
beatificato nel 1996, nell’albo dei santi. Già si sta mettendo in moto la
macchina organizzativa per celebrare degnamente la canonizzazione del fondatore.
Ma la cosa più impegnativa per noi, suoi figli, è l’impegno a fare di questo
momento di grazia l’occasione per crescere nella somiglianza a nostro Padre, di
diventare santi come lui, facendo della nostra vita un annuncio vivente del
Vangelo, pronti ad andare ovunque ci sia ancora qualcuno che non conosce Gesù
Cristo. Alla fierezza di essere figli di questo nuovo santo e, nello stesso
tempo, alla coscienza di essere ancora lontani da questa somiglianza, vorremmo
che corrispondesse la ferma decisione di “mettercela tutta” per essere degni di
tanto Padre.
Il significato di questa canonizzazione
Noi ci chiediamo anche quale sia il messaggio che questa canonizzazione offre
alla Chiesa universale, perché siamo convinti che non avrebbe senso procedere a
un simile atto, se questo avesse come scopo la gloria e la glorificazione della
congregazione. Il rischio di farne un’occasione di trionfalismo e di
autocelebrazione non è da escludere. Bisogna anzi vegliare che questo non
avvenga. In realtà non è necessaria una dichiarazione di santità di una persona,
se essa è santa che tale non diventerebbe, se non lo fosse, per il fatto di
essere dichiarata tale. Noi però siamo convinti che c’è qualcosa d’altro per cui
vale la pena che mons. Conforti sia elevato alla gloria degli altari. È il
messaggio o, meglio, la provocazione e la sfida che questa canonizzazione offre
al mondo e alla Chiesa di oggi. Mons Conforti, al momento di concepire quello
che lui chiama appunto il suo audace disegno di dar vita a una congregazione di
missionari, era un semplice sacerdote, di poca salute, impegnato nel ministero
diocesano. Tutto sembrava sconsigliargli di procedere in quella direzione. Era
un tempo in cui la Chiesa in Italia, e non solo quella di Parma, aveva bisogno
di sacerdoti, era un tempo di difficoltà sociali che chiedevano un supplemento
di impegno nella formazione delle comunità cristiane. Egli stesso, proprio
mentre i primi suoi missionari partivano per la Cina e iniziavano il loro
ministero, venne tolto dalla direzione dell’Istituto nascente, da Leone XIII che
lo inviò come arcivescovo a reggere la Chiesa di Ravenna. Dopo soli tre anni
dovette rinunciare alla carica per una grave forma di deperimento fisico che lo
stava portando alla tomba. Dopo qualche anno di cura a Parma, nei quali riprese,
quanto poteva, la cura diretta del suo istituto, fu di nuovo chiamato da Pio X a
essere vescovo di Parma dove rimase fino alla sua morte avvenuta nel 1931 a 66
anni.
Conforti spese dunque la maggior parte della sua vita come vescovo di queste due
chiese in Italia, ma seppe coniugare, e non solo mettere insieme, la cura per la
propria diocesi con quella della missione universale. Ravenna, Parma e la Cina
furono per lui un unico amore cui dedicò tutto se stesso senza togliere nulla né
alla missione né alla cura della diocesi. Guido M. Conforti aveva compreso,
prima ancora che questo diventasse con il concilio Vaticano II dottrina comune,
che la missione della Chiesa era una sola, sia che essa si svolgesse a Parma o
in Cina. Aveva capito anche che dal fervore missionario della chiesa di Parma
dipendeva il benessere della comunità cristiana in Cina e, viceversa, che dalla
qualità della vita cristiana in Cina sarebbe venuto uno stimolo per la fede
della Chiesa in Italia. Era per lui chiaro che non si potevano separare le due
dimensioni, locale e universale, della Chiesa e della missione. Anzi, che esse
erano tra loro intimamente legate come più tardi dirà Giovanni Paolo II in
Redemptoris missio n. 34: «I confini fra cura pastorale dei fedeli, nuova
evangelizzazione e attività missionaria specifica non sono nettamente
definibili, e non è pensabile creare tra di esse barriere o compartimenti-stagno
(.…) Senza la missione ad gentes la stessa dimensione missionaria della Chiesa
sarebbe priva del suo significato fondamentale e della sua attuazione
esemplare». Infatti l’esperienza mostra che esiste «una reale e crescente
interdipendenza tra le varie attività salvifiche della Chiesa: ciascuna
influisce sull'altra, la stimola e la aiuta. Il dinamismo missionario crea
scambio tra le chiese e orienta verso il mondo esterno, con influssi positivi in
tutti i sensi».
Anche oggi c’è bisogno di una visione globale della missione e il Conforti ci
ricorda che solo l’apertura alla missione ci salva dal rischio di naufragare nei
problemi della Chiesa del nostro paese. È quindi importante e urgente che le
chiese di antica origine rimangano aperte alla missione ad gentes, perché
proprio in un tempo di facile comunicazione come è il nostro, corriamo il
rischio di rimanere intrappolati nei problemi interni alla Chiesa, legati per
esempio alla mancanza di clero, alla ristrutturazione della pastorale,
all’indifferenza religiosa ecc. Ma questo messaggio è rivolto anche alla società
civile che rischia di subire forme di particolarismo e di chiusura nei confronti
degli altri, precludendosi la possibilità di ricevere il contributo che questi
ultimi possono darci e rimanendo prigioniera di crisi identitarie molto
pericolose mons Conforti richiama tutti all’importanza di tenere aperti gli
orizzonti e di respirare a pieni polmoni l’aria del mondo intero. Le scelte e il
comportamento ecclesiale di mons. Conforti brilleranno davanti ai nostri occhi
con il fascino della santità, per farci uscire dall’indifferenza per i problemi
degli “altri”, di coloro che non sono della nostra chiesa o della nostra patria,
per superare ogni campanilismo e per protenderci, invece, verso l’orizzonte del
mondo e della storia, pronti a pagare di persona le spese di questa apertura
missionaria universale.
La sua canonizzazione farà comprendere che la missione è ancora un compito
attuale da svolgere oggi con intelligenza, coraggio e creatività, come egli
seppe fare all’inizio del secolo sorso. Questa capacità di parlare anche oggi, è
la ragion d’essere di questa canonizzazione, come di tutte, questa è la sfida
che ci viene dalla contemplazione da questo nuovo Santo.