Dal 26 al 28 novembre u. s., sotto il diretto coordinamento del direttivo generale, si è svolto a Roma il terzo incontro di tutti gli ispettori salesiani (una trentina) delle tre regioni europee (Nord, Ovest e Italia-Medio Oriente ). Lo scopo era quello di sottoporre a verifica il presente e di programmare il futuro del “Progetto Europa”, questa nuova e impegnativa pagina di vita salesiana espressamente voluta dall’ultimo capitolo generale del 2008 (il 26°). Si tratta, forse, del “Progetto” più organico e sistematico con cui un istituto religioso sta seriamente rispondendo alle tante sfide lanciate dall’Europa di oggi. Proprio per questo è comprensibile il crescente interesse con cui si guarda ad esso anche da parte di non pochi altri istituti religiosi.
Aprendo i lavori di questo vero e proprio “laboratorio europeo” - a cui, insieme ad alcuni altri ospiti come il ministro generale dei conventuali, la superiora generale, la sua vicaria e la responsabile della pastorale giovanile delle Figlie di Maria Ausiliatrice, ho avuto l’opportunità di partecipare - il rettor maggiore, don Pascual Chávez, ha precisato subito che non era sua intenzione limitarsi a fare il “punto della situazione”. Rifacendosi ai lavori dell’assemblea dei superiori generali (sulla VC in Europa) che si era conclusa proprio nella stessa mattinata del 26 novembre con l’udienza del Santo Padre , si è invece ampiamente soffermato sulle sfide che la crisi culturale e morale dell’Europa sta oggi ponendo alla Chiesa nel suo complesso e a tutti gli istituti religiosi in particolare.
Nell’Europa di oggi, dov’è nata la VC, ha detto, «c’è il rischio che (essa) possa sparire, almeno nelle forme finora conosciute. La sua scomparsa metterebbe a rischio non soltanto tanti carismi, ma anche l’evangelizzazione». Il futuro della VC «non dipende tanto da una sua riorganizzazione, pur necessaria, anche se profonda e dolorosa, da una migliore utilizzazione delle risorse, personali e finanziarie, da una ricollocazione delle presenze, ma primariamente (dipende) da una sincera e radicale ricerca di Dio, da una conversione totale a Cristo». Senza una prioritaria e profonda rinascita spirituale del carisma in ciascun confratello e in ogni singola comunità, tutti gli altri rilevanti aspetti del “Progetto” non avrebbero futuro. Date le sue inevitabili ripercussioni su tutte le altre presenze salesiane nel mondo, volutamente il “Progetto Europa” è stato assunto come tale dall’intera congregazione e non solo dai salesiani attualmente impegnati nel nostro continente.

Una valutazione molto realistica

Dati alla mano, penso che ben pochi istituti possano ancora oggi vantare una presenza così numericamente rilevante anche in Europa come i salesiani. Complessivamente (su un totale attuale di circa 16.000 religiosi) sono presenti con 6.700 confratelli, in 44 paesi, con 30 ispettorie e due delegazioni. Basterebbe il semplice elenco di tutte queste nazioni, per avere immediatamente la percezione della diversità e della complessità culturale, linguistica, politica, religiosa a cui è chiamato a far fronte il “Progetto Europa”.
Nel corso dell’incontro è stato esemplare il contributo di tutti i partecipanti nel far emergere realisticamente gli aspetti positivi e quelli problematici del lavoro finora compiuto. Nessuno si illude sul futuro sicuramente “in salita” che attende i salesiani sul fronte europeo. Fin dall’inizio del “Progetto”, sia in riferimento alla rinascita spirituale del carisma che alla sua dimensione “missionaria”, si era esplicitamente parlato di una rivitalizzazione “endogena” da una parte, e dell’auspicabile possibilità, anzi della necessità”, del coinvolgimento di “missionari” non europei, provenienti, quindi, da altri continenti, dall’altra.
Non sono mancate, da parte di alcuni ispettori, puntuali precisazioni proprio su questi due aspetti. Alcuni, ad esempio, non ritengono appropriata la qualifica di “endogena” riferita alla rivitalizzazione del carisma. Una simile qualifica, infatti, porterebbe subito a pensare ad un “Progetto” interamente affidato ai confratelli europei. Per altri, poi, sarebbe inopportuna la definizione di “missionari” assegnata ai confratelli provenienti da altri continenti e disponibili ad inserirsi nel “Progetto Europa”.
Al di là, comunque, di questi rilievi che hanno conferito un tono d’indubbia concretezza e serietà all’incontro, varrebbe la pena rileggere in controluce i tanti interventi ascoltati nel corso dei lavori. Subito dopo il discorso introduttivo del rettor maggiore, ha preso la parola il vicario generale, don Adriano Bregolin, per presentare le convergenze, gli orientamenti e le sfide emerse dallo studio fatto a livello di direttivo generale in riferimento alle tre regioni salesiane in Europa. Mentre i cammini di ricollocazione hanno direttamente a che fare con la significatività delle presenze salesiane in Europa, nello stesso tempo si dovrà guardare con sempre maggior attenzione alle “nuove frontiere”, uno dei temi “caldi” dell’ultimo capitolo generale. «Non si tratta di un’operazione di ritirata strategica, ha detto don Bregolin, quanto piuttosto di una ricollocazione intelligente e significativa delle nostre presenze».

Motivi di interesse e difficoltà

Proprio in ordine a questi specifici obiettivi, i tre consiglieri regionali (don Marek Chrzan per l’Europa Nord, don José Miguel Núñez per l’Europa Ovest e don Pier Fausto Frisoli per l’Italia-Medio Oriente) hanno cercato di sintetizzare sia i motivi di interesse che le difficoltà riscontrate finora, tanto a livello regionale che ispettoriale, nella realizzazione del “Progetto”. A detta di don Frisoli, ad esempio, i motivi di interesse, manifestati soprattutto dai giovani religiosi della sua regione, non mancano di certo. Insieme all’opportunità di rilanciare il carisma in Europa, viene sempre più chiaramente percepita «la necessità di uscire da schemi chiusi della propria ispettoria per non rimanere ai margini dell’Europa».
Soprattutto a livello ispettoriale, però, il “Progetto” «non appare chiaro nei suoi risvolti concreti». Insieme ad una maggiore informazione e ad una più urgente e specifica formazione, «emergono interrogativi circa la possibilità di inculturazione di confratelli provenienti (come “missionari”) da altri continenti». Non mancano, inoltre, concrete resistenze da parte di diversi confratelli «a mettersi in discussione». L’invecchiamento rende sempre più difficile «sognare in termini di futuro». Lo stesso ridimensionamento «non è visto in chiave progettuale e l’affidamento ai laici è talvolta subìto e visto come ultima spiaggia». Si fa una grande fatica a vivere una “conversione pastorale” che passi «da una prospettiva di mantenimento ad una missione», sentendosi assolutamente “inadeguati” al compito.
Nell’immediato futuro andranno approfondite le “ragioni fondanti” del “Progetto Europa”, condividendo soprattutto tra i diversi ispettori e nei rispetti consigli ispettoriali «i criteri di significatività, di ridimensionamento e di ricollocazione delle presenze». Proprio in riferimento a questi specifici criteri, don Frisoli ha avuto modo, nel corso dei lavori, di riprendere il discorso in un secondo intervento molto più articolato e che meriterebbe di essere ripreso in altra occasione.
Insieme ai consiglieri regionali, hanno offerto un breve contributo di riflessione, in stretto riferimento al proprio specifico settore, anche i consiglieri generali della formazione (don Francesco Cereda), della pastorale giovanile (don Fabio Attard), della comunicazione sociale (don Filiberto González), delle missioni (don Václav Klement). Pensando alle ragioni di fondo del “Progetto Europa”, un continente, cioè, sempre più in “stato di missione”, le osservazioni di don Klement non potevano non essere, in qualche modo, le più attese. Anche se dopo il 26° capitolo generale sono stati inviati come “missionari” 24 confratelli in cinque ispettorie europee, però la difficoltà maggiore rimane sempre quella dei «pochi candidati che chiedono esplicitamente al rettor maggiore di essere inviati in Europa». In alcuni casi di confratelli non europei, subentra uno stato di paura di fronte all’immagine di un continente sempre più secolarizzato.

Quale status per i confratelli “missionari”?

Sia don Klement, come altri per la verità, hanno chiaramente percepito il fatto che «le stesse sfide attuali dell’Europa, diventeranno probabilmente nel futuro anche le sfide di altri continenti», in particolare di quello latino americano. Le difficoltà incontrate nelle ispettorie non europee in ordine all’invio di nuovi missionari, continuano ad essere sempre numerose. In alcuni casi, il progetto non è assolutamente conosciuto, oppure è stato percepito solo come un semplice scambio di personale tra un’ispettoria e l’altra. Soprattutto non è ancora del tutto chiarito lo “status” dei confratelli “missionari”. Si tratta, forse, di missionari “ad gentes” o di semplici inviati “ad tempus”? Le comunicazioni finora trasmesse a livello di congregazione non avrebbero ancora generato un interesse particolarmente significativo in quei confratelli che potrebbero essere anche pronti ad offrire la propria disponibilità. Non mancano confratelli, anzi, disponibilissimi, ma per delle ragioni personali totalmente opposte a quelle richieste dal “Progetto “. Il dubbio forse più persistente si muove sempre attorno allo specifico contributo che un confratello non europeo potrebbe dare una volta proiettato in Europa. Un asiatico, un africano, ad esempio, quale impatto e fino a che punto potrebbe calarsi nella cultura europea? Non basta essere “bravo confratello e bravo salesiano”. Non basta un vago desiderio di lavorare con i giovani poveri in Europa. Non basta «solo un entusiasmo superficiale per le missioni, che poi non dura molto nel tempo se non è maturato con l’assunzione di atteggiamenti concreti».
La testimonianza di un confratello “missionario” indiano, don Simon Manjooran, attualmente responsabile della presenza salesiana in Ungheria, è stata, per la verità, assolutamente positiva. «Quando arrivammo in Ungheria, quattro missionari vietnamiti e due indiani, fummo accolti con molta gioia e accettati senza alcun problema». Riflettendo sulla sua esperienza missionaria ungherese soprattutto all’interno di una vasta comunità di “Gipsy” (zingari), «sono stati, ha detto, gli anni più belli della mia vita salesiana». Le difficoltà linguistiche e culturali si possono superare solo con «molta pazienza, umiltà e perseveranza». La difficoltà maggiore incontrata in Ungheria? “La solitudine”, per il semplice fatto che spesso «non hai nessuno con cui condividere le tue difficoltà, le tue fatiche o una diversa visione della vita salesiana».
Il prossimo appuntamento di tutti gli ispettori salesiani europei è già previsto per la fine del 2012. Per quanto concerne le tre aree fondamentali della rivitalizzazione (“endogena”) dell’identità carismatica salesiana, poi della risignificazione, ricollocazione e ridimensionamento delle presenze salesiane e, infine, della visione dell’Europa come vera e propria “terra di nuova evangelizzazione» - questo terzo incontro si è concluso con una serie di specifici adempimenti da parte di tutti i più diretti soggetti interessati: rettor maggior e consiglio generale, regioni e ispettorie europee. Il “Progetto Europa” si prospetta come una vera e propria «scommessa sul futuro». Il coraggioso discernimento messo in campo in questo terzo incontro, è la migliore e più sicura garanzia di un futuro fondatamente aperto alla speranza.