Come di consueto, anche quest’anno, l’11 febbraio, ricorrenza della memoria della beata Vergine di Lourdes, si celebra in tutta la Chiesa la Giornata mondiale del Malato. Il papa, nel suo messaggio, che prende lo spunto dalla frase della prima Lettera di Pietro “dalle sue piaghe siete stati guariti” (2,34) invita a guardare al Cuore di Gesù «in cui si manifesta in sommo grado l'amore di Dio». Scrive, infatti, «Il Sacro Cuore è Cristo crocifisso, con il costato aperto dalla lancia dal quale scaturiscono sangue ed acqua (cfr Gv 19,34), “simbolo dei sacramenti della Chiesa, perché tutti gli uomini, attirati al Cuore del Salvatore, attingano con gioia alla fonte perenne della salvezza» (Messale Romano, Prefazio della Solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù). Rivolgendosi quindi ai malati, aggiunge: «Specialmente voi, cari malati, sentite la vicinanza di questo Cuore carico di amore e attingete con fede e con gioia a tale fonte, pregando: “Acqua del costato di Cristo, lavami. Passione di Cristo, fortificami. Oh buon Gesù, esaudiscimi. Nelle tue piaghe, nascondimi” (Preghiera di S. Ignazio di Loyola) ».

In vista di questa ricorrenza riprendiamo i principale passaggi della lettera del superiore generale dei cottolenghini, don Aldo Sarotto, scritta in data 2 settembre 2010, dal titolo espressivo Consolati, Consoliamo!..,. si prese cura di lui, tema scelto per il piano pastorale dell’istituto per l’anno 2010-2011. È un tema che si ricollega strettamente alla spiritualità e alle intenzioni del Cottolengo, fondatore della Piccola Casa della Divina Provvidenza, il quale ha dato inizio a questa opera «per accogliere i malati, i più poveri e abbandonati della società per far sentire loro la consolazione che viene da Dio». Ogni uomo ha bisogno di essere consolato, ma soprattutto il malato al quale, sottolinea don Sarotto, non basta prendersi cura del corpo, ma anzi prima ancora, dello spirito. «La consolazione – scrive – esige di arrivare al cuore della persona, di penetrare nell'intimo, senza giudicarla, fino a raggiungere la disponibilità a condividere con lei tutto».
Ascoltiamo ciò che scrive don Sarotto per farne oggetto di meditazione per la Giornata mondiale del malato.

La consolazione viene da Dio

La vita dell'uomo è strettamente legata a Dio! Da Lui riceve la vita stessa, la grazia che toglie il peccato, la capacità e la forza per vincere il male e compiere il bene. Eppure ogni uomo sperimenta drammaticamente su di sé la forza del male, la pesantezza della sofferenza, la difficoltà del vivere in determinate situazioni: quante volte l'uomo, sentendo stretto il giogo, si ribella o si rivolta contro Dio? L'uomo vorrebbe fare a meno di Dio e fare da solo, a volte si illude di aver conquistata la libertà che presto si manifesta menzognera, e lentamente ritorna sui suoi passi. Il ritorno a Dio fa sperimentare all'uomo, non la sua sconfitta, ma la presenza discreta e consolante di Dio. Quante volte nella Scrittura, attraverso l'esperienza concreta di vita di tante persone, ritroviamo questa dinamica della scoperta gioiosa e consolante di Dio accanto all'uomo!
Nella Scrittura appare chiaramente che l'unica sorgente della consolazione è Dio (2 Cor 1,3-4) per mezzo di Gesù Cristo (2 Cor 1,5) e del suo Spirito (At 9,31).
La consolazione è annunziata dai profeti come caratteristica dell'era messianica ha il significato di dire che è terminato il tempo della prova e sta per iniziare un' era di pace e di gioia (Is 40,1).
Il termine “consolare” racchiude in sé una ricchezza di significati che vanno letti insieme per coglierne e gustarne tutte le sfumature: dal “tirare il fiato” in una situazione di dolore al “respirare profondamente”; dal “portare sollievo” al “confortare, sostenere, incoraggiare”, ...
La cosa straordinaria per noi è comunque scoprire che Dio, non solo non ci abbandona nelle difficoltà e nelle sofferenze, ma che “si prende cura di noi”: "porta gli agnellini sul petto e conduce dolcemente le pecore madri" (Is 40,10)…

Gesù consola  tutto l'uomo

Quale più grande consolazione potrebbe desiderare l'uomo se non di essere salvato e avere la vita nuova? Dio salva l'uomo e lo salva nella sua interezza. L'amore di Dio, nonostante la nostra indegnità, viene dentro di noi, ci risana e ci salva.
Ci soffermiamo a meditare su una pagina del vangelo di Marco (Mc 2,1-12) che conosciamo bene: la guarigione del paralitico.
Gesù resta impressionato dalla fede pratica e forte di coloro che gli portano davanti questo paralitico; Gesù rimane anche colpito dalla compassione che provano per questo malato impossibilitato a muoversi da solo, e opera per lui la guarigione completa del corpo e dello spirito.
La fede di chi entra in contatto con Gesù è la condizione necessaria che permette a Gesù di operare il miracolo. Nei vangeli è riportato come Gesù in alcune circostanze non poté operare miracoli per mancanza di fede. In questo caso, la fede di coloro che trasportano questo paralitico di fronte a Gesù, permette a Gesù di operare una guarigione completa nello spirito e nel corpo e diventano così il simbolo della comunità cristiana che accoglie al proprio interno ogni persona, e la rigenera nella fede. E una comunità che ha delle attese, ha delle speranze che realizza grazie alla fede in Cristo Gesù. Gesù guarisce quindi non solo la parte fisica malata e più evidente, ma interviene a favore dell'uomo nella sua interezza. Il suo è un “prendersi cura” in modo completo, non solo del corpo, ma anzi prima ancora, dello spirito, i cui limiti non sono così evidenti all'occhio umano. Gesù gli perdona i peccati, gli apre il cuore fino ad allora chiuso e impossibilitato ad accogliere la grazia di Dio, e gli ridona la vita.
Il male non colpisce solo il fisico, ma tutta la persona, dall'intelligenza al cuore, dalla psiche al morale, alla coscienza... Quest'uomo viene da Gesù rigenerato, restituito alla vita nuova, salvato e messo in grado di condividere i dolori, le sofferenze e le speranze degli altri uomini. Appare così evidente come la consolazione genera in questo uomo la conversione del cuore e diventa “sorgente di speranza” per gli altri uomini.

La sofferenza fa parte dell'esistenza umana: deriva dalla sua creaturalità e dal suo peccato. Certamente la sofferenza non si può eliminare completamente ma va combattuta per quanto è nelle nostre possibilità. Il papa Benedetto XVI, nella lettera enciclica 'Spe Salvi', afferma che "la misura dell'umanità si determina essenzialmente nel rapporto con la sofferenza e con il sofferente... Una società che non riesce ad accettare i sofferenti e non è capace di contribuire mediante la compassione a far sì che la sofferenza venga condivisa e portata anche interiormente è una società crudele e disumana" (Spe Salvi n.38)… "Soffrire con l'altro, per gli altri" dice il papa al n" 39 della 'Spe Salvi', e subito dopo pone la domanda: "ne siamo capaci ?"

Siamo capaci di consolazione?


L'interrogativo del papa ci fa comprendere quanto sia urgente entrare nel campo formativo – educativo. Sappiamo quanto carente sia oggi l'educazione e quanto ci sia bisogno di formazione per sostenere i valori fondamentali dell'uomo. In un mondo in cui conta solo l'individuo e la sua autoreferenzialità, i valori tendono a scomparire ingoiati dall'egoismo dominante. Occorre mettersi alla scuola di Gesù, buon samaritano, che ha compassione, che consola, per imparare a prendersi cura del fratello in stato di bisogno. E importante conoscere la persona bisognosa riconoscendo innanzitutto in lei la dignità di 'persona', Entrando in relazione con lei iniziamo ad avere com-passione, cioè a patire insieme con lei. Non è sufficiente, infatti, limitarsi a fare delle cose o a svolgere alcune mansioni, occorre arrivare alla com-passione, occorre “soffrire con l'altro e per gli altri”. Solo così si può giungere alla consolazione come atto di amore.
Gesù ha mostrato il volto del Padre amando l'uomo fino a dare la vita, rivelandoci così come giungere alla consolazione. Non è sufficiente fermarsi un attimo accanto a chi soffre o ha bisogno, neanche limitarsi a dare una pacca sulle spalle e invitare ad andare avanti comunque e poi allontanarsi frettolosamente. La consolazione esige di arrivare al cuore della persona, di penetrare nell'intimo, senza giudicarla, fino a raggiungere la disponibilità a condividere con lei tutto.
Non possiamo comprendere appieno l'arte della consolazione senza guardare a Cristo che è l'unica risposta alla sofferenza, al dolore e alle schiavitù cui è soggetto l'uomo. Gesù continua a dire agli uomini di oggi: "Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro" (Mt 11,28-29) ».

Don Sarotto, descrive qui di l’esperienza che ha guidato il Cottolengo e che ha dato un’impronta fondamentale e originale alla Piccola Casa, che, nella sue intenzioni doveva essere una casa e scuola di comunione per consolare». Pur non trovando nei suoi scritti una trattazione specifica sul tema della consolazione, ha dato tuttavia delle indicazioni precise alle sue suore circa il modo di portare avanti il servizio ai poveri: « Vedete figlie mie, voi servite a questi poveretti, e siete come le loro madri; ma non basta servirli nei mali del corpo, bisogna che li serviate ancora in quelli dell'anima .... Bisogna parlare loro di Dio, ... mostrando che sono figli di Dio ... inculcate sempre che Gesù Cristo è morto per tutti, ... e poi animateli sempre a una grande fiducia di ottenere il Paradiso per i meriti del divin Salvatore".
Se noi inseriamo quanto detto dal Santo nel quadro della sua spiritualità basata sulla grande fede in Dio, sulla preghiera, sul senso della Divina Provvidenza che non viene mai meno e a cui bisogna abbandonarsi, sull'amore dei poveri che sono Gesù, noi comprendiamo come proponeva di consolare i suoi poveri:
– prendersi cura di loro come una madre si prende cura dei figli,
– pensare non solo al corpo ma anche allo spirito,
– far sentire loro la vicinanza di Dio che li ama come figli, e che un giorno godranno del Paradiso con Gesù.
Abbiamo molti elementi – conclude don Sarotto – su cui riflettere per rendere più evangelica la consolazione che offriamo ai nostri fratelli…».