Lo scorso anno, l’appuntamento tradizionale – ma, ci si augura, non puramente rituale – della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani (dal 18 al 25 gennaio) aveva fatto memoria dei grandi movimenti missionari della cristianità, con la celebrazione del centenario della Conferenza missionaria internazionale di Edimburgo, unanimemente considerata l’evento di avvio del cammino ecumenico. In quest’avvio di 2011 sono invece le chiese di Gerusalemme a invitarci a riflettere su quella prima azione evangelizzatrice, per cui il cuore dell'attività dei seguaci di Gesù non si rivelò nell'andare fuori ma nel riunirsi dentro. Siamo così chiamati a contemplare il fulcro della nostra fede, esemplificato nel modo in cui gli apostoli sprigionarono la forza delle parole e delle azioni di Gesù e come queste furono espresse nel loro insegnamento, e nel modo in cui vivevano e celebravano ciò che fu compreso come l'essenza dell'essere un discepolo di Cristo. Ecco il testo, tratto dagli Atti degli Apostoli, offerto dalla chiesa madre della Terra Santa alla meditazione orante di tutti i cristiani nel mondo: “Essi ascoltavano con assiduità l'insegnamento degli apostoli, vivevano insieme fraternamente, partecipavano alla Cena del Signore e pregavano insieme” (At 2, 42). L’unità dei suoi fedeli, per cui lo stesso Gesù pregò nelle sue ultime ore prima della morte in croce (“affinché siano una cosa sola”, Gv 17, 21), è ben rappresentata dagli aspetti cruciali elencati nel passo chiave della Settimana: l'insegnamento degli apostoli, il radunarsi in comunione o koinonia, lo spezzare il pane e la preghiera. Tali elementi costituiscono un marchio di autenticità che sin dalla prima comunità – radunata il giorno di Pentecoste e inviata poi in tutto il mondo per condividere la morte salvifica e la resurrezione di Gesù, offerta liberamente a tutte le genti – si trasmette come continuità nell'apostolicità in ogni chiesa nata da essa.

Dalla torre di Babele alla Pentecoste

È significativo che al cuore dell'evento di Pentecoste narrato dall’evangelista Luca in Atti 2 vi sia un capovolgimento (dall'interno verso l'esterno) dell'esperienza del mondo fino a quel momento. La divisione creata dall'esperienza della torre di Babele (Gen 11,1-9), quando i popoli furono dispersi dalla confusione delle loro lingue, è superata dal dono dello Spirito Santo che rende comprensibile il messaggio degli apostoli nei vari idiomi, ma ancor più è superata dall'unico linguaggio parlato e messo in pratica da Gesù, il linguaggio dell'amore, potenzialmente comprensibile da tutti. Certo, oggi è decisamente precaria la condizione dei cristiani in questa porzione del mondo, com’è stato denunciato apertamente dal recente Sinodo speciale svoltosi a Roma dal 10 al 24 ottobre 2010 su La chiesa cattolica nel Medio Oriente: comunione e testimonianza. ‘La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuore solo e un’anima sola’ (At 4,32). Osservando ciò che là viene detto Medio Oriente, infatti, affiorano, e sono emersi al Sinodo, tanti nodi irrisolti: dalla costante crisi in cui versa il processo di pace nel conflitto israelopalestinese alle mille situazioni delicate (Iraq, Afghanistan, Libano, Egitto, e non solo); dal successo prorompente degli integralismi religiosi alla cronica lentezza del processo ecumenico; dalle troppe memorie incapaci di riconciliazione alla fatica del dialogo tra i membri delle fedi figlie di Abramo. Una serie infinita di grovigli insistenti su un’area la quale, pur essendo stata la culla del cristianesimo, attualmente vede la chiesa di Cristo costituita da piccole minoranze non sempre in armonia fra loro (una considerazione che appare appena un eufemismo…).
Ecco allora che appare quanto mai urgente il bisogno di pregare per l'unità dei credenti: un’unità che non è uniformità, ma vita vissuta in modo autenticamente cristiano che diviene una sinfonia di diversità perché l'unico Spirito continua a comporre la partitura della lode a Dio. Da questo punto di vista, la scelta del passo di Atti 2,42 risulta davvero profetica, quale richiamo alle origini della prima chiesa in Gerusalemme, che invita al rinnovamento e al ritorno all'essenza della fede; e quale chiamata a rivivere il tempo in cui la chiesa era ancora unita.

Quattro elementi peculiari della comunità

All'interno del tema sono qui presentati quattro elementi peculiari della comunità cristiana originaria, essenziali per la vicenda di ogni comunità cristiana ovunque essa si trovi. In primo luogo la parola, che era trasmessa dagli apostoli; in secondo luogo la comunione (koinonia), caratteristica dei primi credenti ogniqualvolta si riunivano insieme; in terzo luogo, anch'esso segno distintivo della prima chiesa, la celebrazione eucaristica (lo spezzare il pane), che fa memoria della nuova alleanza inaugurata da Gesù con la sua sofferenza, morte e risurrezione; in quarto luogo l'offerta di un’incessante preghiera. Tali elementi costituiscono i pilastri della vita della Chiesa e della sua unità. La comunità cristiana della Terra Santa ha inteso porre in rilievo questi dati basilari, esortando a pregare Dio per l'unione e la vitalità ecclesiale dell’intero pianeta, mentre essa lotta per la giustizia, la pace e la prosperità per tutti i popoli di quel territorio.
Nel preparare la celebrazione della Settimana, è doveroso ammettere che, in particolare per il terzo elemento citato da Luca, la situazione fra i cristiani è in realtà, oggi, tutt’altro che segnata dall’unità. La questione della comune partecipazione di tutti i cristiani all'unica mensa del Signore è infatti, com’è noto, uno dei più gravi nodi ecumenici irrisolti, da molti secoli, e non sembra che la sua soluzione sia alle porte. Come osserva il pastore valdese Paolo Ricca (arrivato a parlare de “L’apartheid eucaristico”, in Riforma n.27 del 2009), si tratta di un drammatico paradosso: proprio la cena che Gesù ha celebrato per unire i discepoli a sé e tra loro, nel dono della sua vita e della sua persona, proprio la cena istituita per essere il più alto segno e strumento di unità e comunione, è diventata, nelle mani dei cristiani, l'occasione e la ragione di dispute infinite, scomuniche, divisioni.
 

Ospitalità eucaristica ancora impossibile

Vale la pena, al riguardo, di ricordare che nel documento varato dalla Commissione Fede e Costituzione del Consiglio Ecumenico delle Chiese (CEC) nel 1982 a Lima, le chiese raggiunsero una certa convergenza sull’Eucaristia, come pure sul Battesimo e sul Ministero: nacque allora il BEM (Battesimo, Eucaristia, Ministero), diventato un punto di riferimento per i dialoghi ecumenici successivi su questi temi. I dialoghi bilaterali si sono moltiplicati (tra ortodossi, cattolici, anglicani, luterani, riformati e altri ancora), evidenziando larghe aree di convergenza e di consenso, ma – si badi - ancora nessun documento di intesa sull’Eucaristia è stato siglato in maniera ufficiale fra le chiese, come invece è avvenuto, ad esempio, sul tema della giustificazione per fede tra la chiesa cattolica e le chiese luterane (1999). In effetti, occorre ammettere che la situazione odierna è appena migliore di quella che era prima dell’inizio del movimento ecumenico. Producendo un quadro quanto mai diversificato. Nello specifico, fin dal 1954 l'Alleanza riformata mondiale, riunita a Princeton, raccomandò l'ammissione alla mensa del Signore di «ogni persona battezzata che ama e confessa Gesù Cristo come Signore e Salvatore»: questa è anche la posizione delle chiese che, nei vari continenti, fanno parte della Comunione anglicana, che praticano la comunione aperta (open Communion), cioè accolgono alla loro mensa tutti i cristiani battezzati che abitualmente partecipano alla vita liturgica della loro chiesa. I cristiani evangelici di diverse chiese, alla luce della Concordia di Leuenberg (1973), condividono ormai la mensa eucaristica.
Nel variegato mondo dell’emergente cristianesimo pentecostale le posizioni sono assai differenziate, anche in virtù del congregazionalismo che le caratterizza: ogni comunità locale è libera di regolare questa e altre questioni secondo il parere dell'assemblea. Altre chiese si sono aperte all’ospitalità eucaristica reciproca. La chiesa cattolica e le chiese ortodosse, invece, rifiutano l'ospitalità eucaristica, cioè non accolgono alla loro mensa cristiani di altre chiese, tranne che nelle emergenze, dunque ben raramente. Peraltro, sta crescendo fra i discepoli di Cristo il desiderio di condividere il pane e il vino della cena eucaristica. È vero che l’obiettivo ultimo del movimento ecumenico è la piena comunione ecclesiale e che questa può essere preparata soltanto da un dialogo più profondo e più inclusivo di tutte le verità della fede, attraverso un maggiore ascolto reciproco e una maggiore volontà di ciascuno di condividere l’esperienza spirituale dell’altro. Ed è anche vero che nella concezione della chiesa cattolica come di quella ortodossa la comunione eucaristica è espressione della piena comunione ecclesiale, ritenuta possibile solo fra chiese che abbiano la stessa fede, lo stesso sacerdozio e gli stessi sacramenti. Rimane tuttavia la grande sofferenza per il fatto che il luogo per eccellenza della comunione tra i discepoli, istituito da Gesù, continua a essere il luogo che sancisce la divisione dei cristiani, il luogo della esclusione di alcuni, cioè della loro (implicita) scomunica. È un paradosso che rasenta lo scandalo, ma che riflette i complessi problemi di indole ecclesiologica, sacramentale e ministeriale che ancora separano le diverse chiese. La separazione che ancora sussiste pur fra comunità che fanno parte dell’unica chiesa determina la separazione delle mense, mentre l’unica mensa creata dall’unico pane potrebbe e dovrebbe sfidare le nostre divisioni (cfr. 1 Cor 10,17).

L’importanza della preghiera

La Settimana di preghiera, in quest’ottica, è importante per chiedere al Signore di mettere fine a questo scenario. Sebbene l’ecumenismo stia attraversando una fase di transizione, contrassegnata di volta in volta da chiusure identitarie (tante), incertezze (altrettante) e aperture (poche, purtroppo), non dovremmo mai dimenticare che per noi, cristiani che viviamo l’esperienza dell’essere chiesa quasi mezzo secolo dopo il concilio, nuova pentecoste dello Spirito, il dialogo ecumenico non è un’opzione fra le tante, da perseguire o meno a seconda delle stagioni: ma piuttosto l’unica modalità, la forma comune dell’essere cristiani. In caso contrario, l’annuncio rischia di essere una controtestimonianza di fonte al mondo. L’ha ricordato con forza Benedetto XVI, ancora una volta, lo scorso 18 novembre, ricevendo i membri del Pontificio Consiglio per l’unità dei cristiani in occasione dei cinquant’anni dalla sua creazione: «pur in presenza di nuove situazioni problematiche o di punti difficili per il dialogo, la meta del cammino ecumenico rimane immutata, come pure l’impegno fermo nel perseguirla».