Nel corso della loro ultima assemblea, svoltasi il 24-25 novembre presso il Salesianum di Roma, 160 superiori e vicari generali si sono confrontati per la seconda volta consecutiva sul futuro della VC in Europa. Oggi come ieri, ha detto il presidente USG, don Pascual Chávez, aprendo i lavori, i religiosi e i loro istituti, nella ricchezza dei propri carismi, sono una “riserva dell'umanità”. La chiave del rinnovamento «sarà sempre il ritorno a Cristo come prima missione». Solo così sarà possibile formare «comunità umanamente attraenti, socialmente rilevanti, vocazionalmente feconde», disponibili ad abitare le frontiere sociali, geografiche e culturali più difficili, là, soprattutto, «dove ci attendono le persone più bisognose». Ci si dovrebbe convincere che non si tratta di una “questione di sopravvivenza” della VC e dei diversi Istituti, ma “di profezia”. «Siamo validi non perché siamo utili, ma perché siamo significativi e rilevanti, capaci di suscitare interrogativi e coinvolgere persone che vogliano condividere la nostra missione, incarnando la profezia di Cristo con una vita paradossale, quella del Vangelo». Proprio per questo ci si dovrebbe liberare della “cultura del declino e del pessimismo” per «sprigionare l'entusiasmo proprio di persone appassionate per Dio e per l'uomo», anche a costo «di risituarci, di lasciar morire quanto deve morire (opere, strutture, forme di organizzazione e di azione)». La VC deve trovare la forza di «risorgere con una fedeltà dinamica, che le consenta di privilegiare le scelte essenziali: il primato di Gesù Cristo, il Vangelo sine glossa, la comunione con la Chiesa, il servizio agli uomini». È un impegno che richiede «una forte spiritualità personale, una vita comunitaria di spiccata qualità umana e religiosa, una presenza sul territorio capace di suscitare interrogativi, di coinvolgere persone, di trasformare l'ambiente».

La prospettiva del “piccolo gregge”

In questo incontro, un prezioso pro-memoria di quanto detto sul futuro della VC in Europa nell’assemblea di maggio , è stato presentato dal superiore generale dei Giuseppini, don Mario Aldegani. Tra le tante “sfide” poste oggi alla VC, ne ha ricordate alcune tra le più urgenti: ricominciare da se stessi alimentando una maggior fiducia nel Signore, trovare un linguaggio capace di far comprendere agli uomini di oggi la VC, saper ridire oggi, con la propria vita, «i valori che ci contraddistinguono e che forse non vengono più capiti», testimoniare la comunione a tutti i livelli (anche fra istituti e fra carismi), stabilire un più corretto rapporto tra VC e Chiesa locale, senza lasciarsi “clericalizzare” più di tanto, vivere il voto di povertà come stile di vita e come capacità di situarci sulla frontiera dell’emarginazione, usare sapientemente le nuove tecnologie, superare i conflitti generazionali tra giovani e anziani (valorizzando i primi e responsabilizzando sempre di più i secondi), privilegiare l’attenzione ai giovani sintonizzandosi con le loro aspirazioni e le loro preoccupazioni.
Mentre nell’assemblea di maggio erano state ascoltate con attenzione le testimonianze anche di alcuni laici, questa volta l’unica voce “esterna” al mondo della VC è stata quella dell’arcivescovo di Valladolid, mons. Blázquez. Dopo un’attenta riflessione teologica sulla VR come consacrazione a Dio e una parentesi sul segno identificativo dell’abito religioso (tutt’altro che “irrilevante”), ha provato a dare uno sguardo sul futuro della VR in Europa. In base alla sua esperienza di pastore in diverse realtà diocesane spagnole ha potuto tranquillamente affermare che «i religiosi e le religiose oggi sono inseriti e collaborano più intensamente con le chiese locali rispetto a tempi non molto lontani. Si è verificato un avvicinamento reciproco tra presbiteri religiosi e diocesani, e una più intensa partecipazione di consacrati e fedeli laici alla pastorale della diocesi». Forse, sono stati proprio gli orientamenti del Vaticano II che, insieme alla penuria di vocazioni nelle diocesi e alla perdita di tanti servizi propri dei religiosi, «hanno portato a considerare con maggiore chiarezza la Chiesa particolare come la "patria" di tutte le vocazioni». All'interno della Chiesa, infatti, grazie al Concilio, «stiamo riscoprendo ciascuno la propria vocazione specifica».
Di fronte, però, alla mancanza di vocazioni e all’inarrestabile invecchiamento di quelle esistenti, si è detto seriamente preoccupato per il futuro della VC. Sarebbe rischioso, in una situazione del genere, desistere dalla trasmissione del carisma e rassegnarsi a una pura sopravvivenza anagrafica. «La sofferenza per la penuria di vocazioni è a fior di pelle. Si prega molto per esse e gli sforzi nella pastorale vocazionale sono più intensi rispetto al passato». Tuttavia, non è difficile prevedere la contrazione numerica di religiosi, di comunità sia di vita contemplativa che apostolica, e sicuramente di congregazioni. «Tra 25 anni, per indicare una data vicina, le case religiose in Spagna saranno molte di meno rispetto ad oggi. La presenza nella vita e nella missione della Chiesa si sarà ridotta in modo inquietante».
Mai come oggi è facile cogliere il vero significato di immagini bibliche come quelle del "resto", del "piccolo gregge", del "lievito", del "sale" e della "luce", del "chicco di senape", della "città sul monte". Partendo allora, «dalla nostra attuale situazione, lo sguardo rivolto al futuro deve spingerci a riscoprire più profondamente il senso genuino della VR». L'elemento più determinante «non è il successo, ma la fede in Dio, la realtà dell'amore, la sequela di Gesù, la pazienza nelle prove, la chiamata all'Unica cosa necessaria, la speranza nella vita eterna». Il vescovo ha concluso dicendosi convinto che la VR è «una benedizione di Dio per la sua Chiesa e per ciascun consacrato».

Andare oltre la sopravvivenza


I due interventi di maggior spessore in quest’assemblea proiettata sul futuro della VC in Europa, erano stati affidati il primo all’ex superiore generale degli Oblati di Maria Immacolata, p. Wilhelm Steckling, il secondo al ministro generale Ofm, p. José Carballo. A p. Steckling era stato chiesto di individuare gli ambiti d’impegno, di rinnovamento e di crescita sia della VC in genere, che della sua apertura missionaria in particolare. Il suo contributo è partito dalla descrizione dei cambiamenti in corso in Europa, cogliendone punti forti e punti deboli, opportunità e minacce.
Per quanto non manchino i punti forti, però sembrano avere un deciso sopravvento quelli deboli: «manchiamo di visibilità… siamo influenzati dall’individualismo… inconsapevolmente facciamo ancora paragoni con i giorni in cui eravamo numerosi e potenti… troviamo difficile ammettere alcuni nostri errori del passato… abbiamo impiegato troppo tempo a riconoscere che l’ambiente che ci circonda in Europa ha un volto meno amichevole rispetto ai tempi del Vaticano II».
Di fronte alle tante minacce incombenti anche sulla VC di oggi in Europa, «dovremmo ricordare che molti degli istituti di vita religiosa apostolica sono stati fondati sulla scia della rivoluzione francese quando tutto si andava disgregando». L’esperienza di questi istituti possono sicuramente avere qualcosa da insegnare anche nelle difficoltà odierne. I religiosi dovrebbero soprattutto tentare di chiarire gli obiettivi di fondo della loro presenza in un mondo come questo. Già in Ecclesia in Europa si affermava che la VC, fedele alle sue origini, dovrebbe riscoprire l’urgenza di una rinnovata evangelizzazione del continente europeo. I religiosi dovrebbero essere presenti là dove si prospettano le necessità più urgenti, allargando il proprio raggio di azione ai non cristiani e ai non credenti. «Anche se il nostro obiettivo primario non è la sopravvivenza, vogliamo certamente che la nostra specifica forma di vita continui visibilmente poiché la riteniamo un dono prezioso di Dio».
Prima di decidere che cosa fare, sarebbe importante che i religiosi dessero «un’occhiata al loro modo di essere». I religiosi, cioè, dovrebbero essere più umili, riconoscendo i propri errori, e insieme più orgogliosi, dal momento che, nonostante tutto, la VC in Europa continua ad avere una sua chiara ragion d’essere. Lo sarà ancora di più se saprà concretamente testimoniare insieme al primato di Dio anche una vera comunione a tutti i livelli interni ed esterni. Il crescente coinvolgimento dei laici, l’aumento delle comunità interculturali, i numerosi tentativi di collaborazione intercongregazionale, sono tutte ragioni di speranza per il futuro della VC anche in Europa. Se è vero che, come ha detto Gesù a Nicodemo, la rinascita è possibile solo “dall’alto”, allora, ha concluso p. Steckling, «lo Spirito sarà quello che rinnoverà la faccia della terra, compreso il volto della VC in Europa».

Il fuoco sotto la cenere


È la stessa sostanziale fiducia manifestata anche dal ministro generale OFM, p. José Carballo. «La situazione (della VC in Europa) è così complessa, ha esordito, che al massimo possiamo intuire alcuni cammini per i quali la nostra vita è chiamata a orientarsi verso un futuro che sia per essa significativo». I dati statistici sul calo numerico delle vocazioni e sull’invecchiamento progressivo dei membri degli ordini e istituti religiosi sono sotto gli occhi di tutti. L’impossibilità di gestire tutte le grandi opere ereditate dal passato, ha come conseguenza quella di produrre «una certa routine, una visibile stanchezza, una pesante rassegnazione e una non dissimulabile frustrazione in non pochi degli effettivi attuali della VC in Europa».
Di fronte a un secolarismo sempre più invadente, non si può non parlare di crisi e di precarietà anche della VC. Cercando di decifrare le ragioni di fondo di questa crisi, «sono sempre più convinto, osserva p. Carballo, che la mancanza di vocazioni e l’invecchiamento dei religiosi in Europa sia solo la punta dell’iceberg, che indica una crisi molto più seria e profonda». Non è più possibile sottrarsi a tutta una serie di domande, non solo in Europa, ma anche in altri continenti dove già oggi «la situazione potrebbe essere anche peggiore»: «com’è la nostra qualità evangelica di vita? Siamo in sintonia con le esigenze della nostra consacrazione? Quanta passione abbiamo per Cristo e l’umanità? Come ci percepiscono i nostri contemporanei?».
Ci sono alcuni “punti fermi” sui quali si dovrebbe seriamente riflettere: il ruolo degli adulti e degli anziani, il discernimento vocazionale, il raccordo tra l’essere e il fare. Se l’entusiasmo, la creatività, l’energia dei giovani sono indispensabili per garantire il futuro della VC, questa, però, «ha bisogno anche della sapienza degli anziani e adulti, della loro umanità, autorità, esemplarità, bontà e influenza». Accanto ai discepoli, così come è avvenuto fin dai primi tempi del monachesimo, non possono mancare dei “veri maestri e testimoni”.
Non ci può essere, inoltre, vero discernimento vocazionale senza l’esplicita volontà di vivere il Vangelo nella sua integrità. Prima ancora di Francesco, Antonio, il padre del monachesimo, infatti, dopo aver ascoltato il Vangelo, come scrive il suo biografo, «immediatamente mise in pratica quello che aveva terminato di ascoltare». Sicuramente oggi i tempi sono cambiati. Quella, però, che non dovrebbe mai cambiare è «la disponibilità a vivere integralmente il Vangelo». Non potrebbe, infatti, essere proprio questa «una delle cause profonde della crisi in cui si vede oggi bloccata la vita religiosa in Europa?».
Nella risposta a questa e simili domande è già presente anche la soluzione del rapporto che dovrebbe intercorrere tra l’essere e il fare. È sicuramente difficile enumerare tutti i “miracoli della carità” compiuti dai consacrati in Europa. Ma non si può ignorare il fatto che tutte queste opere, nella stragrande maggioranza dei casi, «sono state lo strumento per donarsi pienamente a Cristo Gesù e al Vangelo». Questo, però, a sua volta, non esime nessuno dal domandarsi: «a che prezzo abbiamo fatto quello che abbiamo fatto o che prezzo stiamo pagando per quello che stiamo facendo?». La risposta, secondo p. Carballo, è meno difficile di quanto non sembri: «non siamo religiosi o consacrati per quello che facciamo, ma per come lo facciamo e perché o per chi lo facciamo».
È certo, comunque, che sotto la cenere, anche oggi c’è molto fuoco. Nessuno, infatti, può sottovalutare gli sforzi in atto «per trovare risposte adeguate alla situazione attuale, nella fedeltà creativa alla propria identità e missione». Nessuno «può negare il grande apporto che la VC in Europa continua a dare alla Chiesa nella sua missione evangelizzatrice… soprattutto in zone di frontiera, di vulnerabilità e nei luoghi dimenticati, grazie a scelte coraggiose di inserimento e di condivisione della vita con gli ultimi». Le nuove forme di VC, imperniate come quelle più antiche sui cardini della spiritualità, della comunione e della missione, il coinvolgimento dei laici e l’attuazione di tanti progetti all’interno delle sempre più numerose famiglie religiose aggregate attorno a un determinato carisma, tutte le iniziative intercongregazionali ecc., sono solo alcuni dei tanti segni di vitalità della VC in Europa.

Ora, se tutto questo «parla di vita e non di morte», non si può, però, «fermarsi a guardare il cielo o incrociare le braccia». I consacrati devono riprendere il cammino di una coraggiosa rivitalizzazione della loro vita e della loro missione. Non si tratta di creare una nuova forma vitae, ma di «creare nuovi modi di vivere e esprimere oggi quella di sempre, per renderla più radicale, vitale e feconda e per renderla più comprensibile agli uomini e alle donne del nostro tempo». Questa è una conditio sine qua non per il futuro della VC in Europa.

Percorsi privilegiati di rivitalizzazione

I tre elementi fondamentali che sono alla base di questo processo di rivitalizzazione non possono non essere quelli di sempre: la spiritualità, la comunione, la missione. Il discorso della spiritualità va ripensato a fondo. Oggi c’è bisogno di una spiritualità che si integri con la vita e ci «accompagni in tutto quello che facciamo e viviamo», una spiritualità contemplativa e, nello stesso tempo, pienamente incarnata nella vita delle persone e in piena comunione con la Chiesa. Grazie a una solida spiritualità sarà più facile assicurare, poi, anche una più convinta vita fraterna. Negli ultimi decenni si è sicuramente riscoperto questo valore. L’ideale, però, è ancora molto lontano. Quante volte succede ancora oggi di incontrare nelle proprie comunità persone che non si comprendono, persone “difficili” che non si sa dove collocare. «Non basta vivere sotto uno stesso tetto, condurre una vita in comune, per incarnare la vita carismatica che abbiamo abbracciato». Rimane ancora un lungo lavoro da compiere. Ma vale la pena “porre mano all’opera”, dal momento che come diceva Giovani Paolo II, dalla qualità della vita fraterna in comune dipenderà la fecondità della VC, dipenderà in grande misura il nostro futuro.
Come la spiritualità e la vita fraterna in comunità, anche la missione è uno degli elementi irrinunciabili della VC. I consacrati sono per la missione. Anzi, «la stessa VC, sotto l’azione dello Spirito Santo che è all’origine di ogni vocazione e di ogni carisma, diventa missione». La rivitalizzazione della missione, anche in Europa, non può non partire dall’urgenza del primo annuncio. «Se ci atteniamo alle statistiche della pratica religiosa, già non viviamo più in una società cristiana. Se a questo aggiungiamo che molti battezzati sono poco evangelizzati, il primo annuncio si rende sempre più urgente. In Europa non possiamo dare nulla per scontato o quasi nulla nel campo della fede». Forti di una fedeltà creativa, basterebbe riproporre con coraggio «l’intraprendenza, l’inventiva e la santità dei nostri fondatori» in risposta ai segni e alle emergenze del mondo di oggi, soprattutto nella vicinanza ai poveri, in più stretta collaborazione con i laici e possibilmente anche attraverso progetti intercongregazionali.
Insieme alla spiritualità, alla vita fraterna e alla missione, vanno rivitalizzate anche non solo le attuali strutture, ma anche il servizio dell’autorità e tutto il cammino della formazione. La VC in Europa avrà sempre bisogno di strutture; nella loro flessibilità dovranno favorire e non soffocare la creatività. Ben sapendo le sfide del futuro, le strutture dovranno sapersi porre realmente «al servizio delle persone e della missione del proprio carisma».
L’attenzione alle persone e alla missione rientrano anche fra i compiti principali di chi è preposto al servizio dell’autorità. Il superiore – generale, provinciale o locale - «dev’essere una persona in costante discernimento, per vedere ciò che viene dallo Spirito e ciò che gli è contrario, deve valutare adeguatamente le persone creative, che assumono con serietà i rischi nel cercare di dare una risposta nuova alle nuove necessità». In un tempo in cui le domande sono più numerose delle risposte, il superiore dovrebbe saper favorire una piena corresponsabilità. «Un’autorità rivitalizzata e rifondata porterà passione dove ci sono segni di stanchezza e routine, porterà vita dove i segni dell’agonia e della morte sono più o meno palpabili».
Anche nel campo della formazione, se molto è stato fatto, molto resta ancora da fare. Oggi «abbiamo bisogno di una formazione che rafforzi la propria identità carismatica, senza chiudersi nel proprio ghetto… una formazione che conduca ad interpretare i voti alla luce della fraternità, dell’obbedienza fraterna, della povertà come comunicazione dei beni spirituali e materiali, della castità come fonte di amicizia e capacità relazionale». Prendendo atto, inoltre, della realtà sempre più interculturale di molte comunità religiose, andranno attentamente valutate le conseguenze di una sempre più palese presenza di vocazioni che vengono da altri continenti. Non basta aprire loro le porte. Vanno accompagnate e aiutate a superare il forte impatto con una cultura diversa.
«Tutti siamo d’accordo, ha concluso p. Carballo, che la VC e religiosa in Europa sta attraversando una notte oscura, che non sarà breve, né sempre facile da oltrepassare. Stiamo vivendo nel deserto, dove ci ha condotto un cristianesimo sociologico e comodo, con poca presa, anche tra noi consacrati, nella libera decisione personale. A forza di abituarci al paesaggio cristiano, siamo usciti di strada e ci ritroviamo persi e senza riferimenti validi. Il passato non serve e il futuro è incerto. Credendo di stare ancora a Gerusalemme, ci troviamo a Babilonia!». La notte oscura, però, potrebbe essere solo il prologo dell’aurora. P. Carballo, pur consapevole di aver sollevato molti interrogativi, è profondamente convinto che la VC in Europa «avrà futuro». Ne è talmente convinto che al termine della sua relazione ha voluto esplicitare questa sua fede in un vero e proprio decalogo sul futuro della VC nel Continente europeo. Non solo. Si è liricamente abbandonato anche ad alcuni sogni a occhi aperti. Questo futuro, però, «non sta nei nostri carri e cavalli, ma nel Signore che, con il suo braccio potente, continua a compiere meraviglie per quelli che lavorano come se tutto dipendesse da loro, ma essendo ben consapevoli che tutto dipende da Lui».

Religiosi in “terra straniera”


Alcune delle cose, forse, più concrete ascoltate in assemblea, sono quelle emerse dalla testimonianza di tre provinciali europei. Mentre i loro superiori generali hanno una visione complessiva della vita del proprio istituto, un superiore provinciale è sicuramente più a contatto non solo con i suoi religiosi, ma anche con la realtà del territorio in cui vivono. Sarebbe bastato che i superiori generali, al termine della loro assemblea, si fossero fermati al Salesianum per altre due giornate per verificare dal vivo la concretezza con la quale gli ispettori salesiani europei, insieme a tutto il consiglio generale, stanno cercando faticosamente di rivitalizzare la loro presenza in Europa. Comunque, le tre testimonianze (dalla Russia, dalla Germania e dalla Spagna) ascoltate in assemblea USG, anche se in maniera meno programmata rispetto al “Progetto Europa” dei salesiani, vanno sostanzialmente nella stessa direzione.
Il verbita polacco Jacub Blaszczyszyn, rettore del seminario di San Pietroburgo, dopo una sua attenta rilettura della situazione complessiva della Chiesa e del monachesimo, si è soffermato sulla realtà, le prospettive e le speranze della VC in Russia, dove si trova da una quindicina d’anni. I pochi religiosi si sentono ancora in “terra straniera”. Vivono per lo più in piccole comunità all’interno di semplici appartamenti. In una chiara condizione di “diaspora” e, insieme, di una crescente internazionalizzazione dei propri membri, anche in Russia i religiosi sono alla ricerca di una propria identità non solo a livello di spiritualità, ma anche di specifiche attività apostoliche. È difficile prevedere il futuro; però è chiaro un fatto: mancando sacerdoti diocesani, «ancora per qualche decennio, l’esistenza e l’azione della Chiesa senza i religiosi non è possibile». In un atteggiamento di sincero dialogo con tutta la tradizione ortodossa, la VC non può comunque rinunciare alla ricerca di alcuni aspetti specifici della sua presenza in Russia. Per quanti sforzi si facciano, purtroppo non si vedono ancora molti frutti. «Nasce allora la disperazione e l’apatia». Di fronte a queste difficoltà e a queste sfide, con la collaborazione di altre comunità e di laici, si è in qualche modo costretti a riscoprire i valori di fondo della propria consacrazione. E questo porta a dire, allora, che, anche in Russia, «la qualità della VC non dipende dalla quantità dei progetti realizzati con successo, ma da una profonda fedeltà a Dio e al carisma dei fondatori».

“Conventi a tempo” in Germania


Vivere in pienezza la propria consacrazione è la sfida che stanno affrontando anche i cappuccini in Germania. Il loro provinciale, Christophorus Goedereis, ha iniziato la sua testimonianza partendo da alcuni dati statistici tutt’altro che confortanti. In pratica, in Germania, oggi, compresa la vita contemplativa, l’83% delle suore (sono 21.982 in tutto) e il 54% dei religiosi (sono 4.616 in tutto ) supera i 65 anni. Nei prossimi 10-20 anni, secondo il relatore, la VR diminuirà dal 50 al 70%, con il prevedibile rischio di vedere le sempre più poche forze giovani impegnate nell’assistenza delle consorelle e dei confratelli ammalati e anziani.
In un contesto contrassegnato dalla scristianizzazione, dalla perdita di significato della religione, da dibattiti a non finire sull’islam, sugli abusi sessuali, sul fondamentalismo, sull’omosessualità, l’aborto e l’eutanasia, quale futuro per la VC? Da tempo la conferenza dei superiori maggiori, maschili e femminili, si va interrogando seriamente sulla necessità di una riconversione dei conventi in centri di spiritualità, di una nuova teologia della VC, di nuovi indirizzi pastorali nei centri delle grandi città, di una urgente ristrutturazione delle opere e delle presenze, della pastorale missionaria, dei mezzi di comunicazione sociale. Di fronte, comunque, a una chiara richiesta di presenza dei religiosi, il futuro non dipende dal numero dei membri e dei conventi o dalla gestione del processo di invecchiamento, ma dalla capacità di «creare un nuovo futuro».
Concretamente, sono sempre più numerosi i “conventi a tempo” nei quali, uomini, donne, gruppi, famiglie intere, per un tempo più o meno prolungato, possono condividere la vita della comunità religiosa. In un’apposita brochure è possibile reperire un centinaio e più di offerte del genere. Negli ultimi dieci anni sono stati pubblicati una quarantina di libri su temi quali: “Conventi come centri spirituali”, “Trasmigrazione di conventi”, “La spiritualità dei conventi”. Va sempre più diffondendosi, inoltre, la cosiddetta “Citypastoral”. In alcune grandi città, alcuni ordini religiosi (come i gesuiti nella chiesa di s. Michele a Monaco di Baviera, o i cappuccini con la Liebfrauenkirche al centro di Francoforte) vanno scoprendo e offrendo ogni giorno nuove possibilità d’incontro: dalla stanza del silenzio, alle offerte musicali, alla meditazione, al dialogo e all’accompagnamento spirituale.
Queste e tante analoghe iniziative sono la conferma che l’uomo postmoderno è sempre più alla ricerca di luoghi dove poter riflettere sulla propria vita, dove poter incontrare una comunità, dove, in una parola, sia possibile «scoprire un senso più profondo di tutto». Purtroppo, le prospettive numeriche dei cappuccini, non sono le più confortanti. La situazione è in una fase di cambiamento e di contrazione preoccupante. «In futuro saremo molto meno e avremo molta meno presenza rispetto a quella attuale. Ma siamo convinti, ha concluso il relatore, che anche noi dobbiamo portare qualcosa di nuovo alla società postmoderna, e se sapremo azzardare nuove forme e nuove strutture, allora anche noi avremo futuro».

“Ci aspettiamo tempi difficili”


In Spagna la situazione non è di certo molto diversa. Anzi, ha esordito il clarettiano Maxim Muñoz Duran, «non trovo segni di speranza e di rinnovamento come forse ci aspettiamo e che possano far pensare a forme nuove, a presenze nuove, a nuove vocazioni». Mai come oggi «la VR sta vivendo momenti di debolezza e di povertà». Malgrado tutto, comunque, anche in Spagna «c’è uno spirito che si sta rinnovando» e non mancano «segni di qualità e di vita umana ed evangelica» anche nell’ambito della VR.
Se non è sempre facile vedere i risultati di tutti gli sforzi in atto, è ancora più deludente l’incomprensione di quei confratelli di altri continenti, che, nei capitoli e nelle assemblee, preoccupati si chiedono: «Cosa state combinando in Europa? Non vi rendete conto che non ci sono quasi più vocazioni e il cristianesimo sta morendo?». Fortunatamente, però, non mancano confratelli non europei che con più realismo si pongono domande opposte: «Quali sono i cammini da voi intrapresi che possono servirci ad affrontare una situazione che si sta avvicinando anche da noi?».
In un tempo di lacrime come questo, non viene meno, però, la speranza «di poter tornare con giubilo, portando i covoni». É una speranza già oggi supportata da non poche realizzazioni. Basterebbe consultare le conclusioni di una vasta ricerca effettuata da un’équipe di sociologi, due anni, fa sulle opere d’impegno sociale degli istituti di VC nella Catalogna. Forse il punto di forza di questa ricerca sta nel fatto che i religiosi/e hanno dimostrato di saper «cogliere i nuovi bisogni che stanno emergendo” nella società, fino al punto da suscitare lo stupore degli stessi ricercatori per «l’ingente lavoro svolto dai religiosi/e e per l’enorme discrezione con cui viene svolto». È una conclusione tutt’altro che scontata se solo si pensa che «la maggior parte dei servizi è svolta da religiosi/e la cui età si aggira sui 70 anni».
Nel suo intervento il clarettiano spagnolo ha passato brevemente in rassegna i tanti campi apostolici in cui sono impegnati i religiosi e le religiose, dall’attenzione alle popolazioni che soffrono povertà, violenza e ingiustizia, all’assistenza delle persone anziane. In comunità sempre più interculturali, anche con l’apporto sempre più insostituibile dei laici, si ristrutturano tutte quelle opere che hanno più speranza di futuro. La contrazione numerica dei religiosi, li costringe inevitabilmente a concentrarsi «in ciò che è essenziale» e che proprio per questo è molto più apprezzato dai laici i quali possono benissimo sostituirsi nella gestione materiale delle opere. Non è raro l’apprezzamento dei laici nei confronti del «clima di libertà e di partecipazione che trovano nei nostri ambienti, nelle nostre istituzioni e nei nostri progetti, e che a volte contrasta con un certo clima di involuzione che si respira in altri settori ecclesiastici». Non è secondario il fatto che questi apprezzamenti «avvengano ora in Europa, malgrado il nostro invecchiamento e la nostra debolezza».
«Ci aspettiamo anni difficili». Nonostante la presenza di forze giovani provenienti da altri continenti, «vivremo un’esperienza assai vicina alla morte, perché il numero di religiosi e religiose si ridurrà drasticamente e, di conseguenza, anche il numero di comunità, un buon numero di opere saranno consegnate ad altri, altre saranno chiuse». Comunque, ha concluso p. Duran, se con fedeltà e pazienza si crescerà in autenticità evangelica, «prepareremo l'inizio di un altro ciclo, in cui sorgerà una vita religiosa sicuramente minoritaria, ma più significativa per il bene della Chiesa e della società».
A incoraggiare i superiori generali in questo loro impegnativo cammino verso l’Europa di domani, sono venute le parole del papa, in occasione dell’udienza del 26 novembre, accordata al termine della loro assemblea . Era un incontro atteso da lungo tempo dai superiori generali. Ricerca di Dio, centralità della Parola, vita fraterna in comunità e missione sono stati i punti centrali sui quali si è snodato il suo intervento, ricordando in particolare che «la missione, sostenuta da una forte presenza di Dio, da una robusta formazione e dalla vita fraterna in comunità, è una chiave per comprendere e rivitalizzare la VC».