A luglio era stato raggiunto un accordo tra per la nomina di un vescovo, a
conferma che i rapporti bilaterali sembravano appunto avviati su binari di lenta
normalità. A novembre il Vaticano interviene per mettere in guardia sulle voci
di una nomina decisa dal governo in modo unilaterale, che viene formalizzata il
20 e riguarda il sacerdote Giuseppe Guo Jincai, designato vescovo di Chengde,
nello Hebei (a sud di Pechino). La situazione ecclesiale in Cina ritorna ad un
alto grado di complessità e conflittualità, anche perché non si fa mistero del
ricorrere a strumenti di coercizione pesante nei confronti di vescovi e
sacerdoti ritenuti troppo fedeli al papa. Nel comunicato di condanna
dell’ordinazione illecita, la Santa Sede nota che alcuni vescovi in comunione
col papa sono stati forzati da rappresentanti del governo a partecipare al rito.
Si tratta di mons. Pietro Feng Xinmao di Hengshui (Jingxian) e mons. Giuseppe Li
Liangui di Cangzhou (Xianxian). Secondo testimonianza raccolte dall’agenzia
cattolica Ucan, sono stati proprio alcuni sacerdoti di Hengshui a chiedere alla
Santa Sede di intervenire.
L’ordinazione del 20 novembre interrompe una fase che durava dal 2006, quattro
anni in cui il governo e l’Associazione patriottica non imponevano più
ordinazioni illecite. Nel 2006 una serie di tre ordinazioni senza il permesso
della Santa Sede aveva provocato una dura reazione del Vaticano. Da allora vi
sono state molte ordinazioni episcopali – 10 solo quest’anno – ma in cui il
candidato era quello designato dalla Santa Sede, accolto poi dagli organismi
diocesani e riconosciuto dal governo.
Un’inversione di tendenza
Siamo a una inversione di tendenza, dopo che la Lettera di Benedetto XVI alla
Chiesa cattolica nella Repubblica popolare cinese (2007) aveva faticosamente
creato una «atmosfera di rispetto», come fa notare il 24 novembre un comunicato
della Santa Sede. Vi si individua chiaramente nell’Associazione patriottica
cattolica cinese, che dal 7 al 9 dicembre ha celebrato la sua assemblea, e
nell’influenza del vicepresidente Liu Bainian, la responsabilità di voler
nuovamente allontanare Roma e Pechino, e proprio nell’anno in cui si celebra il
IV centenario della morte di Matteo Ricci, il gesuita simbolo del possibile
incontro tra l’Estremo Oriente e il cristianesimo. E in effetti il nuovo vescovo
Guo Jincai viene poi nominato dall’assemblea alla carica di segretario generale
del Consiglio dei vescovi. Così il 17 dicembre la Santa Sede interviene di nuovo
sulla situazione cinese a partire dalle modalità di svolgimento dell’assemblea e
dalle sue conclusioni, in cui si manifesta – nota il comunicato – «un
atteggiamento repressivo nei confronti dell’esercizio della libertà religiosa,
che si auspicava ormai superato nell’odierna Cina. La persistente volontà di
controllare la sfera più intima dei cittadini, qual è la loro coscienza, e
d’ingerirsi nella vita interna della Chiesa cattolica, non fa onore alla Cina;
anzi – prosegue la nota vaticana – sembra un segno di timore e di debolezza,
prima che di forza; di un’intransigente intolleranza, più che di apertura alla
libertà e al rispetto effettivo sia della dignità umana sia di una corretta
distinzione tra la sfera civile e quella religiosa».
«A più riprese la Santa Sede aveva fatto conoscere, prima di tutto ai pastori ma
pure a tutti i fedeli, anche pubblicamente, che non dovevano partecipare
all’evento. Ognuno di coloro che erano presenti – sottolinea il comunicato – sa
in che misura è responsabile davanti a Dio e alla Chiesa. I vescovi, in
particolare, e i sacerdoti saranno anche posti di fronte alle attese delle
rispettive comunità, che guardano al proprio pastore e hanno diritto di ricevere
da lui guida e sicurezza nella fede e nella vita morale». Inoltre una volta di
più la Santa Sede denuncia che molti vescovi e sacerdoti sono stati forzati a
partecipare all’assemblea: si tratta di «una grave violazione dei loro diritti
umani, in particolare della loro libertà di religione e di coscienza». «A coloro
che portano nel cuore sconcerto e profonda sofferenza, domandandosi come sia
possibile che il proprio vescovo o i propri sacerdoti abbiano partecipato
all’assemblea, la Santa Sede chiede di rimanere saldi e pazienti nella fede; li
invita a prendere atto delle pressioni subite da molti dei loro pastori e a
pregare per loro; li esorta a continuare coraggiosamente a sostenerli di fronte
alle ingiuste imposizioni che incontrano nell’esercizio del loro ministero». Sul
piano canonico, poi, il Vaticano ricorda che durante l’Assemblea sono stati
designati i responsabili della cosiddetta Conferenza episcopale e
dell’Associazione patriottica, due entità non riconosciute.
Il comunicato ricorda che «l'attuale Collegio dei Vescovi Cattolici di Cina non
è riconosciuto come Conferenza Episcopale dalla Sede Apostolica: non ne fanno
parte i vescovi “clandestini”, cioè non riconosciuti dal governo, che sono in
comunione con il papa; include presuli, che sono tuttora illegittimi, ed è retta
da statuti, che contengono elementi inconciliabili con la dottrina cattolica. È
profondamente deplorevole – si afferma – che sia stato designato a presiederla
un vescovo non legittimo. Per quanto poi concerne la dichiarata finalità di
attuare i principi di indipendenza e autonomia, autogestione e amministrazione
democratica della Chiesa», il comunicato ribadisce «che essa è inconciliabile
con la dottrina cattolica, che fin dagli antichi Simboli di fede professa la
Chiesa una, santa, cattolica e apostolica». Per la Santa Sede «non è questo il
cammino che la Chiesa deve compiere nel contesto di un grande e nobile paese,
che suscita attenzione nell’opinione pubblica mondiale per le significative mete
raggiunte in tanti ambiti, ma trova ancora difficile attuare gli esigenti
dettami di una vera libertà religiosa, che nella sua Costituzione pur professa
di rispettare. Per giunta, l’Assemblea ha reso più arduo il cammino di
riconciliazione fra i cattolici delle comunità clandestine e quelli delle
comunità ufficiali, provocando una ferita profonda non solo alla Chiesa in Cina,
ma anche alla Chiesa universale». «La Santa Sede si rammarica profondamente per
il fatto che la celebrazione della suddetta assemblea, come pure la recente
ordinazione episcopale senza l’indispensabile mandato pontificio, abbiano
danneggiato unilateralmente il dialogo e il clima di fiducia, avviati nei
rapporti con il governo della Repubblica Popolare Cinese. La Santa Sede, mentre
riafferma la propria volontà di dialogare onestamente, sente il dovere di
precisare che atti inaccettabili e ostili» come questi «provocano nei fedeli,
dentro e fuori della Cina, una grave perdita di quella fiducia che è necessaria
per superare le difficoltà e costruire una relazione corretta con la Chiesa, a
vantaggio del bene comune». Alla luce di quanto è avvenuto – conclude la nota
vaticana – «rimane urgente» l’invito che il papa ha rivolto a tutti i cattolici
del mondo, il primo dicembre scorso, «a pregare per la Chiesa in Cina, che sta
vivendo momenti particolarmente difficili».
Libertà religiosa
La situazione in Cina costituisce lo sfondo, o almeno uno sfondo, sul quale
collocare e comprendere i rinnovati interventi del papa e della Santa Sede sul
tema della libertà religiosa. L’ultimo intervento è il Messaggio per la Giornata
Mondiale della Pace del 1°gennaio 2011 che ha proprio come tema Libertà
religiosa via per la pace. In un passaggio Benedetto XVI nota esattamente che
non è possibile “negare” il contributo delle grandi religioni del mondo allo
sviluppo della civiltà. «La sincera ricerca di Dio ha portato a un maggiore
rispetto della dignità dell’uomo. Le comunità cristiane, con il loro patrimonio
di valori e principi, hanno fortemente contribuito alla presa di coscienza delle
persone e dei popoli circa la propria identità e dignità, nonché alla conquista
di istituzioni democratiche e all’affermazione dei diritti dell’uomo e dei suoi
corrispettivi doveri. Anche oggi i cristiani, in una società sempre più
globalizzata, sono chiamati, non solo con un responsabile impegno civile,
economico e politico, ma anche con la testimonianza della propria carità e fede,
a offrire un contributo prezioso al faticoso ed esaltante impegno per la
giustizia, per lo sviluppo umano integrale e per il retto ordinamento delle
realtà umane. L’esclusione della religione dalla vita pubblica sottrae a questa
uno spazio vitale che apre alla trascendenza. Senza quest’esperienza primaria
risulta arduo orientare le società verso principi etici universali e diventa
difficile stabilire ordinamenti nazionali e internazionali in cui i diritti e le
libertà fondamentali possano essere pienamente riconosciuti e realizzati, come
si propongono gli obiettivi – purtroppo ancora disattesi o contraddetti – della
Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo del 1948».
Una strategia sbagliata
Una spiegazione ulteriore del contrasto in corso e della politica del governo
cinese verso la Chiesa può venire dalle analisi del cardinale Joseph Zen,
salesiano, arcivescovo emerito di Hong Kong, secondo il quale ci sarebbero
comunque delle responsabilità anche da parte della Chiesa cattolica. In
particolare la ricerca del compromesso sarebbe una strategia sbagliata nei
confronti delle autorità cinesi. In Cina c’è al massimo libertà di culto, ma il
governo non ha cambiato la sua politica di controllo assoluto sulle religioni e
sulla Chiesa cattolica, manipolando ordinazioni e corrompendo vescovi, anche
quelli legittimati dal papa. L’analisi del cardinale, pubblicata da Asia News, è
stata presentata a Roma il 19 novembre durante il Concistoro. «Fra gli esperti
che seguono da vicino le vicende, dice il cardinale, l’impressione generale è
che da parte nostra vi è una strategia di compromesso, se non ad oltranza,
almeno di preponderanza. Dall’altra parte, invece, non si vede una minima
intenzione di cambiare. I comunisti cinesi sono sempre rimasti fermi alla
politica religiosa di assoluto controllo. Da noi tutti sanno che i comunisti
schiacciano chi si mostra debole, mentre davanti alla fermezza, qualche volta
possono anche cambiare l’attitudine». «La povera comunità clandestina, che è
certamente la più grande della nostra Chiesa in Cina, si sente oggi frustrata.
Mentre trova molte parole di incoraggiamento nella Lettera del Santo Padre, si
vede d’altra parte trattata come fastidiosa, ingombrante, di disturbo. È chiaro
che qualcuno vuol vederla scomparire e assorbita in quella ufficiale, cioè sotto
lo stesso stretto controllo del governo (così ci sarà pace!?). Come si trova la
comunità ufficiale? Si sa che in essa quasi tutti i vescovi sono legittimi o
legittimati. Ma il controllo asfissiante e umiliante da parte di organismi che
non sono della Chiesa – Associazione patriottica e Ufficio affari religiosi –
non è per niente cambiato. Quando il Santo Padre riconosce quei vescovi senza
esigere che essi si distacchino subito da quella struttura illecita, è
ovviamente nella speranza che essi lavorino dal di dentro di quella struttura
per liberarsene, perché tale struttura non è compatibile con la natura della
Chiesa. Ma dopo tanti anni cosa vediamo? Pochi vescovi hanno vissuto all’altezza
di tale speranza. Molti hanno cercato di sopravvivere comunque; non pochi,
purtroppo, non hanno posto atti coerenti col loro stato di comunione col papa”.
Occorre più fermezza
Con questa analisi il cardinale Zen è tornato dunque a chiedere un cambiamento
nella strategia della Santa Sede, rilevando che solo la strada della fermezza,
non tanto quella del compromesso, può ottenere dei risultati. In ogni caso la
questione-Cina è tra le priorità dell’agenda internazionale della Santa Sede.
Come dimostra la nomina del nuovo segretario della Congregazione per
l’Evangelizzazione dei Popoli, formalizzata il 23 dicembre, nella persona del
salesiano don Savio Hon Tai-Fai, professore di teologia nel seminario di Hong
Kong, esponente della Commissione Teologica Internazionale e ordinario della
Pontificia Accademia di Teologia. Don Savio Hon Tai-Fai è nato a Hong Kong il 21
ottobre 1950 e ha svolto attività di insegnamento come professore invitato in
vari seminari della Cina. La sua attività scientifica si è manifestata in
diverse pubblicazioni, soprattutto di teologia. Inoltre è stato responsabile
della traduzione in cinese del Catechismo della Chiesa Cattolica. Una figura
nuova che entra in Vaticano, dunque, e dovrebbe portare a una maggiore
consapevolezza verso la complessa, delicata e allo stesso tempo importantissima
situazione cinese.