L’inizio e la fine sono sempre un momento importante in molte esperienze
della vita. Possiamo pensare ad esempio a un discorso, a un romanzo, a un film.
Così è anche per una celebrazione liturgica. Anzi, potremmo dire che nella
liturgia questo è un tema di grande rilevanza perché il rito per essere
“efficace” ha bisogno di curare con particolare attenzione il passaggio dal
tempo della vita comune al tempo “altro” della celebrazione. Ugualmente è
importante il passaggio inverso. Se non c’è una efficace linea di demarcazione
tra il tempo comune della vita e il tempo della ritualità, se c’è un’assoluta
continuità e l’assenza di ogni frattura, non può esserci quella particolare
esperienza nella quale la liturgia vuole farci entrare.
Nella celebrazione eucaristica questo ruolo così importante è affidato ai due
momenti dei riti di introduzione e di quelli di conclusione. Queste due “parti
minori” possono essere considerate la “cornice rituale” che ci permette di
entrare nel tempo del rito e di ritornare “trasformati” al tempo ordinario della
nostra vita. Si tratta di “parti minori”, se messe a confronto con le due parti
fondamentali che compongono la celebrazione eucaristica – la liturgia della
Parola e la liturgia eucaristica –, ma non sono certamente da trascurare per
l’efficacia delle nostre celebrazioni, per la “partecipazione” ad esse.
Cerchiamo allora di comprendere meglio questi due elementi, spesso trascurati.
I riti di introduzione
Spesso si corre il rischio di perdere la “natura” dei riti di introduzione della
celebrazione eucaristica, presi più dalla preoccupazione di “fare tutto”, che da
quella di raggiungere lo scopo che i documenti liturgici stessi e la storia
della liturgia assegnano a questo momento della celebrazione eucaristica, cioè:
«…che i fedeli riuniti insieme, formino una comunità, e si dispongano ad
ascoltare con fede la Parola di Dio e a celebrare degnamente l'Eucaristia» (OGMR,
46 [= 24]).
Anche dal punto di vista della storia della liturgia, questo momento dell’Ordo
missae è mutato nel tempo e nei vari riti proprio in rapporto a questa sua
funzione principale di “introdurre” (funzione di “soglia” tra il tempo “normale”
e il “tempo altro” del rito).
Secondo l’Ordinamento generale del Messale Romano gli elementi che costituiscono
i riti d’introduzione sono:
«i riti che precedono la Liturgia della Parola, cioè l'introito (a), il saluto
(b), l'atto penitenziale (c), il Kyrie eleison (d), il Gloria (e) e l'orazione
(f)» (PGMR, 46).
Alcuni elementi che compongono i riti di introduzione richiedono alcune
attenzioni per una migliore celebrazione nel suo complesso. Nel considerare gli
elementi che costituiscono i riti d’ingresso occorre tener presente che i lavori
che portarono alla definizione di una nuova sequenza rituale per questa parte
dell’ordo Missae si trovarono di fronte alla difficoltà di dover salvare in
qualche modo alcuni elementi dei riti preparatori presenti nel Messale di Pio V
e, nello stesso tempo, di semplificare tali riti ritornando per quanto possibile
all’antica semplicità e alla funzione originaria di questa parte dell’ordo
Missae.
Il rischio che una eccessiva giustapposizione di vari elementi rituali non aiuti
a raggiungere lo scopo dei riti di introduzione è ben evidenziato dal Messale
dei fanciulli, che è pur sempre un documento liturgico riguardante la
celebrazione dell’eucaristia. Il n. 40 dei Praenotanda del Messale dei fanciulli
afferma:
«40. Poiché «lo scopo del rito iniziale è che i fedeli, riuniti insieme, formino
una comunità e si dispongano ad ascoltare con fede la Parola di Dio e a
celebrare degnamente l'Eucaristia» , si deve cercare di suscitare davvero nei
fanciulli questa disposizione di spirito, evitando il pericolo di frastornarla
con l'eccessiva giustapposizione di riti, come è previsto nell'Ordinario.
È lecito pertanto omettere talvolta questo o quell’elemento del rito iniziale,
per dare eventualmente maggior ampiezza a un altro. Ci sia però sempre un
qualche elemento introduttivo, che si conchiude poi con la colletta. Nella
scelta dei singoli elementi, si cerchi di collocarli ognuno a suo tempo e luogo,
senza trascurarne completamente nessuno».
Elementi dei riti di introduzione
Ripercorriamo i vari elementi che costituiscono i riti di introduzione.
Innanzitutto il saluto (cf. OGMR, 49-50). Dopo l’introito (o Canto d’ingresso:
OGMR, 47-48), il cui scopo è formare comunità, introdurre nel mistero celebrato
, accompagnare la processione, chi presiede l’assemblea e i ministri «salutano
l’altare con un profondo inchino» (OGMR, 49). Dopo l’inchino all’altare,
presidente e diacono baciano l’altare e poi si recano alla sede. Già da questi
primi elementi si deve poter vedere la centralità dell’altare-mensa intorno al
quale l’assemblea è radunata. Diversamente si corre il rischio di avere una
immagine auto-centrata di assemblea.
L’altare è il centro dello spazio della celebrazione, perché è “la meta” alla
quale essa tende in tutto il suo svolgimento (è anche, non dimentichiamolo, la
meta dell’iniziazione cristiana: battesimo-cresima-eucaristia). L’altare può
essere il centro dello spazio liturgico, senza nulla togliere all’importanza
dell’altro elemento strutturale che è l’ambone, proprio in forza del rapporto
fondamentale tra scrittura e rito, tra liturgia della Parola e liturgia
eucaristica. Sull’altare (liturgia eucaristica) non si celebra infatti qualcosa
di diverso da ciò che all’ambone (liturgia della Parola) è stato proclamato,
annunciato, spiegato, “attualizzato”.
Il caso della riserva dell’eucaristia dovrebbe essere ancora più chiaro: essa
non svolge nessun ruolo nel rito della celebrazione eucaristica. Non corrisponde
quindi al senso di questo momento del rito, iniziare l’Eucaristia con la
riverenza ad un elemento dello spazio liturgico che non ha un ruolo all’interno
della celebrazione e che anzi rischia di distogliere l’attenzione da quella
“gradualità” di presenza del Signore nell’assemblea celebrante che ha come suo
culmine la comunione al pane e al calice.
Solo dopo il saluto all’altare troviamo il saluto all’assemblea. Dopo il saluto
all’altare-mensa, chi presiede «con il saluto annunzia alla comunità radunata la
presenza del Signore» (OGMR, 50). Chi presiede la celebrazione dovrà fare
attenzione a usare un linguaggio adatto a questo momento della celebrazione
liturgica sia da un punto di vista della forma che del contenuto, tenendo sempre
presenti le esigenze proprie di un momento introduttivo, ma anche, in generale,
del carattere evocativo e “narrativo” del linguaggio liturgico. In particolare
non è opportuno in questo momento soffermarsi a commentare aspetti delle letture
bibliche, dal momento che non sono ancore state proclamate. In questo momento
l’assemblea deve essere predisposta e preparata all’ascolto.
Altro momento che caratterizza i riti di introduzione è l’atto penitenziale. Per
la sua attuale collocazione nei riti di introduzione della celebrazione
eucaristica l’atto penitenziale sembra più la dichiarazione di apertura alla
Parola da parte della chiesa radunata, che un vero e proprio “atto
penitenziale”. Esso è principalmente apertura all’ascolto e quindi disponibilità
alla conversione e confessione della misericordia di Dio.
Occorre tener presente che nessuna tradizione liturgica apre la celebrazione
eucaristica con un “vero e proprio atto penitenziale”. La soluzione introdotta
dalla riforma del Vaticano II è il frutto di un recupero di quegli elementi del
rito tridentino che non facevano propriamente parte della celebrazione
eucaristica, ma piuttosto della preparazione dei ministri ad essa. Avvenivano
infatti non all’altare, ma ai piedi dei gradini dell’altare. Erano appunto
chiamate “preghiere ai piedi dell’altare”. Per l’atto penitenziale il Messale
Romano di Paolo VI propone diverse forme. Il Confiteor (introdotto nel rito
romano del X-XI secolo) è stato lasciato nel Messale in seguito a un compromesso
tra le varie correnti. In realtà prima della riforma liturgica era un testo che
riguardava unicamente i ministri e apparteneva ai “riti preparatori”.
L’estensione a tutta l’assemblea di questo testo, molto discutibile come
apertura della celebrazione eucaristica, non è molto felice. Sono da preferire,
soprattutto nel tempo di avvento, nel Tempo Ordinario e nel Tempo di Pasqua, le
altre forme proposte dal Messale.
Quando la celebrazione dell’eucaristia è unita a una parte della liturgia delle
Ore i riti di introduzione devono necessariamente venire adattati. Ne va del
loro senso nel complesso della celebrazione. Quando questo accade, non c’è
bisogno di sommare alla salmodia i riti di introduzione dell’Eucaristia in tutte
le loro parti. Infatti lo scopo dei riti di introduzione delineato da OGMR 46,
quando c’è la salmodia, è già stato raggiunto da questo elemento della liturgia
delle Ore . Questo è previsto anche dai PNLO al n. 94 e nel nuovo OGMR al n. 46
.
Occorre evitare che i riti di introduzione uniti alla salmodia della liturgia
delle ore creino squilibrio e disarmonia nell’economia della celebrazione.
Questo riguarda in particolar modo l’atto penitenziale che, essendo parte dei
riti di introduzione, non ha altro ruolo se non quello generale che riguarda
appunto questa parte dell’Ordo missae ( OGMR, 46), cioè lo scopo di introdurre.
Pertanto quando c’è la salmodi l’atto penitenziale si omette.
I riti di conclusione
Il secondo elemento della cornice rituale della celebrazione eucaristica è
costituito dai riti di conclusione (OGMR, 90 [= 57]) . I riti di conclusione
comprendono:
a) brevi avvisi, se necessari;
b) il saluto e la benedizione del sacerdote, che in alcuni giorni e in certe
circostanze si può arricchire e sviluppare con l'orazione sul popolo o con
un'altra formula più solenne;
c) il congedo del popolo da parte del diacono o del sacerdote, perché ognuno
ritorni alle sue opere di bene lodando e benedicendo Dio;
d) il bacio dell'altare da parte del sacerdote e del diacono e poi l'inchino
profondo all'altare da parte del sacerdote, del diacono e degli altri ministri.
I riti di conclusione, diversamente da quelli di introduzione, sono molto
semplici. È importante che tale semplicità sia mantenuta proprio al fine di
raggiungere lo scopo di questa parte della celebrazione eucaristica. La
celebrazione ha avuto un suo svolgimento e nella partecipazione alla mensa
eucaristica ha raggiunto il suo culmine, ora non è opportuno dilungarsi in
ulteriori elementi rituali, che possono unicamente distogliere dagli elementi
centrali della celebrazione.
Nelle solennità e in alcune circostanze particolari può essere usata la forma di
benedizione solenne ( OGMR, 167 [124]). La III ed. del Messale Romano ha
reintrodotto nel tempo di quaresima le orazioni super populum, come erano
presenti nel Messale di Pio V .
De riti di conclusione ci soffermiamo su alcuni elementi. Innanzitutto la
riverenza all’altare ( OGMR, 90). Dopo il congedo il presidente (e il diacono)
baciano l’altare e quindi tutti i ministri fanno un inchino profondo all’altare.
Il saluto all’altare è un elemento presente in molte tradizioni liturgiche e in
alcune liturgie orientali è anche molto sviluppato. Quando la custodia
dell’eucaristia è in presbiterio, sarebbe meglio evitare di sostituire l’inchino
all’altare, con l’inchino al tabernacolo. Quando il tabernacolo si trova al
centro del presbiterio il presidente (e il diacono) potrebbero portarsi davanti
all’altare e da lì fare l’inchino.
Una parola occorre anche dedicarla al canto finale. Di per sé non esiste nessun
canto finale prescritto. Anche la tradizione liturgica non conosce un tale
canto. «Per sé l’assemblea è sciolta e perciò tale uso non avrebbe senso, specie
se si è cantato dopo la comunione» . Infatti è proprio del canto unire
l’assemblea, rendere unità, attraverso l’unione delle voci, coloro che si
radunano per l’assemblea liturgica. Il canto, come abbiamo visto per i riti
iniziali, ha anche la funzione di introdurre nel mistero celebrato (OGMR,
47-48). Inserire un canto al termine della celebrazione, quando l’assemblea è
sciolta, sembra contraddire la natura e il senso del canto liturgico, che è
sempre un “elemento del rito” e non qualcosa di “aggiunto”. Il canto liturgico
per essere “vero” deve armonizzarsi con il rito che si celebra e rimanere fedele
al suo grande valore simbolico. Lo scioglimento dell’assemblea invece può essere
opportunamente accompagnato dal suono dell’organo. Questa ultima soluzione
meglio si addice a questo momento della celebrazione.
Conclusione
Fare attenzione alla “cornice rituale”, come abbiamo detto all’inizio non è una
questione di poco conto per le nostre celebrazioni dell’Eucaristia. Anche quando
si dedica a questi momenti grande cura, non sempre si tiene in debito conto la
loro specifica funzione nel complesso dell’intera celebrazione. Queste brevi
riflessioni possono aiutarci a comprendere meglio il valore di queste due parti
della celebrazioni “minori”, ma non per questo “accessorie”.
Matteo Ferrari, monaco di Camaldoli