"Dio che molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva parlato ai
padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per
mezzo del Figlio" (Eb 1,1-2).
Suona un po' strano che il Natale celebri il mistero della parola di Dio
definitivamente proclamata al mondo e alla storia, quando nel presepe siamo di
fronte a un infante, cioè uno che è privo di parola.
Come può riassumere tutto il parlare di Dio un bimbo, che in sè non dice nulla?
Certo, parlerà da grande; ma egli è da subito Parola, non solo quando inizierà
la sua predicazione.
Sembra inoltre che ciò vada contro la modalità forte e decisa, con la quale la
voce di Dio si fa sentire nelle teofanie, manifestazioni potenti e sconvolgenti
sino a incutere timore.
Qualcuno sperimenta il comunicare di Dio in forme paradossalmente deboli; si
tratta di Elia, chiamato sull'Oreb a porsi in ascolto di una voce di silenzio:
"Ci fu una voce di sottile silenzio. Come l'udì, Elia si coprì il volto" (1Re
19,12). È un passaggio di purificazione anche per lui che aveva appena dato
battaglia ai profeti di Baal sterminandoli tutti nel segno del fuoco divino!
Forse il paradosso del Natale somiglia a una voce di silenzio, per di più
sottile; chiede pertanto che ce ne facciamo avvolgere, imparando che solo dal
grembo del silenzio nasce ogni vera comunicazione.
L'inquinamento acustico delle nostre città evidenzia l'inquinamento interiore,
l'incapacità del cuore a farsi accogliente; impariamo da Maria, la madre, che
non parla ma medita e rielabora.
Un testo sapienziale narra appunto in forma di silenzio l'incontro tra la parola
di Dio e questa terra bisognosa di salvezza.
"Mentre un profondo silenzio avvolgeva tutte le cose e la notte era a metà del
suo corso, la tua parola dal cielo si lanciò in mezzo alla terra di sterminio" (Sap
18,14-15).
L'attitudine da coltivare per fare Natale è pertanto quella contemplativa, in
certo senso cercata anche da coloro che ne vivono unicamente il fascino di
tradizione familiare; siamo infatti tutti malati di inquietudine e abbiamo se
non altro nostalgia di ciò che fa serena la vita.
Guardare il Bambino che ci guarda e fa silenzio, accoglie e non giudica, fa
tacere i tormenti e rimargina le ferite.
L'annuncio natalizio è tutto racchiuso in un versetto denso, udito il quale
dovremmo come il profeta coprirci il volto; a significare l'intensità di una
relazione in cui entriamo, ma in punta di piedi.
"E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi" (Gv 1,14). La
Parola non si fa voce, si fa carne; la comunicazione non dice cose, diviene
comunione e condivisione.
Irrompe da quella culla un rovesciamento che sa di rivoluzione e la Madre lo ha
cantato: "Ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili" (Lc 1,52).
Se Dio parla nel silenzio del Bambino, che tono avrà il vangelo che la comunità
cristiana proclama al mondo? Può farsi forte della potenza umana, dirsi con
linguaggi vincenti, offrirsi sul mercato come prodotto di successo?
"Come sono belli sui monti i piedi del messaggero che annunzia la pace, del
messaggero di buone notizie che annunzia la salvezza" (Is 52,7).
Il messaggio del Natale richiede non sponsor che lo finanzino, bensì testimoni
credibili che lo raccontino con scelte evangeliche; non che lo gridino, ma ne
facciano gustare il silenzioso profumo d'amore e di vita.
Dario Vivian
da E fu dolce come miele
ISG edizioni LDC, Torino, 2007