Operatore di pace prima tra cristiani, divisi da secolari rivalità, poi tra cristiani, musulmani, drusi ed ebrei, mons. Chacour vive l’universalità del Vangelo, volgendo lo sguardo a tutti "figli di Dio".
"Ci sarà pace se ciascuno esce dal proprio ghetto, dal pregiudizio, dalla superficialità, dall'ideologia e va all'uomo, laddove incontra Cristo, nell'incontro con l'altro". Nel contesto della società plurale e secolarizzata che, in bilico tra integralismi laicisti e religiosi, sempre più spesso sceglie l'indifferenza, testimoniare la proposta cristiana impastata nella vita e nelle scelte quotidiane è un compito arduo. Ma il coraggio e la speranza evangelica di mons. Chacour dimostrano come vivere e affrontare le difficoltà del dialogo e della convivenza pacifica, contribuendo al processo di integrazione tra i popoli.

Bambino in un mondo di pace

Elias Chacour Michael nasce il 29 novembre 1939 nel villaggio agricolo di Birâm in Alta Galilea, in una famiglia cristiano-araba, il più piccolo di quattro fratelli e una sorella. Dal padre Michael Mîissa apprende il linguaggio della pazienza, del perdono e dell'amore. La madre, Katúb, nonostante sia analfabeta, recita a memoria interi brani tratti dalla Bibbia. Spesso ripete le Beatitudini, che avranno un ruolo importante nella formazione umana e spirituale di Elias: la ricerca del senso del discorso della montagna, che lo interroga bambino e a cui da adulto potrà dare risposta, sarà infatti la costante di tutta la sua vita. Il bambino ascolta la mamma seduto sulle sue ginocchia: «Lo sai, Elias, che Gesù era di Nazaret, che è un paese non lontano dal nostro?». Elias vede nella figura di Gesù un compagno di gioco, un amico in carne e ossa. Riesce a immaginare Gesù che passa davanti alle case del villaggio insieme ai discepoli per andare nel frutteto e passeggiare all'ombra degli alberi.


La sua origine cristiano-melchita


La famiglia Chacour fa parte della comunità di religione cristiano-melchita risalente al primo secolo. In origine i cosiddetti melchiti sottostavano al patriarcato di Antiochia, Gerusalemme e Alessandria. Durante le diatribe cristologiche nel V secolo si erano schierati dalla parte del concilio di Calcedonia e quindi a favore dell'imperatore greco. Rimasero fedeli ai dogmi fissati dal concilio anche dopo il crollo dell'egemonia bizantina e ricomposero le controversie tra le chiese favorendone l‘unificazione. Dopo alcuni secoli all'interno della Chiesa melchita si formò un movimento favorevole anche alla riconciliazione con Roma. Alla fine del XVII secolo, il papa venne riconosciuto come capo della Chiesa. La partecipazione degli antenati a queste vicende storiche, ha come segnato nel DNA di Elias la capacità di dialogo e di riconciliazione. Nella sua vocazione è andato delineandosi un grande carisma di operatore di pace.

Profugo e sacerdote

All'età di otto anni Elias diventa un profugo in patria. Il 29 novembre 1947 l'ONU propone di dividere la Palestina in due stati, uno arabo e uno ebraico. I paesi arabi non accettano la decisione: nascono i primi scontri tra arabi ed ebrei. Soldati israeliani occupano Birâm. Anche la farriglia Chacour è costretta ad abbandonare la propria casa, ma rimane nella regione, ricevendo di conseguenza cittadinanza israeliana, quando l’anno dopo Ben Gurion proclamerà la nascita dello Stato di Israele.
La situazione civile e politica non impedisce a Elias di terminare gli studi a Nazareth nel 1958. L’anno dopo parte per Parigi dove studia teologia al Seminario di San Sulpizio. Ritornerà In Israele nel 1964. In luglio è ordinato sacerdote e il 15 agosto viene nominato parroco di Iblîn, un villaggio della Galilea dove risiedeva una comunità melchita di alcune migliaia di abitanti. Mentre la storia del suo paese diventa sempre più complessa e difficile, Elias Chacour studia presso l’Università ebraica di Gerusalemme la Torah, il Talmud, l’aramaico e il siriano.


La festa del perdono

Nel villaggio di Iblîn c’erano da tempo conflitti tra greco-ortodossi e melchiti, tra cristiani e musulmani. Tuttavia nella prima domenica delle Palme che Elias celebra da parroco, i banchi della chiesa sono pieni. È presente quasi tutta la comunità, circa duecentocinquanta persone. «Siete un popolo diviso… incomincia Elias. Litigate tra voi e vi odiate… Se non riuscite ad amare nemmeno il fratello che avete di fronte, come potete sostenere di amare il Dio invisibile? ... Nei mesi scorsi ho fatto tutto il possibile per aiutarvi, per mettere pace tra di voi. Non ci sono riuscito. Celebrando con voi la messa, ho incontrato qualcuno, l'unico in grado di aiutarvi. L'unico che può compiere il miracolo e portare riconciliazione nel nostro villaggio: Gesù Cristo. Egli è tra noi. Solo Lui può darvi la forza del perdono. E così ora starò zitto e lascio che Lui agisca».
Alcuni cominciano a dirigersi verso l‘uscita. Ma Elias alza le mani. «Non tentate di uscire. Le porte sono chiuse. Se prima non vi perdonate gli uni gli altri, rimarrete qui. Due sono le possibilità: o vi uccidete tra di voi e io farò gratis il vostro funerale; oppure cogliete l'occasione di riconciliarvi con chi vi ha ferito o con chi avete ferito. Sarà la dimostrazione che sono diventato il parroco giusto per voi. Sta a voi decidere». Passano più di dieci minuti, di immobilità e silenzio totale. Poi una persona si alza in piedi. È Abú Muhib che dice: «Ho bisogno di essere perdonato, più di chiunque altro. Ho odiato i miei fratelli con tale forza che avrei voluto ucciderli...». Era il poliziotto che aveva maltrattato e contrastato Elias fin dal suo arrivo al villaggio. «Mi perdona, Abûnâ (padre)?».
Elias lo abbraccia:« Ora vada e saluti i suoi fratelli». Questi gli vengono già incontro lungo la navata, mentre Elias dice a voce alta: «Perché non ci abbracciamo tutti, come abbiamo appena fatto noi due?».
In pochi secondi si crea una grande confusione: è una commovente festa del perdono che si protrae per quasi un'ora. Alla fine Elias annuncia: «Non aspetteremo fino alla prossima domenica per celebrare la Pasqua di Risurrezione. Iniziamo subito. Con Cristo noi siamo risuscitati dalla morte e rinati a nuova vita. Ora riapro le porte: attraversiamo il villaggio, andiamo di casa in casa e cantiamo l'inno della Resurrezione! ». Elias dà un ultimo sguardo alla grossa chiave della chiesa che aveva in mano e la lancia in un fosso. Finché era lui il parroco di Iblîn, le porte della chiesa non sarebbero più state richiuse: Cristo abita nelle comunità dalle porte e dai cuori aperti!

Instancabile per la pace

Questo avvenimento nel piccolo villaggio di Iblin fu il preludio a quello più eclatante della marcia di Gerusalemme quando Elias Chacour si fa promotore di una marcia che doveva avere per protagonisti sia i palestinesi che gli ebrei uniti per la richiesta di pace davanti al parlamento israeliano. Il 23 agosto 1972 finalmente arrivò il grande giorno: colonne di corriere palestinesi risalivano la strada verso Gerusalemme …. Arrivavano da ogni direzione. Cristiani, ebrei, musulmani e drusi venivano a pregare insieme per la pace. C’era anche il vescovo Raya insieme a sacerdoti e rabbini…. Procedettero lentamente e pacificamente verso il centro della città. Nonostante le barricate erette dalla polizia, sempre più persone si unirono al corteo che silenziosamente raggiunse il traguardo: la Knesset, il parlamento israeliano... Centinaia di persone vegliarono per quattro giorni sotto il sole di agosto. Ma la loro pazienza fu inutile. La Knesset rimase rigorosamente chiusa …. Chacour li guardò mentre se ne andavano… vide che alcuni studenti, cristiani, ebrei, musulmani e perfino due drusi, si tenevano per mano, altri erano abbracciati. Pensò che il cambiamento stava comunque avvenendo: era un primo passo verso la riconciliazione.

Il suo impegno per la cultura
Alla fine degli anni sessanta Elias Chacour avviò uno studio sulla situazione esistente nei villaggi palestinesi della Galilea, dal quale risultò che il 75% della popolazione era al di sotto dei ventotto anni e il 50% addirittura ne aveva meno di quattordici. Molti bambini e ragazzi gironzolavano tutto il giorno per le strade polverose dei loro villaggi. Chi, nonostante tutto, frequentava la scuola dell'obbligo, spesso non terminava il ciclo di studi. Elias era deciso ad affrontare in prima persona questo problema. Ormai conosciuto a livello internazionale, per il suo impegno per la pace, fu invitato a tenere conferenze in Olanda, in Germania, in America. E ogni volta riceveva generosi finanziamenti da destinare alla realizzazione dei suoi progetti. I viaggi diventarono per Elias importanti momenti di speranza e di incoraggiamneto per la sua comunità e per il suo popolo. E così, pur in mezzo a difficoltà e resistenze locali, verso la fine degli anni settanta sorse a Iblîn la scuola Mar-Elias: arrivarono domande di iscrizione da famiglie di tutte le confessioni e ben presto fu frequentata da centinaia di giovani, di cui quasi il 60% ragazze, dalla scuola materna alle scuole superiori. Poi nel luglio 2003 fu inaugurata anche la prima università cristiano- israeliano-araba. Nel giorno di apertura, un giornalista scettico chiese a Chacour se i suoi sogni fossero castelli in aria. «Io non vivo nelle nuvole. So benissimo che la gente in Israele e in Palestina vive costantemente nella paura perché ogni giorno porta minacce»…. Ma questo non deve scoraggiare l‘impegno per l’integrazione, offrendo formazione e cultura.

Vescovo di Galilea


Il 25 febbraio 2006 Papa Benedetto XVI nomina Elias arcivescovo della diocesi di Akko, Haifa, Nazareth e tutta la Galilea. Da ogni parte arrivano gli auguri, da cristiani, ebrei, musulmani, drusi, da politici, ecclesiastici, professori e studenti, persone semplici, da tutto il mondo. Una grande prova di amicizia per Elias Chacour e un grande riconoscimento per la sua opera di pace. La cerimonia, celebrata secondo il rito melchita greco-cattolico, nella chiesa di S. Elia in Iblîn e l’intronizzazione nella cattedrale di Haifa, sono state trasmesse dalla stazione televisiva melchita ecumenica Noursat che nasce a Beirut, in Libano. A quattro anni da quel giorno, Elias continua a donare la sua vita di cristiano e di pastore per la riconciliazione tra i popoli e a proclamare con coraggio la buona notizia della pace.