Nel mondo oggi i consacrati costituiscono una grande famiglia di circa un milione di uomini e donne presenti in tutti i continenti al servizio delle chiese locali e dei popoli fra i quali lavorano e ai quali annunciano il Vangelo.
Padre Abella, superiore generale dei clarettiani e vicepresidente dell'Unione superiori generali, in un articolo apparso su l’Osservatore Romano (17 novembre) si domanda: come vivono questi uomini e queste donne la vocazione che hanno ricevuto? Che cosa li preoccupa? Quali sono le loro motivazioni? Dove trovano la fonte d'acqua che mantiene vivo il seme della vocazione ricevuta che permette di produrre frutti per la Chiesa e per il mondo? Quali problemi devono affrontare per vivere fedelmente la missione loro affidata?.
Come vivono “la passione per Cristo e per l’umanità”,per usare l’espressione del congresso per la vita consacrata di Roma nel 2004?
Indubbiamente, risponde p. Abella, «ci riconosciamo piccoli e deboli; ci sovrastano sfide numerose che mettono in dubbio la nostra capacità d'assumere la missione che ci è stata affidata… Molto spesso sperimentiamo la fatica e soccombiamo alla tentazione della mediocrità. Nonostante tutto, però, sentiamo che vivere come persone consacrate è cosa che vale la pena».

Occorre ravvivare il fuoco interiore

Cosa si può fare allora: «Grazie al cammino di riflessione e di discernimento condotto soprattutto dai capitoli generali, dopo il concilio Vaticano II – osserva il padre – abbiamo capito che è necessario ravvivare il fuoco interiore che dà senso alla nostra vita e dinamismo al nostro impegno apostolico. Questa è stata anche l'esperienza dei nostri fondatori e delle nostre fondatrici e questa è stata l'esperienza di molti nostri fratelli e sorelle che oggi sono per tutti noi un chiaro punto di riferimento.
Sappiamo molto bene che senza questo fuoco le nostre vite non saranno capaci di trasmettere né luce né calore. Senza di esso il nostro lavoro e le nostre istituzioni non saranno capaci di comunicare il Vangelo del regno di Dio e i nostri processi formativi non saranno molto più che itinerari di preparazione professionale più o meno ben articolati. Senza questo fuoco, ancora, la preoccupazione, pur giustificata, di possedere i mezzi economici in grado di rendere possibile la vita e le attività dei nostri ordini e istituti, non si differenzierebbe da quella d'ogni altro gruppo umano».
Tutti gli istituti, a partire dal Concilio, hanno avviato un profondo processo di rinnovamento. «Tutto ciò ha consentito una spiritualità più biblica e più liturgica che ha saputo integrare la sensibilità che proviene dalle realtà di questo mondo. Il ritorno alle fonti dei nostri carismi ci ha consentito di rileggerli e di cercare in essi nuove piste in risposta alle sfide di questo nostro momento storico».
Ma, nonostante questo, scrive p. Abella, «partendo da diversi presupposti si discute sullo stato attuale degli istituti di vita consacrata e si ipotizzano anche previsioni di scomparsa per molti di essi. È cosa certa che la vita consacrata, come qualsiasi altra realtà, è piena di luci e di ombre. Lo è anche il fatto che benché la vita consacrata sia cosa essenziale per la Chiesa, i singoli istituti possono scomparire come è di fatto accaduto nel corso dei secoli. Alcuni hanno già vissuto l'esperienza evangelica di essere seme che dando la vita muore».

Ragionare sui criteri

Ma l’aspetto su cui è necessario ragionare, rileva il padre, «sono i criteri a partire dai quali si valuta la vita consacrata e si fanno previsioni per il futuro». Ora, «queste valutazioni sono più pessimistiche quando ci si riferisce alla vita consacrata in quei continenti e paesi nei quali le statistiche evidenziano una notevole diminuzione dei loro membri. In tal senso, l'Europa è certamente il luogo più emblematico. E, appunto in Europa, si rileva come una delle ragioni principale della decrescita dei membri degli istituti sia l'incapacità di resistere al processo di secolarizzazione che caratterizza via via sempre più l'ambiente culturale del continente».
La secolarizzazione, tuttavia, sottolinea p. Abella, non manca di avere anche un suo versante positivo, poiché implica il riconoscimento della libertà, della dignità dell’autonomia dell’uomo, e dei suoi diritti. Costituisce quindi una grande opportunità di purificazione dell’immagine di Dio e della funzione del “religioso” che viene purificato alla manipolazione sociale, politica e ideologica. Colloca cioè il sacro e il santo in sintonia col Vangelo e con l’esperienza di Gesù.
Diventa invece negativa «quando rinuncia al contatto con Dio e non sa vivere, qui e ora, l’incommensurabile vita di Dio». Quando è così, essa «offusca l'orizzonte della vita dell'essere umano, che rinchiude in uno spazio nel quale diventa difficile l'esperienza dell'amore di Dio che abilita ad amare e che colma di senso e di speranza la vita delle persone».
Questi processi di secolarizzazione hanno riguardato anche le persone consacrate. «Non credo, tuttavia, – sottolinea p. Abella – che la , proprio per essere stata messa in discussione da questo processo di secolarizzazione particolarmente aggressivo in Occidente, l'esperienza della fede e l'opzione per la sequela di Gesù, che sono proprie dei religiosi, sono diventate più mature, così come l'impegno conseguente si è espresso con una più ampia libertà. Forse la vita religiosa non produce oggi molta «ammirazione» – i conventi e gli abiti non sono molto visibili – ma continua ad afferrare molte persone e a essere fermento di rinnovamento nella Chiesa e di trasformazione del mondo».

Carismi e contributo dei laici

Nel corso della storia sono sorti nuovi ordini e congregazioni con una vocazione di servizio, «ma di un servizio che rendiamo attraverso ciò che siamo e ciò che facciamo». In effetti, è «l'essere decide il fare e determina il «che cosa» e il «come» si fa quello che si fa». Tuttavia, anche se rispondono a necessità pressanti del momento storico nel quale nascono, gli istituti non nascono in funzione del fare. Al contrario, «ciascuno di essi si articola intorno alle tre dimensioni fondamentali della vita ecclesiale – fraternità, celebrazione e missione – e le integra a partire dal carisma specifico ricevuto dal fondatore e sancito dalla Chiesa».
Padre Abella, insiste molto sul tema del carisma che caratterizza che va oltre il lavoro specifico affidato. «È un aspetto importante, questo, perché la vocazione di un istituto. non si definisce per la sua funzionalità – ciò che si è stato fatto in un determinato periodo della storia e ha continuato a essere fatto per molto tempo – ma per il “profetismo” – una lettura della realtà che parte da Dio e che per ciò ispira un dinamismo che si rinnova secondo le condizioni cangianti dei tempi e dei luoghi».
Partendo dai nostri carismi specifici, «noi religiosi e religiose abbiamo imparato ad ascoltare le voci che ci vengono dal mondo e a prendere sul serio le domande che ci pongono… abbiamo cercato di trovare risposte nuove, comprensibili per la gente, e abbiamo imparato a dirle con un linguaggio nuovo, capace di giungere fino al suo cuore e alla sua vita»
Oggi, prosegue sempre il padre, le nostre comunità sono più aperte e il contatto con tanta gente ci ha aiutati a scoprire l’azione dello Spirito in tutti gli ambiti della comunità ecclesiale, ma anche fuori di essa. Questa apertura ha consentito di guardare in maniera nuova al contributo che i laici possono offrire, e questo «ci ha fatto bene». Infatti «la nuova coscienza dei laici circa la loro vocazione e missione nel popolo di Dio, che col concilio Vaticano II si è proposta con forza nella Chiesa, è stata una benedizione e non costituirà mai un pericolo per noi religiosi». Così, oggi, «impariamo a crescere insieme nella sequela di Gesù, secondo la forma di vita alla quale ciascuno è stato chiamato oltre che ad assumere la parte che ci corrisponde nella realizzazione della missione affidata dal Signore alla Chiesa
Molto opportunamente si deve parlare perciò di “missione condivisa”. «Si tratta propriamente di una realtà che nasce da una visione della Chiesa nella quale i carismi e i ministeri, così come le forme di vita che essi suscitano, si relazionano in una profonda esperienza di comunione così da essere reciprocamente fecondi e portatori di vita per il mondo. La “missione” è il sostantivo; “condivisa” è l'aggettivo che ci indica il modo di capirla e realizzarla. Si tratta di una missione che «appartiene a tutti» e alla quale noi aderiamo partendo dalla nostra vocazione specifica». Di conseguenza, «la collaborazione corresponsabile con i laici e con altre persone non è mai un fattore destabilizzante per i nostri istituti. La sentiamo come una benedizione, non come una minaccia».

La scelta della periferia


Un’esperienza molto importante della vita consacrata di questi anni è stata la scelta di muoversi «in direzione della periferia» e anzi essa «sta addirittura cercando di pensarsi a partire dalla periferia – geografica, sociale e culturale, per poter esser – come ha detto il papa (ai vescovi brasiliani) – parola di Dio per gli uomini e le donne del nostre tempo».
Resta però sempre il fatto che «siamo meno e meno ancora sono quelli che vengono a bussare alle nostre porte. Stranamente questo ci va conducendo verso l'esperienza della piccolezza che fu all'origine delle nostre congregazioni e che ci fa diventare più umili».
Ma, sottolinea p. Abella, «non abbiamo paura del futuro perché ci sappiamo ogni volta più, nelle mani di Dio, e questo nonostante l'ambiente secolarizzato del mondo che ci circonda. In altri luoghi cresciamo, ma nessuno ci assicura che i cambiamenti sociali e culturali prevedili anche in quegli spazi non debbano in futuro mutare questa tendenza».
Deve sempre, inoltre, essere chiaro che « che la vita consacrata ha una valenza essenzialmente escatologica, perché, essendo testimonianza del mondo futuro, anticipa e rende visibili i beni nei quali speriamo. In una sana escatologia cristiana, però, non si può contrapporre o addirittura opporre il tempo presente a quello futuro. Quanto più intensa è la speranza nella vita futura, tanto più c'impegniamo alla trasformazione del mondo presente secondo il piano di Dio. Ed è così che facciamo nostra questa dimensione tanto fondamentale della vita consacrata».
«Importante – conclude p. Abella – è che tutti cerchiamo la fedeltà alla vita consacrata che lo Spirito accompagna in direzione del futuro e non coltiviamo la nostalgia di ciò che è stato nei secoli passati. Si è parlato spesso di un «ritorno all'essenziale» L'espressione, che manifesta un desiderio sincero di più grande fedeltà, ha bisogno di essere pronunciata sempre con grande attenzione, perché non si va in direzione dell'essenziale presupponendo che una volta – chissà quando! – lo abbiamo posseduto. In direzione dell'essenziale dobbiamo continuare ad avvicinarci sempre perché c'impegna ad avvicinare la sequela e l'imitazione del nostro Signore Gesù Cristo. La vita religiosa è viva, perché lo Spirito continua a colmarla di vita. Ci sappiamo poveri e peccatori. Siamo però desiderosi di continuare a esser fedeli alla nostra vocazione nel cuore della Chiesa e alle frontiere della missione».