Si è sentito spesso dire che a pregare si impara pregando. Ognuno cioè deve fare la sua esperienza e lasciarsi guidare dallo Spirito poiché, come scrive Paolo, è lui che “viene in aiuto alla nostra debolezza”, e se noi “ non sappiamo come pregare in modo conveniente, ma lo Spirito stesso intercede con gemiti inesprimibili (Rm 8,26).
Ma in questo cammino spirituale, a volte pieno di insidie, sono molto utili anche i consigli delle persone che hanno imparato a pregare e hanno un’esperienza profonda della vita di preghiera. Non mancano certamente dei libri che trattano di questo argomento, ma ci è sembrato istruttivo leggere, a questo riguardo, anche il dossier che il quotidiano francese cattolico la Croix ha pubblicato nel numero del 12-13 novembre scorso. Il testo è a cura di Martine De Sauto, e raccoglie in sintesi i suggerimenti di alcuni sacerdoti, religiose e laici per chiunque voglia davvero progredire nella vita di preghiera. Sono formulati sotto forma di domande e di risposte e a cui segue, per ognuna, un consiglio.

Quando pregare? o, quanto tempo? Padre Jean-Marie Gueullette, professore di teologia all’università cattolica di Lione e direttore del centro interdisciplinare di etica presso la medesima, risponde: «Quando degli amici vogliono incontrarsi, devono fare delle scelte e stabilire delle priorità nella loro agenda. Se il loro rimane solo un desiderio, non si vedranno mai. La stessa cosa avviene con la preghiera. Se si prega solo quando se ne ha voglia, si pregherà molto raramente. Per quanto riguarda il luogo dove pregare, l’essenziale è questo favorisca la preghiera, il raccoglimento. Ma non si prega solo nelle cappelle o nel calore dei luoghi ben arredati. Dio è con noi dappertutto, poiché abita in noi. Se le nostre giornate comportano un tempo di preghiera, anche breve, poco alla volta diventa poi possibile riprendere coscienza della presenza di Dio, dovunque uno si trovi al supermercato o nell’ascensore…».
Il consiglio è questo: stabilire una durata realistica della preghiera e attenervisi. Non stare a chiedersi se c’è la voglia o no, cosa che cambia tutto poiché non si parte da se stessi o dai propri stati d’animo, ma Dio alla cui presenza ci si mantiene.

Il corpo partecipa alla preghiera? A rispondere è una domenicana, sr. Catherine Aubin, licenziata in psicologia, dottore in teologia spirituale. «Il corpo, osserva, è il mezzo con cui siamo in rapporto con il mondo e con gli altri. Se io amo qualcuno, gli do la mano, gli sorrido e l’abbraccio. La preghiera è dello stesso ordine; è infatti un rapporto, un rapporto interiore con Dio. Il corpo, lungi dall’ostacolare la preghiera, aiuta a pregare, mette il cuore in movimento. Se prendo in mano il Vangelo prima di cominciare, ciò mette in una particolare disposizione il mio corpo. Ciascuno può lasciare che salgano dal suo intimo i gesti intimi che mettono in movimento il cuore. A volte non c’è più bisogno di parlare. Il corpo è preghiera».
Un consiglio: cominciare col trovare il senso del respiro. Inspirando, accolgo il dono che Dio mi fa della vita. Espirando, rendo a Dio ciò che mi ha donato, ossia il soffio della vita. Ogni mattina, all’alzata, e ogni sera, prima di coricarsi, fare un esercizio di respirazione profonda, per stare in contatto con se stessi, con gli altri e con Dio.

Come entrare in preghiera? «La preghiera, afferma fr. Jean Marie, da trent’anni a Taizé, è uno spazio in cui ci si lascia condurre, attirati da Dio. A Taizé, i giovani hanno questa possibilità di fermarsi, di lasciarsi condurre. La musica è bella, i canti semplici. Ma il vocabolario è quello dei salmi. Un versetto risuona in noi. Forse ci parla. Il canto ci decentra in dolcezza, apre un accesso alla parola di Dio. Poi le letture illuminano in un’altra maniera, e nel tempo di silenzio ci lasciamo raggiungere negli angoli più nascosti del nostro cuore dalla parola di Dio».
Un consiglio: privilegiare la semplicità dei mezzi e dei gesti. Un’icona, una croce, una Bibbia aperta. Cominciare con un bel segno di croce. Ognuno ha le proprie parole. Per esempio: «Eccomi, Signore, sono qua».

È necessario parlare per pregare? «Lasciare che la preghiera diventi orazione, osserva p. Dominique Sterckx, carmelitano, animatore delle “Amitiés carmélitaines” all’istituto cattolico di Parigi, vuol dire accettare di tacere, lasciare che il silenzio si stabilisca in noi nella dimenticanza di noi stessi per concentrarsi sulle parole di Gesù e lasciare che lo Spirito le imprima nei nostri cuori fino a che esse portino frutti di fede, speranza e carità. Poi parlare con delle parole brevi e semplici del servo e dell’amico, per dire: “Che vuoi che io faccia?”. La preghiera. come ogni incontro di amicizia, ha delle tonalità diverse a seconda dei giorni. A volte, un versetto della Scrittura mi imbeve e mi dona di gustare la presenza di Dio. Altre volte, mi basta pronunciare il solo nome di Gesù perché egli sia presente. M’accontento allora di guardarlo e di lasciarmi guardare da lui. Ma, a volte mi sembra anche che egli non esista più per me. Credere malgrado tutto alla sua presenza in me è un atto di fede nella sua parola. Il Signore non usa un lampeggiatore per farsi avvertire».
Un consiglio: «Il silenzio – spiega Antoine d’Augustin, sacerdote dell’Istituto di Notre-Dame de vie , formatore presso il seminario di Parigi e accompagnatore di scuole di preghiera, è come collegare l’ADSL (dispositivo che consente la trasmissione dati ad alta velocità sulle tradizionali linee telefoniche) nel proprio computer. Esso apre la possibilità di ricevere Dio, cominciando ad abbandonare nelle sue mani ciò che siamo, con le nostre debolezze e le nostre nevrosi».

Come nutrire la propria preghiera? «La parola di Dio, spiega p. David, abate dell’abbazia En-Calcat, è la bussola che orienta tutto il resto. Da vent’anni, osserva, io leggo la Scrittura matita alla mano. Dio si è fatto a immagine dell’uomo. Egli si confida, ci delega mediante il suo Spirito la comprensione della Scrittura. Io mi sforzo di capire con le conoscenze che ho. Quindi copio la parola, il versetto che mi colpisce e lascio che si dispieghi, al di là del pensiero. Copiare, si dice, è leggere sette volte. Nel silenzio, ascolto ciò che Dio, per mezzo di questo versetto, ha da dirmi, come mi raggiunge nella mia personalità, nella mia vita, nelle mie prove. Questo mi imbeve, mi accompagna per la giornata, mi permette forse di riconoscere come lo Spirito è all’opera nella parola di un fratello, di un ospite, di un amico».
Un consiglio: La Scrittura è una piccola goccia che scava la roccia. Leggere un passo biblico, senza cercare troppo di analizzarlo. Scegliere una parola, quella che interpella, ascoltarla, riascoltarla per far risuonare la parola di Dio. Anche un quarto d’ora ogni giorno.

Ci sono dei metodi per guidare la preghiera? La liturgia è il luogo fondamentale per questo apprendimento. Essa si articola con la preghiera solitaria, personale, in cui il cristiano sta alla presenza del Padre “che è nel segreto” (Mt 6,6). «Nel corso dei secoli, afferma Pascale Paté, laica impegnata nel Chemin-Neuf con suo marito fin dal 1992, si sono sviluppate delle scuole di preghiera per incoraggiare, guidare, evangelizzare la preghiera. Ognuna corrisponde all’esperienza di un uomo o di una donna. Ignazio di Loyola, per esempio, propone una pedagogia che è frutto dell’esperienza che l’ha condotto a discernere l’azione dello Spirito di Dio in lui, e l’ha trasmessa nei suoi Esercizi spirituali. Queste scuole possono essere necessarie per mettersi in cammino, per andare più lontano, perseverare, imparare a lasciarsi trasformare».
Un consiglio: spetta a ciascuno trovare la propria strada, quella che gli conviene. Cominciare a guardarsi attorno, nella vita di tutti i giorni, ascoltare i consigli dei vicini, andare a vedere, sperimentare.

Recitare una preghiera è pregare? Gesù ha diffidato dal dire tante parole. La tradizione cristiana ci offre numerose preghiere. Un posto privilegiato occupa il Padre nostro insegnato da Gesù. Altre preghiere hanno un riferimento biblico come l’Ave Maria o il Magnificat, oppure occupano un posto importante nella tradizione della Chiesa come il Simbolo degli Apostoli o il Gloria a Dio. Si possono anche meditare i misteri del Rosario o riprendere la Preghiera del cuore: Signore Gesù, Figlio di Dio, abbi pietà di me peccatore. Ma il rischio, spiega p. Patrice Gourrier, prete a Poitiers e animatore dell’associazione Talitha Kum, è la recita meccanica, a fior di labbra, senza il desiderio di stare uniti a Cristo. La preghiera del cuore, per esempio, è stata messa a punto dai Padri orientali per allontanare il flusso dei pensieri, fare il vuoto e liberare uno spazio di silenzio interiore affinché Cristo abiti sempre più la nostra persona».
Un consiglio: recitare l’una o l’altra di queste preghiere con un gruppo di oranti evita il rischio di una recita meccanica. La preghiera in gruppo è un sostegno e una esperienza di comunione.

Chi pregare: il Padre, il Figlio, lo Spirito Santo? Padre Michel Rondet, gesuita, ricorda che «i primi discepoli pregavano il Dio dei loro padri, ma diventato per essi il Padre di Gesù. Colui che Gesù ha amato e fatto conoscere come suo Padre e nostro Padre. È a lui che vien reso grazie in particolare per il dono che ci ha fatto nel Figlio suo. Lasciando pregare in noi lo Spirito, noi comunichiamo all’amore di Gesù per il Padre. È questa la ragione per cui la preghiera cristiana si rivolge al Padre, per mezzo del Figlio, nello Spirito. La nostra preghiera può partire dal Figlio, dalla meditazione delle sue parole, dalla contemplazione dei suoi gesti, ed essa ci conduce necessariamente al Padre. A nostra volta, noi non possiamo pregare il Padre senza rivestirci dei sentimenti di Gesù e vivere del suo Spirito. La preghiera introduce nel movimento che unisce il Padre, il Figlio e lo Spirito, nella loro comunione. Noi non preghiamo Maria o i santi come preghiamo il Padre. Ad essi chiediamo: “pregate per noi”, e non “esauditeci”».
Un consiglio: Nella comunione dei santi, noi ci uniamo alla preghiera di Maria per gli uomini di cui è divenuta madre ai piedi della croce. Ci affidiamo a lei perché nella nostra umanità è colei che è associata in maniera unica all’opera della Trinità. E associamo i santi alla nostra preghiera perché crediamo che essi partecipano con noi alle premure del Regno.

È necessario essere accompagnati spiritualmente? «In certi momenti, risponde suor Véronique Fabre, superiora della comunità del Cenacolo, animatrice del Centro spirituale di Versailles, l’accompagnamento spirituale è necessario per verificare che non abbiamo a percorrere una strada sbagliata, per evitare le trappole dell’illusione e di qualsiasi altro potere. Per esempio, quando ascoltiamo solo quello che vogliamo ascoltare, trascurando certi passi della Scrittura col pretesto che non li capiamo. L’accompagnamento può anche aiutare a non giudicare la nostra preghiera alla stregua delle sola emozione».
Un consiglio: l’accompagnamento non è l’unico mezzo per essere aiutati nel cammino della preghiera. La cosa più importante è di non rimanere soli. Può essere sufficiente unirsi a un gruppo per nutrirsi della parola di Dio, accettando di essere interpellati da questa Parola.

Cosa fare quando scompare il gusto della preghiera? «Questa aridità, risponde Maurice Bellet, prete filosofo e psicanalista, non ha niente di strano. È quasi del tutto normale. I vecchi autori la consideravano utile e feconda. Purificare la preghiera, vuol dire purificare il desiderio affinché abbia a conformarsi alla volontà di Dio. Al giorno d’oggi, la noia, il disgusto sono dovuti dalla regolamentazione e dall’obbligatorietà della preghiera, da un sentimentalismo ambiguo e da un dogmatismo sterilizzante. Alcuni vanno avanti, costi quel che costi. È questa forse la preghiera più pura, poiché è l’accettazione che la relazione sia nuda, senza niente che soddisfi. Ma ciò non deve diventare un’ostinazione priva di senso. Pregare, vuol dire essere con Dio in una relazione viva in cui Dio è Dio, dove Dio è dono e ama veramente l’uomo. Francesco di Sales invitava Giovanna di Chantal a “lasciare Dio per Dio”. La contemplazione, egli diceva anche, deve essere fatta “con piacere”. Ora siccome si tratta di essere con Dio, mi posso chiedere quale preghiera mi piacerebbe: leggere un commento a un testo biblico con un forte desiderio di verità, ascoltare La Passione di J. Sebastian Bach? In ogni cosa posso volgermi verso colui che io non posso afferrare».

Un consiglio Quando non sai più pregare fai ciò che più ti conviene… senza guardare al cammino scelto dagli altri. Non dimenticando una cosa molto concreta, ossia ciò che scrive san Giovanni nella sua prima lettera: “Nessuno mai ha visto Dio; se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi e l'amore di lui è perfetto in noi”. (4,12). Dio è questo sconosciuto, al di sopra dell’abisso dell’assenza, il quale si ridesta nei nostri cuori e nelle nostre mani quando ci facciamo vicini al nostro prossimo.