Durante la 46ª Settimana Sociale dei cattolici italiani, lo scorso mese di ottobre a Reggio Calabria (cf. Testimoni 19/2010), è stato presentato al pubblico il nuovo libro di mons. G. M. Bregantini (arcivescovo di Campobasso-Boiano, attuale presidente della Commissione episcopale problemi sociali e lavoro, membro del Comitato organizzatore delle Settimane Sociali). Porta come titolo Sette lampade tra le pietre e le stelle ed è stato scritto, a quattro mani, con la giornalista Ida Nucera per le Edizioni Città del Sole.
Nelle “Premesse metodologiche” il vescovo indica lo scopo delle sue riflessioni: «Il nostro è un tempo di ricerca e di chiarezza. Ma non basta, perché c’è bisogno ancor più di speranza. La precarietà è insopportabile, assurda, fonte di paura. È una triste sentinella di ansia, una spia del bisogno di sicurezza. Se non evangelizziamo la precarietà si finisce per staccare la fede dalla vita». Il messaggio che si vuole comunicare alle comunità cristiane è, dunque, quello di evangelizzare la precarietà, altrimenti la storia diventa triste, la fede astratta, vuota (p. 15).
Se è vero che una vita dipende dalle prospettive, è il momento di rilanciare tutto quello che di grande Dio ha dato alla sua Chiesa. Perciò mons. Bregantini, religioso degli Stimmatini, si sente insieme pastore e sentinella (cf. Is 21,11), colui che deve vegliare, risvegliare e anche intravvedere il futuro dagli avvenimenti che vive nel presente. Vincendo l’accidia, virus che uccide l’amore, per tornare a fa vincere lo zelo, il quale è «relazione costruttiva con la gente e con le opere… è passione interiore, dedizione piena e matura».
Stiamo camminando infatti in una notte senza stelle, consapevoli che bisogna ricostruire le fondamenta della politica e della società, ma anche quelle della Chiesa. Abbiamo bisogno di olio per accendere, a una a una, le lampade di cui abbiamo bisogno per orientarci.

Le sette lampade
L’evangelizzazione della precarietà è coniugata dunque con l’immagine di sette lampade, numero simbolico che dice completezza e complessità, evocate all’interno di una conversazione appassionata sulla convivenza.
Si inizia con la lampada della cura, cioè con la questione dell’educare, che consiste nel «permettere a tuo figlio, che ha nel cuore la sua vocazione, di raggiungere il colore che Dio gli ha dato. L’educazione è far raggiungere il massimo della verità nel massimo della libertà» (p. 24). Si tratta di curare con due mani, quella della fedeltà e quella della tenerezza. Così un prete è oggi chiamato a essere fedele a una Parola che lo porta fuori da sacrestie e comodità, per mettere i piedi dentro le case di ammalati e vedove, in carceri e ospizi, nelle baracche dei rom o degli stranieri. Mentre un credente laico deve testimoniare quella coerenza che nasce da un modo di leggere la Parola e la storia, che diventa amore concreto alla propria terra, fedeltà nelle piccole cose e stile di gratuità. Preti e laici però devono impegnarsi insieme a far brillare il volto di Gesù, velato ancora – dice con coraggio mons. Bregantini – da ricerca di mediazioni religiose accomodanti che danno sicurezza, prestigio e soldi (“santini” e processioni, gesti populistici e pellegrinaggi confortanti, atteggiamenti emotivi e protagonismi).
Segue la lampada dell’altro (fraternità, pace e integrazione tra culture). «Fratelli non si nasce. Si diventa, in un cammino di fede e di amore, che è proporzionato alla nostra consapevolezza di essere figli… la vita è tutta dentro questi due termini: o fardello o fratello!» (p. 48). La pace è frutto non solo di carità, ma anche di giustizia: questa è la prospettiva (per la chiesa come per la società civile) con cui rileggere la ribellione degli immigrati sfruttati a Rosarno e gli esperimenti di innesto pacifico degli immigrati stessi in piccoli paesi spopolati della Calabria.

Tra le pietre e le stelle


La terza lampada riguarda il tempo dell’allenamento, dove va sparso il profumo della testimonianza eroica del quotidiana, nelle cose non-visibili con la “passione delle pazienze”. In tempi che sembrano grigi ma che, in realtà, sono quelli in cui si lavora sulle radici. Tra le radici essenziali c’è sempre quella del lavoro decente, soprattutto per i giovani.
A questo punto si possono accendere con più letizia le lampade della giustizia e della ecologia. Mons. Bregantini inquadra la lotta all’usura e l’impegno per un’etica politica nel quadro del nuovo sforzo educativo alla giustizia da parte della Chiesa (del sud come del nord in un paese che deve tornare a essere solidale, ponendo la questione meridionale come questione “nazionale”), una Chiesa chiamata alla profezia senza quei silenzi che la rendono complice di uno stile di vita che favorisce i ricchi e penalizza i poveri. La battaglia per un’acqua di tutti e per fonti energetiche alternative (ma anche educative) sono invece inquadrate dal vescovo nella visione di una ecologia come casa dell’uomo: «c’è una ecologia del cuore e un’ecologia della terra. Ecologia ed escatologia in un’intreccio armonioso… Questa è la soluzione: più coltivi il tuo cuore, più coltivi la terra. Più coltivi la terra, più coltivi il cuore» (p. 114).
Le ultime due luci si accendono sulla speranza nella prova e sulla povertà. La speranza non nasce né dopo la prova né fuori della prova, ma dentro la prova, e insegna a essere poveri cioè a vivere evangelicamente la precarietà per evitare che diventi disperazione e paura. Il cielo non dimentica mai la terra ma ne diviene la perfetta identità: allora la speranza è capacità di accendere una lampada e forza per non dire mai che il cielo è buio.
Alla fine di questa lettura siamo davvero spinti a rimetterci in cammino alla ricerca della fede autentica (avvalorata dalla testimonianza del passato), a convivere con la nostra ombra coscienti che senza di essa non può esistere la vera luce e a immaginare la nostra anima in continuo fermento creativo, simile a un bambino con in mano un aquilone.
Coi piedi per terra e lo sguardo sempre rivolto verso l’alto.