Il documento riguardante gli Orientamenti pastorali presentato recentemente
dalla conferenza dei vescovi italiani pone al centro dell’attenzione della
comunità ecclesiale l’educazione e i processi di crescita, come priorità per il
prossimo decennio . Spinti dalle nuove emergenze che affiorano con forza sia
dentro che fuori della chiesa, quanti professano la stessa fede sono invitati a
mettere al primo posto l’educazione come compito a cui prestare attenzione, per
il quale investire energie nei diversi campi dell’evangelizzazione.
Tale attenzione fa seguito a una rinnovata consapevolezza dell’intreccio
presente tra l’annuncio della Buona Novella e il lavoro di crescita pastorale,
con cui la Chiesa “porta a pienezza l’umanità”. In questi tempi a volte pervasi
da disorientamento e perdita di valori in tanti ambiti della società, la
comunità ecclesiale fa sua questa inquietudine educativa, «confermata anche
dagli “insuccessi” a cui troppo spesso vanno incontro i nostri sforzi per
formare persone solide, capaci di collaborare con gli altri e di dare un senso
alla propria vita» .
Inoltre, si tratta di una sete di educazione che ha come punto di partenza le
condizioni di vita della gente del nostro tempo, consapevoli che l’attenzione ai
segni dei tempi permette di riconoscere «le tracce dell’azione dello Spirito,
che apre orizzonti impensati, suggerisce e mette a disposizione strumenti nuovi
per rilanciare con coraggio il servizio educativo» (OR, 2010, n. 3), offrendo
utili indicazioni per attivare un’opera di educazione efficace per rendere
visibile la vita buona del Vangelo.
Verso una visione pedagogica della vita consacrata
Cristo è il modello privilegiato di tale preoccupazione pedagogica della chiesa,
Lui che è il maestro buono, che porta nel cuore di ogni persona la gioia di una
vita nuova centrata sul suo esempio e sul suo amore. L’opera di evangelizzazione
rende visibile questa scelta cristocentrica, che impegna a conformarsi a lui e
al suo stile pedagogico. La priorità educativa, però, insegna che tale scelta di
vita deve essere rinnovata continuamente lungo il cammino di crescita di ogni
credente, per aderire con amore e fermezza al progetto di amore che Dio ha
stabilito per l’umanità.
Lasciarsi modellare da Cristo è la base di ogni sforzo educativo della chiesa, a
condizione però che chi evangelizza sia docile agli insegnamenti dello Spirito.
Sarà quindi possibile rispondere al compito di educare gli altri alla fede,
nella misura in cui si lascia trasformare e sfamare da Colui che è fonte di
amore e maestro di dedizione.
A questa visione educativa dell’opera di evangelizzazione, centrata sulla
configurazione a Cristo modello di vita, vi partecipa a pieno titolo la vita
consacrata, in tutti quei contesti dove i religiosi e le religiose sono
impegnati a lavorare per il Regno. Infatti, tutta l’esperienza di consacrazione
è una risposta di conformazione a Cristo e al suo progetto di amore, perché
attraverso le diverse forme e i diversi carismi le persone consacrate rendono
una testimonianza vivente della meta finale a cui tutta l’umanità è chiamata.
«Prima ancora che per attività specifiche, essa [la vita consacrata] rappresenta
una risorsa educativa all’interno del popolo di Dio per la sua indole
escatologica. In quanto caratterizzata da una speciale configurazione a Cristo
casto, povero e obbediente, costituisce una testimonianza fondamentale per tutte
le altre forme di vita cristiana, indicando la meta ultima della storia in
quella speranza che sola può animare ogni autentico processo educativo » (OR,
2010, n. 45).
Pertanto, la sollecitudine della Chiesa a prendersi cura della valenza educativa
del lavoro di annuncio tocca da vicino i religiosi e le religiose, chiamati a
essere continuamente attenti alla propria identità e ai segni di speranza
presenti nel mondo. «Il rinnovamento della vita religiosa comporta il continuo
ritorno alle fonti di ogni forma di vita cristiana e alla primitiva ispirazione
degli istituti, e nello stesso tempo l'adattamento degli istituti stessi alle
mutate condizioni dei tempi» .
Il cuore educativo della vita consacrata
Alcuni aspetti descritti negli “Orientamenti” dei vescovi sono particolarmente
attinenti alla missione delle persone consacrate, soprattutto quando vengono
sottolineate le scelte di fondo che hanno portato a mettere al centro
l’educazione come sfida dei prossimi anni. In particolare, il primato di Dio
nella vita e nelle scelte della comunità ecclesiale, la testimonianza come stile
di vita secondo il vangelo, e l’impegno pastorale che mette al centro la persona
ed è capace di continuo rinnovamento.
Anche la vita consacrata pone Dio al centro della propria risposta vocazionale,
attraverso un rapporto di amore indiviso con Cristo; ed è da Lui che prende
forma uno stile di vita di totale dedizione al compito di evangelizzazione nei
diversi campi di azione, dove i religiosi e le religiose rendono visibili «le
meraviglie che Dio opera nella fragile umanità delle persone chiamate» .
Inoltre, tale fermento missionario è oggetto di continua trasformazione, perché
pure i consacrati e le consacrate sono chiamate a una costante conversione che
dia vigore alla dimensione profetica del loro servizio per il Regno. Solo così
potranno assumere in prima persona «un ruolo eminentemente pedagogico per
l’intero popolo di Dio» , poiché loro stessi si sono lasciati trasformare
dall’azione educativa dello Spirito.
Per il loro modo di essere radicati nell’azione dello Spirito, per il costante
ascolto della Parola e per la loro passione a discernere i segni dei tempi, così
come per il patrimonio educativo che caratterizza la loro storia, «le persone
consacrate sono in grado di sviluppare un'azione educativa particolarmente
efficace, offrendo uno specifico contributo alle iniziative degli altri
educatori ed educatrici» .
In questo modo essi partecipano alla dimensione educativa della chiesa intera,
perché aiutano a rendere Dio presente nelle diverse realtà di questa società a
volte disorientata e confusa ma comunque desiderosa di conoscere il mistero di
un amore che supera le barriere di ogni egoismo.
Dalla sete di educazione ai segni dei tempi educativi
La passione educativa è costantemente collegata a un’attenzione ai segni dei
tempi, perché è nel tempo e nella storia che è possibile riconoscere l’azione
creatrice dello Spirito, è lì che si può cogliere il bisogno di Assoluto
nascosto nel cuore di ogni uomo e si possono riconoscere le risorse e le
potenzialità che facilitano la crescita.
«Un segno dei tempi è senza dubbio costituito dall’accresciuta sensibilità per
la libertà in tutti gli ambiti dell’esistenza» (OR, 2010, n. 8). Questo bisogno
di libertà è un’aspirazione che pervade molti aspetti della vita della gente, e
che ha cambiato molti ambiti della vita moderna. Forse anche all’interno della
vita consacrata.
Eppure questo bisogno non può essere limitato solo ad arginare le influenze
negative della vita e della società: essere liberi da ogni sollecitudine e
preoccupazione, liberi da oppressioni, da disturbi o da inconsistenze psichiche
o fisiche… Fermarsi unicamente a questa libertà intesa come una “libertà da”
elementi esteriori o interiori, sarebbe troppo restrittivo. Rischia di diventare
una libertà centrata sul proprio “Io”, che polarizza le differenze rinchiudendo
la persona nel proprio mondo e nelle proprie priorità, producendo così nuove
frustrazioni e nuove forme di esclusione (OR, 2010, n. 10).
Mentre, la ricerca di libertà che qualifica lo sforzo educativo della chiesa è
quella capace di offrire un’esperienza nuova e integrale a queste aspirazioni,
perché apre l’individuo a nuovi atteggiamenti, a nuove decisioni, e soprattutto
permette di realizzare i valori che perdurano. In questo positivo rivolgersi a
ciò che la libertà apporta all’uomo c’è la direttrice fondamentale della sua
esistenza, che lo porta a essere responsabile “per” qualcosa, uscendo da se
stesso per andare verso la realizzazione di quei valori che sono sintonizzati
con la pienezza di vita proposta da Cristo. «Un’autentica educazione deve essere
in grado di parlare al bisogno di significato e di felicità delle persone» (OR,
2010, n. 8).
Chi educa a questa libertà si sente responsabile della ricerca di una felicità
che non è effimera e frammentaria, ma che dura perché è centrata sull’esperienza
e sulla forza trasformante della propria fede. Intraprendere o meno la
realizzazione di tale compito è un processo di responsabilità educativa che
impegna l’educatore a scoprire il significato vero dell’esistenza, per dare una
risposta di senso all’interrogativo che la vita pone a ogni essere umano.
Educare a questo coinvolgimento vuol dire aiutare le persone a realizzare giorno
per giorno questa ricerca di libertà e di amore autentico, dando delle risposte
concrete al bisogno di Assoluto e di Dio che gli uomini di oggi portano
inscritto nei propri geni, imparando insieme a guardare alla propria realtà come
una continua occasione «per favorire e sostenere la tensione di ogni cristiano
verso la perfezione» .
Quando l’uomo ritorna alla propria esistenza si accorge delle tante possibilità
che ha a sua disposizione, che lo aiutano a realizzare le sue aspirazioni più
profonde. Tutto ciò costituisce una sfida ma anche un compito che egli è
chiamato a realizzare secondo le sue reali potenzialità. Tale dimensione ci
riporta al senso finalistico di ogni processo educativo, sia nella vita umana
che nel cammino di fede, perché tutte le cose convergano verso Colui che dà
significato alla nostra vita, Cristo Gesù.
Sfida educativa che coinvolge la totalità della persona
L’esperienza integrale della fede e della vita cristiana comprende sempre una
duplice aspirazione educativa, sia come maturazione umana che come cammino di
fede. Da una parte essa comprende la capacità di attuare le potenzialità della
persona in modo armonico e integrato. Dall’altra, tale maturità non riduce le
profonde aspirazioni spirituali dell’individuo ma anzi lo apre ad una
comprensione maggiore, in particolare per quel che riguarda il suo punto di
incontro con la fonte della sua vita, con Dio.
Quando questi due aspetti sono dissociati, o sono considerati come dei processi
paralleli o in successione temporale, come se fossero gerarchicamente
organizzati, ne scaturiscono delle distorsioni degeneranti nella propria
crescita umana ma anche nel proprio bisogno di Dio. «La formazione integrale è
resa particolarmente difficile dalla separazione tra le dimensioni costitutive
della persona, in special modo la razionalità e l’affettività, la corporeità e
la spiritualità. La mentalità odierna, segnata dalla dissociazione fra il mondo
della conoscenza e quello delle emozioni, tende a relegare gli affetti e le
relazioni in un orizzonte privo di riferimenti significativi e dominato
dall’impulso momentaneo» (OR, 210, n. 13).
Tale visione educativa diventa molto limitante, perché si limita a dei bisogni
immediati, a un benessere fine a se stesso, alla logica del “tutto e subito”
così diffuso nell’attuale società. Così la maturità è limitata a obiettivi che
restano imprigionati nel bisogno di sicurezza narcisistica dell’individuo,
chiuso nei propri orizzonti individualistici ed egocentrici.
Una volta raggiunto lo scopo, una volta cioè acquisite le qualità e le doti
necessarie per star bene, cessa il bisogno di edu¬cazione e la persona può
sentirsi finalmente “arrivata”. La maturazione intesa in questi termini resta
però incompleta e frammentaria, soprattutto se è dissociata dai bisogni
trascendenti della vita. Tale rischio è stato denunciato anche nel contesto
della vita religiosa, oltreché nella missione pastorale della chiesa: «Già
Benedetto XVI aveva messo in guardia contro tale pericolo di perdita di senso
vocazionale, parlando di “rischio di mediocrità” quando la vocazione si traduce
in forme di individualismo ed egocentrismo che fiaccano il cammino della fedeltà
evangelica (Benedetto XVI, 2008, 5). Così si impigrisce la fede e si inaridisce
il dono della vocazione, lasciando l’operatore bloccato nella sensazione che…
non c’è nulla da fare» .
Le conseguenze di tale visione possono essere disastrose dal punto di vista
operativo, perché la persona riduce il cammino educativo a un sistema chiuso,
limitato a ciò che si vede esteriormente e in modo superficiale. Quando questo
succede nella Chiesa, si avverte il peso di una spiritualità o di una
testimonianza, resa monca da una visione riduttiva, dove il primato di Dio resta
confinato ad una fede stereotipata o ad una religiosità dissociata dallo stile
di vita e svuotata della sua essenza spirituale, del suo carattere carismatico.
L’educazione integrale necessita invece un coinvolgimento dinamico e autentico
nel cammino educativo. «L’educatore non è un osservatore passivo dei fenomeni
della vita giovanile; deve essere un amico, un maestro, un allenatore, un
medico, un padre, a cui non tanto interessa notare il comportamento del suo
pupillo in determinate circostanze, quanto preservarlo da inutili offese e
allenarlo a capire, a volere, a godere, a sublimare la sua esperienza» .
Si tratta di un unico processo esistenziale: il processo di crescita e di
maturazione in Cristo è necessariamente anche un processo di crescita di tutta
la persona nelle sue diverse dimensioni vitali ed evolutive. Ciò significa che
oltre ad essere una meta verso cui aspirare, è anche un continuo succe¬dersi di
tappe, ciascuna delle quali ha il suo significato e il suo valore; non solo, ma
anche una sua compiutezza, pur se non defini¬tiva.
«Le virtù umane e quelle cristiane, infatti, non appartengono ad ambiti
separati. Gli atteggiamenti virtuosi della vita crescono insieme, contribuiscono
a far maturare la persona e a svilupparne la libertà, determinano la sua
capacità di abitare la terra, di lavorare, gioire e amare, ne assecondano
l’anelito a raggiungere la somiglianza con il sommo bene, che è Dio Amore» (OR,
2010, n. 15).
Se guardiamo alla vita consacrata, solo una religiosità che agisce come motivo
dominante dell’esistenza riesce a dare senso alle azioni e alle scelte educative
e trasformanti dei singoli. Tale vissuto di fede fondato sull’amore a Cristo
povero, casto e obbediente polarizza tutte le energie dell’individuo e lo
proietta verso il senso autentico della sua scelta vocazionale, anche nei
momenti di crisi e di difficoltà.
Pertanto, ad ogni età e in ogni esperienza di vita i consacrati sono in una
condizione “maturante” che non si ar¬resta mai, ma che modella e cambia le
persone coinvolgendole sempre più nell’opera educativa, senza mai stancarsi e
senza sentirsi mai arrivati.
Questo modo di concepire il loro ruolo pedagogico dà origine a degli obiettivi
realistici, ciascuno dei quali è ca¬ratterizzato da quella compiutezza e
perfezione che è possibile in ogni circostanza e in ogni specifica età; ha un
senso compiuto; è aperto a quegli ulteriori perfezionamenti che sono richiesti
dall’evolversi della vita, dal divenire della cultura e dalle mutazioni della
realtà sociale, e che portano l’individuo a spostare l’asse dell’attenzione
esistenziale dalla fattività dei bisogni e delle attese immediate alla
trascendenza del bisogno di Assoluto e quindi di Dio.
Ricerca di senso nel rapporto autentico con gli altri
«Che cosa cercate?» (Gv. 1,38). È la domanda che Gesù fa a chi si mette alla sua
scuola di verità, una domanda che scuote il cuore dell’uomo, e lo riporta alla
sua condizione di finitudine, al suo bisogno di alterità e di infinito. È una
domanda che suscita il desiderio di dare un senso alla propria vita, e stimola
anche il suo riconoscimento (OR, 2010, n. 25).
Il nuovo progetto di vita che Gesù propone con il suo interrogativo, pro¬voca
una profonda inquietudine a livello di pensiero e di azione perché mette in
crisi i vecchi comportamenti ed esige nuovi modi di vedere e di vivere la
realtà. «L’esperienza della fragilità umana si manifesta in tanti modi e in
tutte le età, ed è essa stessa, in certo modo, una “scuola” da cui imparare, in
quanto mette a nudo i limiti di ciascuno. Per queste ragioni il tema della
fragilità entra a pieno titolo nella dinamica del rapporto educativo, nella
formazione e nella ricerca del senso, nelle relazioni di aiuto e di
accompagnamento» (OR, 2010, n. 54).
Del resto la prospettiva educativa implica sempre questo atteggiamento di
continua tensione tra la propria finitezza e l’infinito della meta verso cui
ognuno aspira. Concretamente, ciò significa che l’uomo si possiede, si ritrova e
si riconosce nella sua identità profonda, entrando in rapporto con gli altri,
poiché nella relazione egli riscopre il suo essere a immagine di Dio. Inoltre,
la relazione con l’altro e l’evolversi della reciprocità non è un dato acquisito
magicamente o ereditato, ma è frutto di un continuo lavoro di identificazione e
di differenziazione che ciascuno realizza nei rapporti interpersonali. «Solo
“l’incontro con il ‘tu’ e con il ‘noi’ apre l’‘io’ a se stesso”» . È chiaro
quindi che il compito educativo della chiesa e della vita consacrata ha un
carattere eminentemente relazionale, a partire dal rapporto che ogni credente
matura lungo il proprio itinerario di fede, con Colui che dà senso ad ogni
relazione.
«Educare richiede un impegno nel tempo, che non può ridursi a interventi
puramente funzionali e frammentari; esige un rapporto personale di fedeltà tra
soggetti attivi, che sono protagonisti della relazione educativa, prendono
posizione e mettono in gioco la propria libertà. Essa si forma, cresce e matura
solo nell’incontro con un’altra libertà; si verifica solo nelle relazioni
personali e trova il suo fine adeguato nella loro maturazione» (OR, 2010, n.
26).
Se manca questa tensione autentica verso la diversità dell’altro, la persona si
rinchiude nel proprio egoismo e nelle proprie paure, bloccata nell’illusione di
un “altruismo” a proprio uso e consumo, mascherato da pseudo-aspirazioni
idealizzate.
La vita consacrata non è esente da questo pericolo, ogniqualvolta si rinchiude
nei propri pur legittimi problemi, soffocando le aspirazioni profetiche della
propria missione altruistica. Basti pensare alle tante situazioni relazionali in
cui i religiosi e le religiose operano, ai nuovi disagi e alle nuove povertà
sociali. Ma anche al proprio interno, alla mancanza di vocazioni,
all’invecchiamento, alle difficoltà della convivenza multietnica, ai conflitti
generazionali…: sono tutti contesti relazionali che sfidano a riscoprire la
forza educativa che risiede nei rapporti autentici, e che accomuna l’intera
comunità ecclesiale. «Anche quando difficoltà vocazionali impongono agli
istituti la scelta sofferta di concentrare attività e servizi, è bene che ogni
decisione in merito tenga conto di un dialogo previo e di una valutazione comune
con la Chiesa locale interessata» (OR, 2010, n. 45).
Del resto, il carattere relazionale è talmente evidente nella missione educativa
dei consacrati, che esso riguarda la vera natura della loro missione, non solo
all’esterno ma anche nei rapporti comunitari. «Alle persone consacrate si chiede
di essere davvero esperte di comunione e di praticarne la spiritualità, come
“testimoni e artefici di quel “progetto di comunione” che sta al vertice della
storia dell'uomo secondo Dio”» . In un clima di relazionalità autentica essi
sono chiamati ad aprirsi, a farsi conoscere, a mettersi in discussione,
lasciandosi modellare attraverso un rapporto dialogico schietto con quanti
partecipano a questo percorso di trasformazione e di cambiamento.
«La credibilità dell’educatore è sottoposta alla sfida del tempo, viene
costantemente messa alla prova e deve essere continuamente riconquistata. La
relazione educativa si sviluppa lungo tutto il corso dell’esistenza umana e
subisce trasformazioni specifiche nelle diverse fasi» (OR, 2010, 31).
Nei diversi ambiti relazionali dove essi operano, faranno esperienza di vero
annuncio, testimoniando con la loro vita comune che dalle diverse esperienze
interpersonali è possibile aprirsi alla speranza dell’opera di salvezza di Dio.
Il cantiere educativo come laboratorio di crescita
La persona che evolve e che cresce è interpellata continuamente a testimoniare
tale sviluppo, attraverso alcune caratteristiche che sono imprescindibili dalla
sua scelta di vita. Gli Orientamenti pastorali dei vescovi italiani mettono a
fuoco alcuni aspetti che riguardano l’autenticità dell’educatore, e che
concernono anche la missione educativa dei religiosi e delle religiose.
Guai a perdere di credibilità
Chi si assume la responsabilità di educare deve essere capace di autenticità nel
rapporto educativo. Senza una genuina integrazione tra l’identità di sé e
l’orientamento motivazionale delle proprie scelte di vita, si mette a
repentaglio il processo educativo. Oggi si avverte molto il rischio di una crisi
di credibilità e di coerenza, soprattutto quando l’educatore assume uno stile di
vita che è in contraddizione con il carattere profetico della sua vocazione
educativa. «L’educatore è un testimone della verità, della bellezza e del bene,
cosciente che la propria umanità è insieme ricchezza e limite. Ciò lo rende
umile e in continua ricerca» (OR, 2010, 29).
Questa autenticità la si ottiene attraverso un continuo allenamento, con delle
scelte appropriate e con dei tempi adeguati per realizzarle. È in questo
atteggiamento di attenzione a sé e agli altri, che è possibile ricomporre in
modo propositivo le contraddizioni che si possono presentare nei diversi
contesti educativi in cui la Chiesa è impegnata a operare.
Mostrarsi autenticamente nei diversi contesti educativi facilita il
riconoscimento dei propri limiti ma anche delle proprie risorse, importanti per
perseguire il fine comune della piena maturità in Cristo. Ma soprattutto
permette di creare un clima di fiducia che aiuta ciascuno a contribuire con
delle risposte concrete alla comune preoccupazione della comunità ecclesiale, di
crescere nella propria identità cristiana.
Anche le persone consacrate sono chiamate a essere testimoni autentici del
vangelo, generando un nuovo modo di vivere nei diversi campi di azione, non
soltanto sul piano dell’efficienza dei risultati e dell’immagine esteriore ma
soprattutto su quello della chiarezza motivazionale. Questo richiede che abbiano
una chiara visione della propria identità vocazionale, della propria cultura,
della propria storia psichica, per entrare in un rapporto educativo autentico
con gli altri, per fare strada insieme e per procedere verso la comune meta dei
valori del Regno.
Questa preoccupazione a essere testimoni credibili nelle parole e nei fatti li
porta a riappropriarsi del proprio percorso di salvezza e dell’itinerario di
conversione. Infatti, chi ha il compito di testimoniare è chiamato a una
coerenza di vita che è specifica della sua missione. «L’educatore compie il suo
mandato anzitutto attraverso l’autorevolezza della sua persona. Essa rende
efficace l’esercizio dell’autorità; è frutto di esperienza e di competenza, ma
si acquista soprattutto con la coerenza della vita e con il coinvolgimento
personale. Educare è un lavoro complesso e delicato, che non può essere
improvvisato o affidato solo alla buona volontà» (OR, 2010, 29).
A questo punto non è fuori luogo parlare di competenze, perché il lavoro
educativo non può essere solo un “fare” delle cose, ma anche un “far bene”
motivato dalla propria scelta di vita. L’attenzione ai processi educativi
comporta questa esigenza di qualità nel proprio servizio di evangelizzazione.
Per questo occorre ravvivare anche nella vita consacrata il bisogno di
un’adeguata preparazione ai diversi campi di azione, appropriandosi delle
competenze adeguate per usarle nello spazio della comune missione ecclesiale,
riconoscendosi bisognosi di un rinnovamento continuo, per rispondere alle
esigenze della missione.
Un compito dialogico che educa il cuore delle persone
Il compito di chi educa è un servizio che coinvolge creativamente la persona,
perché la impegna ad essere presente nelle diverse situazioni dove opera,
stimolando lo sviluppo delle motivazioni primarie alla partecipazione, alla
comunicazione e all’agire. Per esempio, un religioso che lavora tra i giovani
limitandosi a una pastorale di assistenza o a fornire delle pie esortazioni, ma
poi non propone più niente perché constata che nessuno si interessa alle sue
iniziative, può chiedersi se le sue proposte sono sintonizzate con l’ambiente
che lo circonda e con le risorse comunque presenti nelle persone che è chiamato
ad evangelizzare. Insomma, chi educa deve confrontare il proprio stile di
leadership con le esperienze e le risorse delle persone a lui affidate, in modo
da suscitare delle risposte di collaborazione e di crescita.
Questo sarà possibile nella misura in cui l’educatore sarà capace di dialogare.
Il principio della dialogicità si concretizza nell’incontro autentico realizzato
in un clima di vicinanza e di reciprocità, che permette di considerare ciascuno
nella sua individualità e nella responsabilità a raggiungere mete comuni. Il
criterio delle dialogicità permette di interagire come persone portatrici di
esperienze, attraverso un confronto schietto e sincero, dove il “dirsi le cose”
diventa esperienza di vita e non di svalutazione reciproca, e il discernimento
non viene sostituito da maschere di ruolo o da forme convenzionali di
comunicazione. L’obiettivo di tale apertura dialogica è quello di arrivare al
consenso sulle relazioni e sull’agire comune, perché ciascuno entra in contatto
con la verità dell'altro, con i suoi bisogni e le sue esigenze.
Dialogare con gli altri vuole anche dire tener conto dei diversi aspetti che
caratterizzano ognuna delle persone con cui si interagisce, i suoi tempi e la
sua storia, le sue potenzialità e le sue inconsistenze. Ciò significa
sintonizzarsi con il rispetto e la conoscenza reciproca, piuttosto che con
l’imposizione costrittiva.
Questo lavoro attentivo modella il modo di pensare, di agire e di rapportarsi
con gli altri, ma facilita anche l’espressione della diversità e delle ricchezze
di cui l’altro è portatore.
Verso una progettualità di una formazione integrale
Lungo il percorso di crescita che caratterizza l’intero arco dell’esistenza, la
persona è chiamata ad appassionarsi per un progetto di vita aperto ai valori
esistenziali che l’orientano verso la piena realizzazione di sé, rispondendo
all’appello che Dio gli rivolge. Il compito educativo di cui parlano i vescovi
non è episodico o occasionale, ma è un percorso continuativo, impostato secondo
una prospettiva dialogica permanente.
Dinanzi alla complessità di tale lavoro, si sente la necessità di un profondo
cambiamento che prenda spunto da una nuova consapevolezza che la questione
educativa esige un continuo rinnovamento. «L’educazione, infatti, se è compito
di sempre, si presenta ogni volta con aspetti di novità» (OR, 2010, n. 53).
Questo bisogno di rinnovamento serve a raggiungere dei fini condivisi, a volte
attraverso il dialogo e l’ascolto reciproco, a volte assumendosi la
responsabilità delle proprie scelte. In questo senso, ognuno ha una
responsabilità educativa da riscoprire e da alimentare, perché questa
corresponsabilità sostiene tutti a procedere insieme verso la realizzazione del
progetto comune.
Programmare tale itinerario significa tradurlo nei vissuti quotidiani, con delle
tappe specifiche verificabili lungo il percorso, per rendere operativo il lavoro
di discernimento e di integrazione tra ideali e realtà quotidiana. «Nell’ottica
della corresponsabilità educativa della comunità ecclesiale, andrà condotta
un’attenta verifica delle scelte pastorali sinora compiute » (OR, 2010, n. 53).
Strada facendo, la chiarezza di tale impostazione diventa un metodo formativo
che la persona può interiorizzare, e che caratterizzerà l’intera sua esistenza.
In ogni ambito in cui gli evangelizzatori operano (religiosi, religiose,
sacerdoti, catechisti, papà e mamme di famiglia, giovani, anziani…), il processo
formativo sarà un lavoro continuativo: nella pastorale, nelle comunità
religiose, nella formazione dei propri membri, nel lavoro, sulla strada, ecc.
Il cammino di maturazione che ne consegue diventa così un compito aperto e una
continua riscoperta della propria vocazione, in un clima di fiducia verso coloro
che hanno il ruolo di discernere i segni della forza creatrice dello Spirito,
con la certezza che ogni vocazione è un dono da accogliere e da accudire
continuamente. Allora sì che l’azione educativa sarà efficace, perché ognuno vi
potrà partecipare con il proprio vissuto esperienziale, sotto la guida di chi,
non solo è compagno di viaggio ma è anche testimone e maestro di vita, in un
percorso che è frutto di una consapevolezza nuova, che coinvolge tutti ad essere
famiglia di Dio.