L’avvio di un nuovo anno liturgico è sempre caratterizzato dalla lettura più
estesa di uno dei vangeli sinottici. Quest’anno sarà il racconto secondo Matteo
ad essere proposto con più frequenza nella liturgia della parola domenicale.
A dire il vero, i cosidetti “tempi forti” (avvento, natale, quaresima e pasqua)
seguono un percorso più direttamente mistagogico e tematico, mentre è
soprattutto nel tempo ordinario che le letture domenicali proclamano prolungate
sezioni del primo vangelo.
L’autore e il suo ambiente
Primo nell’ordine canonico del NT, il vangelo di Matteo fino al secolo scorso è
stato considerato il più antico e, per questo, ha esercitato una grande
influenza nella storia della Chiesa. La ricerca storico-critica ha evidenziato
molte dipendenze da Marco, unitamente a fonti proprie di Matteo e una in comune
a Luca (fonte Q). Non è questa la sede per affrontare tale dibattito, il quale
si potrà utilmente ritrovare in ogni commentario esegetico.
Nostro scopo è offrire un quadro sintetico e generale del racconto matteano nel
suo contesto storico e teologico.
Nel 70 d.C. il mondo ebraico ha vissuto un tremendo shock psicologico e
spirituale. Il saccheggio di Gerusalemme e soprattutto la distruzione del tempio
ad opera dei romani, ha posto termine a un tipo di religiosità perniata attorno
alla sacralizzazione del tempio, luogo della presenza di Dio. Con la diaspora,
l’ebraismo in un certo senso ha dovuto “reinventarsi”, non senza contrasti e
difficoltà. La comunità cristiana a cui si rivolge l’autore del primo vangelo
risiedeva in Palestina o, più probabilmente, ad Antiochia di Siria. Certamente
si trattava di una chiesa giudeo-cristiana e, per questo motivo, condivideva la
stessa apprensione del popolo ebraico. Il vangelo secondo Matteo, dunque,
intende essere una risposta alla tragedia scaturita con la distruzione del
tempio, inserendosi nell’acceso dibattito su come intendere la Torah e le
tradizioni ebraiche. Non si era ancora del tutto consumata la rottura con il
giudaismo ed è in questo contesto che debbono essere comprese le accese
polemiche presenti nel primo vangelo, per non ingenerare indebite spinte
antisemite come purtroppo di fatto nella storia della chiesa si è verificato.
La data di composizione dello scritto probabilmente è fra 80-90 d.C.; l’autore
difficilmente è il pubblicano di cui si parla in Mt 9,9 divenuto poi discepolo
di Gesù. Due sono soprattutto le obiezioni: se l’apostolo fosse evangelista come
mai non si affida completamente alla sua memoria e testimonianza personale? Da
dove ha preso un esattore delle tasse una formazione cosi approfondita della
Torah e della tradizione ebraica?
Leggere Matteo
Molte e divergenti sono le ipotesi che gli studiosi hanno avanzato nell’intento
di stabilire quale possa essere la struttura stilistica che Matteo ha adottato.
Matteo usa abbondantemente i testi dell’AT, per certificare che la credibilità
di Gesù è in piena assonanza all’antica alleanza e alle attese messianiche del
popolo ebraico. Vi è un comune consenso fra gli studiosi: l’intreccio tra parti
discorsive e racconti. Cinque sono i discorsi: discorso della montagna (capp.
5—7), invio degli apostoli in missione ( cap. 10), parabole (cap. 13), discorso
comunitario (cap. 18), discorso escatologico e del giudizio(capp. 24—25). Essi
rappresenterebbero i pilastri dell’opera matteana legati tra loro dai racconti.
Altri studiosi propongono uno schema più attento agli elementi strutturali della
narrazionem, cogliendo maggiormente il dramma del Messia accolto e rifiutato. Il
vangelo vien così suddiviso: il «chi e il «dove» di Gesù (1,1-2,23); L’inizio
dell’attività di Gesù (3,1-4,25); il discorso del Monte (5,1—7,29); le
portentose opere di Gesù (8,1-9,38); il discorso missionario (10,1-42); il
rifiuto di Gesù (11,1-12,50); parabole del regno (13,1-53); miracoli, polemiche
e la croce (13,54-17,27); consigli a una comunità divisa (18,1-35); opposizione
a Gesù (19,1-23,29); la venuta del regno (24,1-25,46); morte e risurreziona di
Gesù (26,1-28,20).
Infine, una terzo tracciato narrativo si basa su un modello geografico, che
segue il cammino e gli spostamenti di Gesù nei territori d’Israele: preparazione
(1,1—4,11); in Galilea (4,12—13,58); attorno alla Galilea e verso Gerusalemme
(14,1—20,,34); a Gerusalemme (21,1—28,20) .
Ovviamente tali schematizzazioni non sono mai esclusive, ma un invito ad
accogliere le molteplici possibili interpretazioni, le quali non sostituiscono
la imprenscindibile lettura personale del vangelo.
Dio con noi nel volto di Gesù
Il messaggio teologico e spirituale dipendono molto da come il lettore
interpreta il tessuto letterario. Due sono le caratteristiche particolari di
Matteo: i vangeli dell’infanzia e il discorso escatologico. La narrazione
dell’infanzia di Gesù viene condivisa con Luca, ma con notevoli differenze. Una
fra tutte: nel riportare le origini di Gesù, Luca risale fino ad Adamo (Lc
3,38), Matteo invece identifica Gesù come «figlio di Abramo» (Mt 1,1). Il
messaggio teologico è così evidente fin dagli inizi: il Dio con noi, assume il
volto di un figlio d’Israele, in fedeltà all’alleanza con Abramo e Davide. Gesù
è il volto di Dio che starà permanentemente con i suoi discepoli e con la sua
chiesa per sempre, «fino alla fine del mondo» (Mt 28,20).
Matteo sviluppa intensamente il discorso escatologico già presente in Mc 13. Si
tratta di un discorso che precede la passione e morte di Gesù. Come già abbiamo
rilevato, il primo vangelo rappresenta una delle tante risposte alla difficile
congiuntura sociale e religiosa della comunità giudeo-cristiana. La fine
giungerà solo quando sarà proclmato il vangelo a tutti (24,14). Al discepolo
viene chiesta perserveranza fiduciosa (24,13) e attesa amorosa (25,13).
Sono davvero così tante le linee teologiche e spirituali che emergono dal
racconto di Matteo che qui è impensabile anche solo fare una rapida carellata.
Chi è Gesù dipinto da Matteo? Alcuni titoli: figlio di Davide (Mt 1,1; 15,22),
il Maestro e rabbì (8,19; 19,16; 26,25) il figlio di Dio (Mt 14,32), il Figlio
dell’uomo (Mt 24,30), il piccolo che accoglie e dà ristoro (Mt 11, 25-30), il
Messia che opera guarigioni, il pastore percosso (Mt 16,31).
Un significativo rilievo teologico particolarmente perntinente all’oggi della
nostra Chiesa è il discorso sulla comunità (Mt 18): In esso, la parabola della
pecora smarrita (mt 18, 12-14) e del servo spietato (18, 23-35) sono un
esplicito appello alla misericordia e alla ricerca di chi è lontano. Il punto di
partenza non è il rigorismo e l’esclusione di chi compie il male, ma il farsi
piccoli e sentirsi responsabili dei “piccoli” (Mt 18,10) della comunità (il cui
significato non va esaurito al senso letterale). Una comunità cristiana, dunque,
che sta al passo dei più fragili, lontano da ogni atteggiamento di condanna e
intolleranza.
Il racconto matteano nell’anno liturgico
Siamo così in grado di cogliere alcune dinamiche riprese dal nuovo anno
liturgico. La prima domenica di avvento si apre con l’invito alla vigilanza (Mt
24,37-44) e l’ultima domenica del tempo ordinario propone la famosa pagina del
giudizio finale (Mt 25,31-46). Entrambe le pericopi fanno parte della sezione
dei «discorsi ultimi» (capp. 24—26), il cui tema è la venuta del regno di sapore
chiaramente apocalittico. Questi due brani rappresentano una cornice,
un’inclusione a tutto l’anno liturgico, quasi a volerci ricordare che il tempo
della vita dei cristiani, scandito dall’Eucaristia domenicale è una permanente
attesa vigilante, vissuta all’insegna del riconoscimento del Messia soprattutto
nel volto dei piccoli e poveri.
Le domeniche del tempo ordinario che seguono Natale fino all’arrivo della
quaresima si concentrano sul cosiddetto «discorso del monte» (capp. 5 —7). Lo
specifico di questa parte è il raffronto tra l’insegnamento di Gesù e la Torah.
Si tratta di un discorso che mette in luce il rapporto tra l’Antico e il Nuovo
Testamento. Ora, si dovrà fare molta attenzione a non cadere in un sterile
moralismo e a presentare l’insegnamento di Gesù come una sostituzione
dell’antica tradizione ebraica. Gesù non annulla, ma riporta alla sua radicalità
originaria ciò che è contenuto nella Torah. Essa va globalmente rispettata e
attuata. Il dialogo con la tradizione ebraica e la conoscenza dell’AT ci paiono
essere i due pilastri sul quale innestare anche la predicazione omiletica.
Il terzo e prolungato periodo del tempo ordinario si apre dopo pentecoste fino
alla festa di Cristo Re che segna il termine dell’anno liturgico. In questo caso
la liturgia sceglie di fare una lectio cursiva del racconto matteano partendo
dalla parte finale del discorso missionario riguardante il vangelo narrato ai
piccoli (Mt 11,25-30). Questi capitoli sono parte di un lungo arco narrativo
costruito secondo l’alternanza discorsi e racconti: discorso missionario (10),
racconto di Gesù rifiutato «da questa generazione» (11-12); discorso su sette
parabole sul Regno ((13); racconto su Gesù riconosciuto dai discepoli (14-17);
discorso sulla vita comunitaria (18); racconto sull’autorità di Gesù (19-22);
discorso apocalittico (23-25). Emergono diversi filoni, tutti comprenetrati alla
ricerca del volto di Gesù, della Chiesa, del discepolo.
Così nella liturgia domenicale, come in ogni eucaristia, si compie quella
misteriosa promessa di un Dio che ha deciso nell’evento pasquale di rimanere con
noi e accompagnare i difficili percorsi di riconciliazione e di pace.