“Terminai il mio scritto, lo chiusi in un cassetto… e per la prima volta dal mio ritorno, dormii veramente, senza sogni”. Le notti tormentate di Wanda Półtawska - prigioniera nel lager di Ravensbrück - rivivono in queste pagine1, per dare voce alla memoria e alla possibilità di salvezza se sostenuti dalla fede in Dio. Deportata nel 1941 nel campo di concentramento di Ravensbrück - noto come uno dei principali lager di detenzione femminile - l'autrice fu sottoposta a crudeli esperimenti chirurgici dai medici nazisti. Cominciò a scrivere questo libro di memorie sulla sua tragica esperienza subito dopo il ritorno a casa, nel 1945. Le memorie di una donna che, nonostante tutto, non ha perduto la convinzione che l'uomo è immagine di Dio, ma che deve lavorare per essere tale.

Arrestata e deportata

Wanda Półtawska, nata il 2 ottobre 1921 a Lublino, fu arrestata dalla Gestapo e deportata a Ravensbrück nel 1941 per essere entrata a far parte della resistenza polacca, come molti suoi coetanei cattolici, quando ancora era una studentessa di medicina, e ne uscì alla fine della guerra nel 1945. Poté così far ritorno in Polonia, dove sposò Andrzej Póltawski, dal quale ebbe quattro figli. Medico di successo, laureata in psichiatria, fu amica e collaboratrice di Karol Wojtyla fin da quando era assistente dei giovani universitari a Cracovia, e continuò a lavorare con lui anche dopo l’elezione a Pontefice. Per cercare di uscire dagli incubi che tutte le notti la angosciavano, una sua maestra ed amica le suggerì di scrivere i suoi ricordi. “Dapprima non lo feci – scrive l’autrice nella prefazione al libro – ma più tardi, una notte, quando fui presa dalla paura per i miei sogni, scrissi. Scrivevo solo di notte…” Questa terapia riuscì a curarla e sollevarla. Nonostante tutto tornò “a sognare del lager con la stessa nitidezza dei primi giorni, ma accadeva solo in periodi di particolare stanchezza. Dieci anni dopo tropvai qualcuno a cui confidare di aver scritto questo libro di memorie e dopo qunidici anni mi convinsi di darlo alle stampe. Ci ripensai… mi sembrava troppo intimo e troppo macabro. Cancellai alcuni frammenti, al posto dei quali rimangono buchi chiaramente evidenti”.

La storia di un dramma

Nel libro, l’autrice descrive il dramma delle detenute che venivano sottoposte a trattamenti di chirurgia sperimentale agli arti inferiori, quelle, ovviamente, che non venivano subito uccise. Ma l’odissea della Półtawska era iniziata in modo brutale e umiliante al Castello di Lublino per continuare, alcuni mesi dopo, nel lager di destinazione. La storia raccontata non è nuova, ma lo stile è quello di una donna che non ha «mai perduto la fede nel fatto che l’uomo è creatura divina, capace di azioni eroiche; ma Ravensbrück mi ha anche insegnato – scrive nella postfazione all’edizione tedesca del 1993 – che l’uomo non è automaticamente un’immagine di Dio, che deve anzi lavorare per essere tale». I medici e gli infermieri, gli aguzzini che si dedicavano alla sperimentazione su queste donne inermi chiamate “coniglietti” lasciavano, nelle sopravvissute, invalidità permanenti; ma queste donne si considerarono fortunate per essere sopravvissute ai medici e non essere state fucilate. Alcune furono operate cinque volte e poi fucilate. Ma la storia è anche una storia di coraggio, resistenza, reazione, orgoglio patriottico, che ha contribuito a far sopravvivere quelle povere vittime della follia nazionalsocialista e lascia una riflessione e un insegnamento per l’oggi; insegnamento che sta tutto in quella frase del 1993: «l’uomo non è automaticamente un’immagine di Dio», occorre lavorare, tutti, sempre e cosi la morte non vincerà.


Wanda Półtawska
E ho paura dei miei sogni. I miei giorni nel lager di Ravensbrück
Edizioni San Paolo, Milano, 2010, pag.254 Euro 16,00