Cogliere il senso del proprio tempo non è mai stata impresa facile perché si tratta di scoprire quella forma che oggi lo Spirito sta realizzando per diventarne collaboratori.
A definire la Vita Religiosa erano prevalentemente categorie di separazione. Non soltanto separazione dai laici ma anche dalle altre forme di vita consacrata, e pure una certa separazione dalla vita della chiesa locale, pensando che la propria identità si rafforzasse accentuando le separazioni piuttosto che la complementarietà. Oggi invece si dice che l’identità procede dall’alterità (Emanuel Levinas)): è il nostro essere in relazione che struttura e solidifica l’identità stessa. La scoperta di sé diventa scoperta dell’altro e viceversa. Inoltre è l’attuale situazione di mondo interdipendente a sollecitare il ripensamento creativo circa il modello relazionale di ogni carisma, diversamente ci si consegna a un inevitabile destino di estraneità, con la conseguenza che un dato carisma diventa insignificante. Siamo dunque al punto che ogni carisma fatica a dare ragione di se stesso a partire da sé. Non abbiamo niente da difendere ma tutto da dare e da ricevere in sincera comunione tra carismi, “al fine di edificare il corpo di Cristo”( 1 Cor 12-20 ) che è la Chiesa, intesa come un luogo aperto e accogliente nel quale ognuno porta il suo dono e ogni dono costituisce una ricchezza per l’altro.
Nell’enciclica Deus caritas est (32) è detto – in riferimento a tutte le organizzazioni che svolgono un servizio di carità – che «il vero soggetto è la Chiesa stessa, e ciò a tutti i livelli, iniziando dalle parrocchie, attraverso le chiese particolari, fino alla Chiesa universale». In consonanza con queste espressioni nel seminario di studio CEI – Vita Consacrata , mons. Gianfranco Gardin ha suggerito alcuni passaggi che la VC dovrebbe compiere: «dall’ignoranza alla conoscenza, dalla diffidenza all’accoglienza, dalla competizione alla collaborazione, dal campanile alla cattedrale, dalla cattedrale a piazza s. Pietro». È una legge ecclesiologica. Ma è anche una sorte di legge sociale secondo cui quello che non circola muore.

Innanzitutto conoscersi per accogliersi


Per la VR la prima apertura relazionale è la reciproca conoscenza tra carismi. Conoscendo gli altri conosceremo meglio noi stessi. Ha detto un tedesco: la via più breve per conoscere se stessi è quella di fare un viaggio attorno al mondo. E forse ancor più saggiamente ha aggiunto un inglese: chi conosce solo l’Inghilterra, non conosce l’Inghilterra. L’invito di Ripartire da Cristo è di «avviare tutte le iniziative possibili per una sempre maggiore conoscenza e stima reciproche» (32). E continuando dice: «Non si può più affrontare il futuro in dispersione. È il bisogno di essere Chiesa, di vivere insieme l’esperienza dello Spirito e della sequela di Cristo, di comunicare le esperienze del Vangelo, imparando ad amare la comunità e la famiglia religiosa dell’altro/a come la propria» (30). La Chiesa non è un supermarket di carismi ma un’unica grande comunione, a somiglianza trinitaria. Questa comunione non significa sfondersi ma prendere coscienza della propria identità per aprirsi all’altro. Dovrebbe valere ciò che si va dicendo di varie aggregazioni: configurazioni ecclesiali che nelle loro tipiche diversità, non cercassero appassionatamente l’unità, dimostrerebbero che non è lo Spirito colui che le anima. In riferimento al comune vantaggio san Bernardo diceva: abbiamo bisogno gli uni degli altri; il bene spirituale che io non ho lo ricevo dagli altri. San Paolo si spinge a dire: “gareggiate nello stimarvi a vicenda”. Il termine gareggiate si potrebbe tradurre con «anticipatevi», precedetevi nell’accoglienza tra comunità, imbastite rapporti amicali tra famiglie religiose, tra antichi e nuovi carismi. Un’amicizia fatta di gesti molto concreti e molto umani, come il pensare bene degli altri, saper dire la cosa giusta o di saper tacere al momento opportuno, cogliere l’onorabilità del carisma altrui, anche in presenza delle inevitabili fragilità umane, ma soprattutto scoprire le sintonie che permettano un ascoltarsi e un dirsi, che rivelino il gratuito della vite e la sapienza nascosta nel pozzo dell’umanità della gente . Non è cosa facile ma questo, secondo s. Paolo, dovrebbe essere il dinamismo all’interno della Chiesa.

Accogliersi per collaborare

È necessario scoprire nei carismi oltre alle somiglianze, prevalenti sulle differenze, la complementarità delle diversità, non solo in modo «affettivo», ma anche «effettivo». Nella teologia del Vaticano II° è centrale l’immagine della Chiesa come communio, termine (cum-munus) che secondo Urs Von Balthasar vuol dire mettere insieme i propri doni. Da qui il senso della moderna condivisione intesa come scambio reciproco di un qualcosa che non si possiede come proprietà privata ma come dono da ricevere e donare. L’odierna sfida per ogni istituto è l’accettazione di una nuova ricollocazione che obbliga a non chiudersi nel proprio recinto. La necessità di superare separatezza e autosufficienza oggi non proviene soltanto dalla forza dei principi ma anche dalla debolezza dei numeri.
Nel nord-est i religiosi/e in dieci anni (2000-2010) sono passati da 16.890 a 12.862 perdendo dunque circa 4.000 membri. Nello stesso tempo l’età media è passata per le religiose da 67.3 a 76.8 anni, e per i religiosi da 64.3 a 74,7. Nello stesso tempo le comunità sono passate da 1.879 a 1443. Di queste – escluse le case di riposo, gli studentati e le case generalizie – un terzo è composta di soli due membri con età superiore alla media. Questo dato fa prevedere un prossimo notevole aumento di chiusure non potendo più diminuire le presenze nelle comunità e l’età media aumenta.
Dal dato di realtà evidenziato emerge che un’autonomia interpretata come autosufficienza prossimamente sarà una scelta nettamente perdente perché le sfide che la complessità pone sono superiori alle forze di ciascuno.

Dalla comunità  alla Chiesa locale

Gli istituti non sono i destinatari ultimi di una data spiritualità ma il tramite verso la Chiesa e il mondo. È necessaria allora la promozione di una spiritualità “in circolo”, che significa dalla diversità all’unità, dall’unità alla diversità. Il futuro è di chi sa ripensarsi insieme a tutto il popolo di Dio, di chi sa mettere in pratica e conciliare la generosità del dare – riferito al dono del carisma – con la generosità del ricevere; è di chi sa accogliere le alleanze con i laici e presbiteri delle chiesa locale come una questione irrinunciabile per esistere. Gli istituti religiosi non sono isole ma espressioni della Chiesa impegnate con essa nell’unica grande missione evangelizzatrice. Diversamente dal passato, oggi non interessiamo più per una vita a parte, diversa, ma per una particolare modalità di vivere e di proporre dei valori che sono necessari ad ogni persona umana.
Di conseguenza, si fa forte l’esigenza di un impegno evangelico il cui ambito non sia un luogo avulso ma inserito nell’ecclesiale e nel cammino culturale circostante, diversamente il carisma di consacrazione risulterà sempre più insignificante ed irrilevante.
Dalla consapevolezza di essere risorsa ecclesiale di una data Chiesa locale, scaturisce la necessità di fare in questa e con questa dei progetti in cui i religiosi/e nella complementarietà dei carismi mettano a disposizione le loro competenze (organizzative, gestionali, di animazione, di evangelizzazione), oltre alla disponibilità di strutture e diversificate opportunità didattiche e formative, esperienziali, di ampio respiro (nazionale e internazionale). Vivificandosi e fermentandosi a vicenda. Credo che «se si percorrerà questa strada, la chiesa locale sarà un laboratorio di sperimentazione»

Dalla chiesa locale a quella universale

La vita religiosa è sorta come riproposta della primitiva comunità cristiana la cui ragione d’essere era la koinonia come incontro dell’ “io” e “tu”: due realtà che si cercano e si incontrano nella sintesi del “noialtri”. L’atmosfera che ne viene fuori si chiama “comunione” il cui ambito per la VR è tutto il popolo di Dio (cf LG 45; CD 35,3; MR 22), offrendo una visibile, discreta ma efficace testimonianza che c’è una strada concreta, aperta, che sbocca nella fratellanza universale . In questo si compendia il meglio della vocazione religiosa e in particolare la sua attualità, in un tempo in cui le relazioni interpersonali o interumane sono diventate anonime e hanno messo radici in ciò che è meramente funzionale. In quest’epoca in cui l’uomo è diventato tanto solitario, spetta alla VR aprire vie di aiuto all’uomo moderno creando spazi e vincoli comunitari dove le persone possano riconoscersi e comunicarsi come tali, fedeli alla propria identità e a quella degli altri, cioè salvando e tutelando le differenze più personali come base di ogni reale comunione, capace di condividere le speranze e le gioie, le tristezze e le angosce degli uomini (GS 4). Attraverso una visione di vita religiosa “in-utile” per un mondo utilitarista, essa apparirebbe come la sostanza di un mondo non utilitarista, cioè più personalista, più fondato sulla gratuità, più comunionale (ib).
Che la VR, sulla linea di quanto finora espresso, abbia un contributo tutto suo da dare alla Chiesa è detto in un passaggio del recente intervento di Benedetto XVI dedicato alla figura di san Francesco: «È interessante notare, da una parte, che non è il papa che dà l’aiuto affinché la Chiesa non crolli, ma un piccolo e insignificante religioso, che il papa riconosce in Francesco che gli fa visita. Innocenzo III era un papa potente, di grande cultura teologica, come pure di grande potere politico, tuttavia – dice ancora Benedetto XVI – non è lui a rinnovare la Chiesa, ma il piccolo e insignificante religioso: è san Francesco, chiamato da Dio. Dall’altra parte, però, è importante notare che san Francesco non rinnova la Chiesa senza o contro il papa, ma solo in comunione con lui. Le due realtà vanno insieme: il successore di Pietro, i vescovi, la Chiesa fondata sulla successione degli Apostoli e il carisma nuovo che lo Spirito Santo crea in un dato momento per rinnovare la Chiesa. Insieme cresce il vero rinnovamento» .
È pur vero che attualmente è ancora insufficiente nella Chiesa il riconoscimento della varietà di doni e ministeri e quindi rilevante la difficoltà a comporli in armonia. L'ecclesiologia dei carismi richiede forse ancora approfondimento, per muoverci in un contesto di comunione. Ciò è dovuto al fatto che noi siamo segnati da un modello di vita cristiana poco permeabile al pluralismo, perche per molti vuol dire confusione piuttosto che molteplicità. Ora la sfida per la Chiesa consiste nel ritrovare un’unità che non sia monolitica, un’unità povera, ma un’unità di integrazione. Vale il discorso che si va facendo per l’ecumenismo: l’unità non è unicità ma – come dice Congar – una comunione in cui l’unità è il prodotto di una diversità riconciliata.