La storia dell’America Latina, nel bene o nel male, è stata segnata dalla presenza della vita religiosa. Dall’epoca dall’arrivo dei primi europei a Guaraní fino ai tempi attuali, la vita religiosa è stata una componente sociale che ha dato un’impronta non solo all’evangelizzazione dei popoli latinoamericani e dei Caraibi, ma anche alla cultura e alla organizzazione sociale.
Se è vero che gli oppressori hanno trovato nella vita religiosa appoggio e sostegno, è altrettanto vero che essa ha stimolato e segnato le lotte di liberazione. Prima delle dichiarazioni di indipendenza dalla tutela spagnola e portoghese, e prima di giungere ad affidare i destini del continente alla guida dei nativi, si sono levate voci e intraprese iniziative che si collocavano dalla parte delle vittime e hanno accompagnato nella loro sofferenza la schiavitù e la degradazione degli indigeni e dei negri. Le voci di Antón de Montesinos, di Bartolomeo de Las Casas, dei gesuiti e francescani delle riduzioni del Paraguay si sommano a quelle di Pietro Claver nella difesa e nell’accompagnamento degli schiavi negri nei Caraibi cartagenesi come espressione sinfonica di una vita che non si adeguò solo ai desideri degli oppressori, ma si fece voce delle vittime dell’ignominia e del male incarnato nella struttura di oppressione e di noncuranza.
E nelle lotte di liberazione, quando non se ne poteva più e i creoli volevano diventare signori dei destini dei loro popoli, la vita religiosa era lì, presente. Nei suoi conventi si formarono vari leader dell’ “indipendenza” di alcuni dei nostri paesi e dei religiosi furono artefici della ricerca di un nuovo ordine che restituisse la dignità e recuperasse il diritto a vivere con in mano i propri destini.
È questa storia di luci e di ombre che desidero ripercorrere nella prospettiva di una interpretazione globale. Non sarà mio intento identificare le personalità o analizzare momenti specifici di questi duecento anni di vita di “indipendenza”, ma mostrare i grandi coni di ombra e i grandi sprazzi di luce prodotti dalla vita religiosa nel continente.
Comincerò col segnalare le ombre affinché il loro ricordo faccia apparire il meglio della vita religiosa di questi duecento anni. È evidente che dividere questi aspetti presentando le ombre e le luci può dare l’impressione di un certo dualismo tra il bene e il male, ma non è questa la mia prospettiva, credo piuttosto che le ombre si intreccino con le luci e queste ultime si fondano con le ombre perché i fatti sono stati complessi e i fenomeni non possono essere analizzati come semplici presenze del bene e dal male allo stato puro. Complessità della storia che mette in evidenza l’ambiguità dei processi umani e il costante orientamento verso un di più che ancora non si raggiunge, ma che sta al cuore di ogni uomo e ogni donna che voglia prendere sul serio la vita e le sue esigenze.

LE OMBRE

 

il potere istituzionale
 

Una delle principali ombre di questi duecento anni è stata la progressiva istituzionalizzazione della vita religiosa nel continente. I carismi sorti nella storia come contestazione istituzionale, si sono aggrappati a istituzioni che, in non poche occasioni, hanno soffocato il loro significato originale. Il fatto di associarsi con i sistemi politici che cominciavano a governare i destini dei popoli ha consolidato una vita religiosa che, copiando il modello europeo, si è sviluppata come proprietaria, gerente e amministratrice di grandi istituzioni: collegi, università, ospedali, centri ricreativi, catene di scuole popolari, di hotel, grandi centri di ricerca e di analisi sociale, strutture, grandi strutture che hanno richiesto forti investimenti e l’entrata in concorrenza con le istituzioni statali o private, create con gli stessi fini o con finalità diverse, ma nella loro stessa orbita corporativa.
La mentalità di cristianità non è stata assente da una visione di vita religiosa, che cercando di essere incisiva attraverso il possesso di strutture gigantesche di potere, si sono ridotte, a causa della logica dei sistemi imperanti, le ingiunzioni delle imposte, dei salari e degli emolumenti, in istituzioni che hanno poco da invidiare alle altre istituzioni di sfruttamento e manipolazione del lavoro umano, in base al capitale privato o statale.
La necessità di entrare in concorrenza per la qualità globale e l’efficienza amministrativa fa di queste istituzioni degli organismi freddi, carenti di valori umani, in cui le persone, come nel sistema, valgono solo nella misura in cui servono all’istituzione o si adeguano ai suoi interessi di profitto e di capitalizzazione. In questo modo si sono affermate delle autentiche imprese di sfruttamento e di ingiustizia, ammantate del linguaggio di servizio e di progetto apostolico che non corrisponde alle politiche che si stabiliscono,alle misure che si prendono, agli ordini che vengono dati e alle pratiche messe in atto, per la pressione delle leggi e le esigenze fiscali di ciascun paese o per la sola logica dell’impresa privata capitalista.
I religiosi e le religiose che hanno svolto e svolgono la loro missione in queste grandi istituzioni hanno vissuto e vivono la tentazione di diventare degli esecutori freddi, calcolatori, gestori efficaci e dei magnati di impieghi privi di sensibilità umana e di attenzione ai postulati più semplici della dottrina sociale della Chiesa, come per esempio, la spartizione degli utili. Quando le istituzioni diventano costruzioni eleganti e raffinate e di alta tecnologia, con impiegati con salari di miseria, allora non possiamo dire di trovarci davanti a una istituzione che possa considerarsi evangelicamente coerente, ma davanti a una istituzione che si arricchisce a partire dallo sfruttamento del lavoro dei più deboli.
La grande ombra può essere descritta con un interrogativo: esistono reali differenze riguardo alla giustizia e all’equità tra un grande collegio, una università, un ospedale di alta tecnologia in fatto di salute, un centro vocazionale o qualsiasi altra grande istituzione di religiosi e religiose e quelle del settore privato o pubblico? Quali?

L’educazione in questione

Un’alta percentuale di governanti, leader politici, impresari, proprietari terrieri, industriali e ricchi in generale dell’America Latina e dei Caraibi sono stati educati nei collegi e nelle università della vita religiosa. Le prime università del continente furono gestite dagli ordini religiosi i quali diedero impulso allo sviluppo della cultura e della professionalizzazione delle generazioni di questi duecento anni. Una grande percentuale di religiosi e religiose latinoamericani e dei Caraibi si sono dedicati all’educazione. Dalle scuole popolari e di classe media, fino alle università certificate o in convenzione con i paesi del Nord, di alta tecnologia e strutture di ricerca di punta. L’educazione impartita dalle istituzione della vita religiosa non ha dato al continente, in questi duecento anni, una generazione di leader capaci di creare modelli di giustizia e democrazia partecipativa. Al contrario, la classe politica formata da noi non ha niente da invidiare alle corrotte generazioni di politici e governanti usciti dalle istituzioni laiche o statali. E ciò pone un forte interrogativo sul senso di continuare a educare generazioni e generazioni…. Per quale ragione?
So di muovermi su un terreno delicato e che posso essere accusato di misconoscere il contributo significativo dell’educazione e della vita di coloro che hanno dato il meglio di sé nelle scuole, nei collegi, università e istituti, ma non posso non segnalare una zona d’ombra che non è possibile eludere. L’educazione data dalla vita religiosa, in effetti, non è riuscita, senza volerlo è chiaro, a ottenere i risultati che, non solo idealmente, ma in concreto abbiamo diritto di aspettarci. E ciò, più che una critica mordente, vuole essere un invito all’azione, alla fantasia, al progetto di modelli formativi diversi, di altri progetti pedagogici, a suscitare il bisogno di plasmare delle generazioni che Apareçida ha indicato come urgenti per il presente del continente.
L’ombra può essere descritta con questo interrogativo: possiamo dire che, dopo duecento anni, sono state formate generazioni educate a creare sistemi di organizzazione sociale alternativi alla proposta dominante delle società capitaliste neoliberali? Il fatto di un aumento irrefrenabile della povertà e delle disuguaglianze nel continente sottolinea la validità della domanda.

L’autocrazia

I processi di democratizzazione e di partecipazione alla vita pubblica hanno avuto il loro parallelo nella vita religiosa nel cambiamento della comprensione dell’autorità e dell’obbedienza. Da una verticalità nella comprensione dell’autorità, fondata sulla sottomissione e l’accettazione cieca della volontà del superiore o della superiora, siamo passati, mantenendo le strutture e le responsabilità, a una progressiva autarchia che genera religiosi e religiose autocrati, facendo svanire poco alla volta il significato della comunione e della solidarietà del corpo.

Qua e là sta emergendo un individualismo che viene giustificato con il rispetto dell’autonomia del soggetto. Religiosi e religiose autocrati che non si preoccupano o non si occupano delle ricerche della provincia, dei suoi piani, delle proposte delle comunità locali o dei progetti di gruppo, ma delle proprie proposte, decisioni e dei progetti personali; o superiori che si considerano sopra tutto e sopra tutti ed emarginano coloro che non prendono in considerazione, o non condividono, i loro interessi né sopportano le loro ideologie. In genere, messi alla direzione di grandi istituzioni, si considerano indispensabili e dimenticano il significato del corpo, caratteristico della vita religiosa che è fatta di diversità di fratelli e sorelle, nell’unità di una stessa spiritualità e missione.
Sia la parrocchializzazione, da una parte, sia l’istituzionalizzazione, dall’altra, favoriscono la crescita di queste personalità autarchiche che non tollerano di essere educate dai loro fratelli e sorelle e si ritengono dei dittatori che non possono stare senza responsabilità del potere inteso come dominio, controllo e decisione. Il potere come capacità di dominio si rafforza diventando un modo caratteristico di vivere della autocrazia.
Questa ombra può essere formulata nel modo seguente: perché si sta diluendo il significato della minorità che non concepisce la propria vita senza rimanere sempre con una responsabilità o un “posto”?

Il disincanto


Se c’è qualcosa che oscura il panorama attuale del nostro stile di vita è il cosiddetto disincanto, io lo chiamerei l’impassibile capacità di meravigliarsi, di avere fantasia e di sorprendersi. Ci sono religiosi e religiose disincantati che trascinano la vita come se non fosse possibile pensare a giorni migliori. È un atteggiamento negativo che si traduce in scetticismo e suscita la sensazione di non avere futuro e nega il significato della vita di coloro che vogliono progredire nella speranza o favorire forme nuove di presenza e di espressione di uno stile di vita mistico e profetico a servizio incondizionato della vita. Mi domando: giungerà forse l’ora del disgusto? Dio non voglia!
L’incanto è una responsabilità personale, dal momento che questa ombra è una delle più letali per il presente del nostro stile di vita.
A questo proposito ci tengo ad affermare che la responsabilità dell’individuo, di ciascuno e ciascuna, acquista una densità maggiore poiché la decisione personale di affascinarsi di Cristo e del suo Regno obbedisce alla geniale libertà con cui il Maestro invitò i suoi discepoli a seguirlo. Risuona con forza intensa l’espressione tanto cara agli evangelisti: “se vuoi” (Mt 8,22: 9,9; Mc 2,14; 10,21; Lc 9,59; 18,22”.


L’ambigua assimilazione ai tempi


Durante questo tempo non abbiamo compreso che ciò che il Concilio aveva chiesto era un rinnovamento della vita religiosa, che non consisteva semplicemente nel fare delle riforme. Bisogna riconoscere onestamente che c’è stato un adattamento ai tempi, non accompagnato da una intensa esperienza spirituale tale da renderci testimoni nel tempo presente. Ai cambiamenti dei luoghi di vita, dei rapporti tra superiori, fratelli o sorelle, della partecipazione ai processi decisionali, nel modo di amministrare i beni o nei rapporti con gli altri, non è corrisposta la novità di una spiritualità seria, fondata su una teologia che portasse alla capacità mistica di vedere Dio in tutto e in tutti.
Una plateale assimilazione ai tempi può essere ciò che, con sofferenza per noi che abbiamo partecipato come invitati ad Apareçida, è stata chiamata “secolarizzazione” della vita religiosa. Lo dico con pena perché penso che la secolarizzazione di alcune istanze ecclesiali non sia solo un problema della vita religiosa attuale, ma di tutti coloro che semplicemente hanno fatto delle riforme senza rinnovarsi, senza fare niente di nuovo, qualcosa di diverso da ciò che avevamo o abbiamo sempre fatto .

LE LUCI


L’esodo verso i poveri

Medellin fu Il grande avvenimento che possiamo definire un autentico kairos per la vita religiosa del continente negli ultimi duecento anni. Con Medellin, l’opzione preferenziale dei poveri, caratteristica della proposta di Gesù di Nazaret, ha preso il certificato di cittadinanza e ha favorito quello che possiamo con rigore chiamare “l’esodo verso i poveri” da parte della vita religiosa latinoamericana e caraibica.
I settori popolari hanno conosciuto durante questi duecento anni una forte presenza della vita religiosa, ma a partire da Medellin hanno cominciato a vedere, sentire e ad avere nei loro ambienti religiosi e religiose di tutte le età e comunità che univano alla loro presenza una nuova coscienza delle cause della povertà e della miseria: strutture ingiuste definite come peccaminose dal magistero latinoamericano e caraibico. Uomini e donne che sono stati spinti da una chiamata assillante del “sordo clamore” di tante persone che dalle zone della miseria, dalle baraccopoli, attendevano una liberazione che venisse da qualche parte. E la vita religiosa si è fatta popolo, nel cuore del popolo.
La CLAR, fedele all’invito del magistero, ha assunto con entusiasmo e ardore lo slancio dell’opzione per i poveri, l’analisi delle cause della povertà e la proposta di una Chiesa di comunione e partecipazione in cui i poveri avessero a recuperare la loro presenza e la parola. Le comunità ecclesiali di base, come opzione di fondo del magistero latinoamericano e caraibico, trovarono nella vita religiosa dei leader e degli animatori, che con singolare passione divennero degli autentici fratelli e sorelle del popolo sofferente.
Dalle grandi istituzioni e dalla vita di convento si è passati alle piccole abitazioni in mezzo alla gente; dalle grandi comunità, alla piccola comunità in cui ognuno potesse essere riconosciuto e valorizzato nel suo essere e nel suo agire, fino alla scelta di una vita famigliare di focolare, come quella della gente comune, vivendo del proprio lavoro e facendo proprie le lotte e le speranze di liberazione.
Questa è una delle grandi luci della vita religiosa latinoamericana e caribica di questi duecento anni. Questa è la grande libertà di una vita giunta a sciogliere le catene istituzionali per farsi popolo, vita di Dio in mezzo ai preferiti del Regno. Si plasmò una spiritualità a partire dai valori dei poveri, dalle intuizioni dei poveri, dalla cultura popolare che insegnò alla vita religiosa a pregare come i poveri, a sentire come loro sentono, a sperare come essi sperano e a vivere l’antropologia del povero: la vita religiosa si fece popolo.

Le opzioni di frontiera

L’opzione per i poveri poco alla volta ha aperto in questi duecento anni la vita religiosa a più ampie opzioni di frontiera. I cosiddetti nuovi soggetti si sono uniti ai nuovi scenari in cui essa ha fatto delle scelte di fondo. La scelta del margine ha favorito le opzioni, soprattutto delle religiose, più sensibili alle situazioni delle vittime e più capaci di andare alla frontiera senza paure.
Gli indigeni e gli afroamericani sono entrati a far parte dell’universo di una vita religiosa che si è presa il tempo non solo per lasciare che essi fossero dei suoi, ma anche per spostarsi nei loro luoghi di Dio. La riflessione sulla vita religiosa indigena e afroamericana ha assunto il certificato di cittadinanza a partire dai progetti della Clar al riguardo, e gli indigeni e gli afroamericani hanno costatato il valore del loro contributo originale alla vita religiosa venuta dall’Europa o dai paesi del Nord e a quella fondata in queste terre.
Ma anche i malati terminali, i drogati, gli anziani abbandonati, le donne, i bambini e le bambine prostituiti, i migranti, il traffico degli esseri umani, i perseguitati politici, gli uomini e le donne violati nei loro diritti come esseri umani, tutta l’emarginazione del continente ha trovato una vita religiosa che si è sentita interpellata dalla frontiera e non ha avuto paura di avvicinarsi ad essa nello spirito più genuino del samaritano al margine della strada (Lc 10,33ss).

I caratteri teologici

La vita religiosa ha contribuito a offrire al continente una riflessione teologica caratterizzata da un radicamento nella storia, alla maniera della Sacra Scrittura. La teologia latinoamericana è più storica che speculativa, più simbolica che concettuale, più spirituale che razionale, più dalla strada che dalla fabbrica, più dal popolo che dalle élites. È tutta una ricerca capace di contribuire ai processi di liberazione dall’ingiustizia e dall’oppressione e che sfocia in una spiritualità in grado di infondere forza per resistere profeticamente alle potenze del male.
Scoprendo l’importanza della formazione teologica, oggi non si concepisce più una vita religiosa senza un seria riflessione che le restituisca il suo carattere di teologia di un modo di collocarsi e di vivere nella storia, con un suo metodo e una sua tematica particolare, con una sua impostazione di fondo e le sue sfide alla prassi e all’impegno.
Assumendo il metodo teologico che tanto ha dato alla vita del continente, la vita religiosa nel corso di questi anni, è stata pioniera della stessa riflessione teologica della chiesa latinoamericana contribuendo a offrirle ciò che di più originale essa ha e che poi ha dato alla chiesa universale, ossia: una nuova maniera di fare teologia, un nuovo modo di vivere la fede, radicata nella Sacra Scrittura e nella tradizione della patristica e del magistero latinoamericano e caraibico, come anche nelle metodologie storiche e critiche.
Una riflessione teologica che oggi si apre alle nuove problematiche del continente, ai temi cruciali dell’ecologia, alle proposte delle scienze biologiche e delle nuove tecnologie dell’informazione, oltre che ai problemi sempre attuali dell’economia e della politica.
Le nuove generazioni nella vita religiosa, essendo in fase di formazione, hanno davanti a sé la sfida di continuare a favorire creativamente lo sviluppo di un pensiero capace di entrare in dialogo interdisciplinare e critico con le impostazioni dell’altra sponda.

La parola e la vita della donna religiosa


La vita religiosa femminile in questo senso ha assunto con responsabilità e larghezza di vedute la sfida di contribuire, con occhi femminili, a partire dalla Bibbia e dalla teologia, a una presenza attiva e critica all’interno delle Conferenze nazionali della Confederazione latinoamericana. Le équipes di teologi e teologhe, un tempo composte in maggioranza di uomini, registrano ora in molti casi una presenza femminile maggioritaria con una vivacità e una serietà critica che sta a indicare un nuovo modo di esprimersi della religiosa nella Chiesa comunione.
Sono soprattutto le religiose a vivere nei luoghi più critici e nelle situazioni più complesse della vita del continente. Il loro ministero, in forza della loro condizione di battezzate, non è una semplice supplenza, ma ogni giorno viene sempre più riconosciuto dalle Chiese locali e la gente trova nel volto e nelle braccia della religiosa lo sguardo compassionevole di Cristo e le mani del Maestro il quale tocca per curare le ferite e superare ogni sofferenza. In silenzio ma in maniera concreta, le religiose latinoamericane, dalle Ande ai mari dei Caraibi, dagli angoli più remoti del Pacifico fino agli ardenti deserti della penisola Guajira, dai ghiacciai del Cile fino alla pianura venezuelana, da ogni dove, la vita religiosa femminile è stata una preziosa e gratuita presenza di Dio che ha camminato e ha accompagnato la sofferenza della nostra gente.

I martiri


La corona del martirio ha caratterizzato tutta questa storia di “indipendenza” perché le dipendenze che hanno continuato a lacerare la vita di questi paesi, hanno prodotto sistemi di iniquità incapaci di resistere alla profezia e alla parola in difesa della giustizia e del diritto. In lungo e largo del continente troviamo religiose e religiosi che hanno dato la vita per il Regno di Dio.
Questa è la più importante e la maggiore impresa della vita religiosa latinoamericana e caraibica. Religiosi e religiose che hanno avuto il coraggio di dire una parola libera sono stati messi a tacere con l’assassinio vile e crudele, vittime di dittature che durano da tanti anni e detengono il potere in vari paesi, e delle apparenti democrazie che violano le leggi e manipolano i valori allo scopo di raggiungere i loro obiettivi
Alcuni di essi sono molto noti come i Pallottini in Argentina, i Missionari del Sacro Cuore in Guatemala, Dorothy Stang in Brasile; altri lo sono meno perché soltanto i loro rioni, le loro baraccopoli, i loro fiumi, i loro campi e viottoli sono stati testimoni della loro gloria.
Una vita religiosa di martirio è il miglior pegno della fede che il continente ha dato alla Chiesa, nella lotta a favore della vita fino a dare la propria. È un modo intenso di vivere la mistica che ha comportato la necessaria profezia e una forte esperienza profetica che si può solo sostenere nella consapevolezza di essere tempio dello Spirito, portatori di una speranza che va oltre la morte ed è consapevole che nessun potere, e nemmeno la morte, ci potrà separare dall’amore di Dio manifestato in Cristo Gesù (Rm 8,38).

Una nuova presenza profeticamente discreta

Una novità di questo tempo è quella di una presenza discreta. Sono passati i tempi in cui la vita religiosa era considerata uno dei principali poteri di cui tener conto. Attualmente la sua presenza nelle chiese particolari è più discreta e altrettanto lo è nella chiesa universale. La vita religiosa latinoamericana del presente è più interessata a essere una presenza di testimonianza che non un’istanza influente.
I santi e le sante della tradizione della vita religiosa latinoamericana si sono caratterizzati per il loro modo semplice di vivere il Vangelo, per lo sporcarsi nella polvere della marginalità e per la loro povertà, in una passione mistica per il Regno che non finisce.
Qui si trovano le tradizioni di Pietro Claver e Martino de Porres, Rosa da Lima e Mariana de Jesús, Miguel Febres Cordero, Teresa de los Andes e Bernarda Bütler, Alberto Hurtado e tanti altri religiosi e religiose per i quali il popolo è stata la loro gloria del Bernini, perché nelle sofferenze del popolo e soffrendo insieme ad esso hanno scoperto la grandezza della fede e il valore della resistenza nella fedeltà e nella passione per l’Unico necessario. La santità è stata la forza della vita religiosa dell’America Latina e dei Caraibi, riconosciuta ufficialmente dalla chiesa universale o testimoniata dal riconoscimento dei popoli di tutte le trincee.
Questa minorità, propria delle origini della vita religiosa nella Chiesa, è quella che, a mio modo di vedere, è recuperata, non senza sofferenza o lamentela, per non essere tenuta in considerazione né dalle istanze dei governi o dei poteri istituzionali, né da alcune istanze della Chiesa. Ma penso che qui si trovi un filone importante della spiritualità latinoamericana e caraibica: non siamo potere, siamo servizio minoritario del popolo santo di Dio; non siamo istituzione, siamo carismi che si istituzionalizzano, ma sempre nella dinamica della dedizione al Regno che viene prima di qualsiasi istanza istituzionale, perché solo cercando il Regno di Dio e la sua giustizia, il resto ci sarà dato in sovrappiù.
Una vita che deve continuare a tendere al consolidamento dei processi che contribuiscono alla libertà e alla giustizia nel continente; una vita che, a partire dall’educazione, deve favorire nuovi modelli di società, che dalla riflessione bioetica è chiamata a difendere la vita senza condizioni, che insieme con tutti coloro che si occupano di questi temi deve contribuire alla difesa del pianeta poiché la creazione è un dono di Dio che deve essere salvaguardato e non essere distrutto per interessi di profitto e di sfruttamento senza controllo. Una vita che contribuisca alla formazione di generazioni di leader, uomini e donne che mettano al primo posto il fattore umano e la creazione e relativizzino ogni idolatria contemporanea, sia delle nuove tecnologie o delle ideologie e dei mezzi di comunicazione sociale.
Una vita religiosa rinnovata, serenamente fedele nei suoi impegni, minoritaria perché non sarà mai fatta di moltitudini e radicale perché fondata sul Vangelo di Cristo. Una vita religiosa alle frontiere, discreta e gioiosa: questo è il maggiore contributo e la luce più luminosa che il continente può ricevere in quest’ora di tante sorprese e di tante inquietudini per la vita dell’America Latina e dei Caraibi che continua ad attendere il giorno della reale indipendenza.